269 - 07.01.05


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Il misterioso incanto
sulle rive della Moldava
Mauro Buonocore


Le parole suonano come un rimprovero: “Possibile che tu non riesca proprio ad orientarti? Guarda, da qui si vede tutto. Là in fondo, dove ci sono quelle guglie, c’è Staromeštské Námeští, la piazza della Città Vecchia; se sposti lo sguardo verso sinistra c’è Josefov, il quartiere ebraico; scendi poi con gli occhi fino alle torri del Ponte Carlo, attraversa la Moldava e sei già a Malá Strana, continua a salire fino alla rocca di Hradcany con il castello. Salta poi dall’altra parte, verso destra, dove inizia la città nuova con piazza San Venceslao, il palazzo del Museo nazionale, il tetto d’oro del Teatro nazionale... Ci sei adesso?”. Io la ascolto e lei mi parla con occhi un po’ severi mentre la sua mano passa in rassegna il panorama dei luoghi attraversati poco tempo prima. Possibile che non riesca ad orientarmi? Eppure è vero, per giorni abbiamo camminato nel cuore di Praga eppure solo adesso, guardandola tutta intera dal belvedere della collina di Petrín, ho la sensazione netta di riconoscerla, di vederla materialmente davanti ai miei occhi.

Perché starci dentro è un’altra cosa. Girare tra i vicoli, vagare sorvegliati dalle guglie e dalle torri, sentire la Moldava che, come una lama d’acqua ghiacciata, taglia in due la città. Tutto questo è un’altra cosa, tutto questo è un incanto, e solo dopo averlo incontrato si riesce a capire davvero le parole di Angelo Maria Ripellino e della sua Magica Praga. “Afferma Nietzsche in Ecce Homo: ‘Se cerco un’altra parola per dire musica, trovo sempre e solamente la parola Venezia’. Io dico, se cerco un’altra parola per dire arcano, trovo solo la parola Praga. E’ torbida e malinconiosa come una cometa, come un’impressione di fuoco la sua bellezza, e serpentina ed obliqua come nelle anamorfosi dei manieristi, con un alone di lugubrità e di sfacelo, con una smorfia di eterna disillusione”.

Così Ripellino disegna un perfetto itinerario nelle suggestioni della città vltavina (cioè la città della Vltava, la Moldava, il fiume, “lo specchio scintillante” sulle cui sponde vive la capitale ceca). Arcano e mistero ci prendono il cuore e ci sospendono il respiro di fronte all’aria gotica che soffia da ogni antica architettura. Le torri delle cattedrali, buie, scure, notturne, sono sovrastate da spioventi nerissimi e acuminati, infiniti pennacoli si sono arrampicati sulle loro pareti riempiendole di forme e figure, presentandocele come giganti che da secoli ci rubano il fiato sorprendendoci appena giriamo un angolo, e dietro un vicolo si apre la piazza della Città Vecchia.
E’ un incanto salire fino a Hradcany e, entrati nella rocca che dall’alto osserva la città e la domina, guardare la cattedrale di San Vito proprio come un nano guarda un gigante nerboruto. Ancora buio, ancora altissime le dimensioni, ancora forme e figure che si affastellano in sculture e decorazioni, in vetri art noveau che invece, coloratissimi, segnano lo scoccare dei secoli dal Medio Evo fino al Novecento, passando per il barocco. Un mondo di mistero sembra nascosto dietro queste mura, un arcano segreto sembra essere raccontato in sussurri incomprensibili dalle mura praghesi.

E ancora un altro arcano, ancora un mistero. Camminando per le strette strade di Malá Strana, oppure per il lungofiume, dove la cupa severità delle cattedrali lascia spazio a palazzi coloratissimi che si affacciano alla Moldava con intonaci verdi gialli rossi; passeggiando, dicevo, magari nella notte deserta delle strade praghesi, potreste avere la sensazione di essere pedinati, potreste sentire dei passi dietro di voi e farvi sempre più convinti che, voltandovi, potreste trovarvi di fronte a Joseph K., o a uno qualsiasi dei personaggi della letteratura che è nata proprio tra queste mura, sulle sponde della Moldava, potreste incontrare le invenzioni di Hasek, Meyrink, Janouch, Capek, Jiránek, per citare i nomi menzionati da Ripellino, oppure potreste trovare proprio Kafka che “ritorna a casa sua con bombetta e pastrano”. Perché camminando per Praga vi possiede la sensazione di vivere un altro mondo, di abitare una surrealtà sospesa tra il vero e il sogno, perché come un sogno Praga è diafana e pallida, colorata e luminosa, scura e misteriosa.

“Non andarvi se cerchi una felicità senza nuvole”, ammonisce Ripellino: forse scrisse queste parole salendo verso la fortezza di Vysherad? Forse fu un sogno affollato di nuvole arrampicarsi lungo la ripida salita che avvolge fortezza, trovarsi a costeggiare un muro buio e, alzati gli occhi, sentirsi osservare dallo sguardo degli alti campanili della Chiesa dei Santi Pietro e Paolo; e poi girarsi verso il parco, camminare perdendosi e ritrovare una passeggiata che corre sul ciglio dell’antica rocca distrutta, affacciarsi e da sotto vedere il paesaggio che bisbiglia ancora il nome della città vltavina, mentre la Moldava è stata sempre lì, a seguire i passi di chi si aggira per la sua città. E fu forse un sogno vedere una figura magra di uomo che veloce cammina posseduto dall’ansia di essere inseguito; o intravedere l’agrimensore K alla ricerca disperata della porta che gli dia accesso al Castello; o addirittura trovarsi di fronte allo schiudersi del portone della chiesa e vederne uscire, solenne e maestosa, la sagoma di un antico guerriero che si staglia tra le ombre di mille candele.

Il sogno, dice Ripellino, è l’unico modo che permetta di avvicinarsi a Praga. Forse è per questo che mi sembra di riconoscerla interamente, concretamente, solo da lontano, solo da sopra una collina che me la presenta distante e tutta intera, come in un quadro, lontano dalle sue malinconie, dalle sue umide nostalgie, dalle sue sospese voluttà. Perché questa città “è una sorta di manicomio metafisico (…): manicomio e ad un tempo palcoscenico dell’universo, con spècole e scale da capogiro e macchine buffe e con jazz e coi cammelli che Rimbaud si trascina sin dentro la stanza d’affitto, una stanza molto kafko-praghiana”. La guardo da lontano e la riconosco, mi ci immergo e mi sento dentro tutte le pagine cui ha dato vita, dentro ogni sogno letterario che è nato sulle rive della Moldava, e come nelle righe della letteratura il sogno si sovrappone alla realtà, la parole si sovrappongono alle cose e si confondono, lasciando noi stessi sospesi al dubbio: “Ora che ne sono lontano, forse per sempre, mi chiedo se Praga esista davvero”.

 

 

 


 

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