Le
parole suonano come un rimprovero: “Possibile
che tu non riesca proprio ad orientarti? Guarda, da
qui si vede tutto. Là in fondo, dove ci sono
quelle guglie, c’è Staromeštské
Námeští, la piazza della Città
Vecchia; se sposti lo sguardo verso sinistra c’è
Josefov, il quartiere ebraico; scendi poi con gli occhi
fino alle torri del Ponte Carlo, attraversa la Moldava
e sei già a Malá Strana, continua a salire
fino alla rocca di Hradcany con il castello. Salta poi
dall’altra parte, verso destra, dove inizia la
città nuova con piazza San Venceslao, il palazzo
del Museo nazionale, il tetto d’oro del Teatro
nazionale... Ci sei adesso?”. Io la ascolto e
lei mi parla con occhi un po’ severi mentre la
sua mano passa in rassegna il panorama dei luoghi attraversati
poco tempo prima. Possibile che non riesca ad orientarmi?
Eppure è vero, per giorni abbiamo camminato nel
cuore di Praga eppure solo adesso, guardandola tutta
intera dal belvedere della collina di Petrín,
ho la sensazione netta di riconoscerla, di vederla materialmente
davanti ai miei occhi.
Perché starci dentro è un’altra
cosa. Girare tra i vicoli, vagare sorvegliati dalle
guglie e dalle torri, sentire la Moldava che, come una
lama d’acqua ghiacciata, taglia in due la città.
Tutto questo è un’altra cosa, tutto questo
è un incanto, e solo dopo averlo incontrato si
riesce a capire davvero le parole di Angelo Maria Ripellino
e della sua Magica Praga. “Afferma Nietzsche
in Ecce Homo: ‘Se cerco un’altra
parola per dire musica, trovo sempre e solamente la
parola Venezia’. Io dico, se cerco un’altra
parola per dire arcano, trovo solo la parola Praga.
E’ torbida e malinconiosa come una cometa, come
un’impressione di fuoco la sua bellezza, e serpentina
ed obliqua come nelle anamorfosi dei manieristi, con
un alone di lugubrità e di sfacelo, con una smorfia
di eterna disillusione”.
Così Ripellino disegna un perfetto itinerario
nelle suggestioni della città vltavina (cioè
la città della Vltava, la Moldava, il fiume,
“lo specchio scintillante” sulle cui sponde
vive la capitale ceca). Arcano e mistero ci prendono
il cuore e ci sospendono il respiro di fronte all’aria
gotica che soffia da ogni antica architettura. Le torri
delle cattedrali, buie, scure, notturne, sono sovrastate
da spioventi nerissimi e acuminati, infiniti pennacoli
si sono arrampicati sulle loro pareti riempiendole di
forme e figure, presentandocele come giganti che da
secoli ci rubano il fiato sorprendendoci appena giriamo
un angolo, e dietro un vicolo si apre la piazza della
Città Vecchia.
E’ un incanto salire fino a Hradcany e, entrati
nella rocca che dall’alto osserva la città
e la domina, guardare la cattedrale di San Vito proprio
come un nano guarda un gigante nerboruto. Ancora buio,
ancora altissime le dimensioni, ancora forme e figure
che si affastellano in sculture e decorazioni, in vetri
art noveau che invece, coloratissimi, segnano lo scoccare
dei secoli dal Medio Evo fino al Novecento, passando
per il barocco. Un mondo di mistero sembra nascosto
dietro queste mura, un arcano segreto sembra essere
raccontato in sussurri incomprensibili dalle mura praghesi.
E ancora un altro arcano, ancora un mistero. Camminando
per le strette strade di Malá Strana, oppure
per il lungofiume, dove la cupa severità delle
cattedrali lascia spazio a palazzi coloratissimi che
si affacciano alla Moldava con intonaci verdi gialli
rossi; passeggiando, dicevo, magari nella notte deserta
delle strade praghesi, potreste avere la sensazione
di essere pedinati, potreste sentire dei passi dietro
di voi e farvi sempre più convinti che, voltandovi,
potreste trovarvi di fronte a Joseph K., o a uno qualsiasi
dei personaggi della letteratura che è nata proprio
tra queste mura, sulle sponde della Moldava, potreste
incontrare le invenzioni di Hasek, Meyrink, Janouch,
Capek, Jiránek, per citare i nomi menzionati
da Ripellino, oppure potreste trovare proprio Kafka
che “ritorna a casa sua con bombetta e pastrano”.
Perché camminando per Praga vi possiede la sensazione
di vivere un altro mondo, di abitare una surrealtà
sospesa tra il vero e il sogno, perché come un
sogno Praga è diafana e pallida, colorata e luminosa,
scura e misteriosa.
“Non andarvi se cerchi una felicità senza
nuvole”, ammonisce Ripellino: forse scrisse queste
parole salendo verso la fortezza di Vysherad? Forse
fu un sogno affollato di nuvole arrampicarsi lungo la
ripida salita che avvolge fortezza, trovarsi a costeggiare
un muro buio e, alzati gli occhi, sentirsi osservare
dallo sguardo degli alti campanili della Chiesa dei
Santi Pietro e Paolo; e poi girarsi verso il parco,
camminare perdendosi e ritrovare una passeggiata che
corre sul ciglio dell’antica rocca distrutta,
affacciarsi e da sotto vedere il paesaggio che bisbiglia
ancora il nome della città vltavina, mentre la
Moldava è stata sempre lì, a seguire i
passi di chi si aggira per la sua città. E fu
forse un sogno vedere una figura magra di uomo che veloce
cammina posseduto dall’ansia di essere inseguito;
o intravedere l’agrimensore K alla ricerca disperata
della porta che gli dia accesso al Castello; o addirittura
trovarsi di fronte allo schiudersi del portone della
chiesa e vederne uscire, solenne e maestosa, la sagoma
di un antico guerriero che si staglia tra le ombre di
mille candele.
Il sogno, dice Ripellino, è l’unico modo
che permetta di avvicinarsi a Praga. Forse è
per questo che mi sembra di riconoscerla interamente,
concretamente, solo da lontano, solo da sopra una collina
che me la presenta distante e tutta intera, come in
un quadro, lontano dalle sue malinconie, dalle sue umide
nostalgie, dalle sue sospese voluttà. Perché
questa città “è una sorta di manicomio
metafisico (…): manicomio e ad un tempo palcoscenico
dell’universo, con spècole e scale da capogiro
e macchine buffe e con jazz e coi cammelli che Rimbaud
si trascina sin dentro la stanza d’affitto, una
stanza molto kafko-praghiana”. La guardo da lontano
e la riconosco, mi ci immergo e mi sento dentro tutte
le pagine cui ha dato vita, dentro ogni sogno letterario
che è nato sulle rive della Moldava, e come nelle
righe della letteratura il sogno si sovrappone alla
realtà, la parole si sovrappongono alle cose
e si confondono, lasciando noi stessi sospesi al dubbio:
“Ora che ne sono lontano, forse per sempre, mi
chiedo se Praga esista davvero”.
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