Fourmillante
Cité, cité pleine de rêves,
Ou le spectre en plein jour raccroche le passant !
Les mystères partout coulent comme des sèves
Dans les canaux étroits du colosse puissant.
(Charles Baudelaire, Les sept vieillards, in
Les fleurs du Mal)
Città brulicante, piena di sogni, dove
In pieno giorno gli spettri adescano i passanti!
Nel colosso possente, per le vene
come umori vischiosi colano i misteri.
(trad. Giovanni Raboni, Einaudi 1999)
A proposito di Parigi si può certamente parlare
di mito. Questa città, come altre e più
di altre, è una fonte infinita di rappresentazioni.
Entrarci vuol dire passare per una foresta di segni
“che lanciano occhiate familiari” (Baudelaire),
essere avvolti da una rete di corrispondenze. Corrispondenze
tra la Parigi reale e quella rappresentata, tra la Parigi
materiale, delle strade, e la Parigi come Idea, principio
spirituale. Parigi è una, unica, ma allo stesso
tempo molteplice. La sua è una struttura composita,
mobile e ritmica, che le permette d’essere bina,
divisa in due, una parte opposta all’altra; che
la fa funzionare pienamente come congegno mitologico.
Parigi dell’ombra e Parigi della luce, Parigi
del giorno e Parigi della notte, Parigi dell’opulenza
e Parigi della miseria, Parigi capitale del Capitale
e Parigi capitale della Rivoluzione, Parigi aerea e
Parigi sotterranea…
Paris change ! mais rien dans ma mélancolie
N’a bougé ! palais neufs, échafaudages,
blocs,
Vieux faubourgs, tout pour moi devient allégorie,
Et mes chers souvenirs sont plus lourds que des rocs.
(Charles Baudelaire, Le cygne, in
Les fleurs du Mal)
Parigi cambia! ma niente, nella mia melanconia,
s’è spostato: palazzi rifatti, impalcature,
case, vecchi sobborghi, tutto m’è allegoria;
pesano come rocce i ricordi che amo.
Certo la Storia; ma sono la letteratura e la scrittura
nel senso più ampio che la sovradeterminano e
fanno della città un oggetto mitico e a sua volta
produttore di segni autonomi, leggibili a livello storico
e allegorico. “Parigi è la grande sala
di lettura di una biblioteca che attraversa la Senna”
scrive Walter Benjamin in Senso unico e ancora, in Parigi
capitale del XIX secolo: “Per la prima volta
in Baudelaire Parigi diviene oggetto di poesia lirica”.
Le Paris que vous aimâtes
N’est pas celui que nous aimons
Et nous nous dirigeons sans hâte
Vers celui que nous oublierons
(Raymond Queneau, Les Ziaux)
La Parigi che voi amaste
Non è quella che amavamo noi
E ci dirigiamo senza fretta
Verso quella che dimenticheremo
Scrivere di Parigi è scrivere a proposito del
tempo. Nel giugno 1830, fa notare Benjamin, i rivoluzionari
per le strade spararono sugli orologi, fermarono il
tempo per rinnovarlo altrove. Tempo sospeso che si sottrae
al tempo nello spazio dell’utopia o della rivoluzione.
Tempo abbandonato al tempo e arrestato dalla morte.
Tempo che rinvia in permanenza a quello che fu, che
si consuma, che si corrode, fonte infinita di malinconia.
La morte a Parigi è una delle forme della
vita di Parigi
(Jules Clarétie)
La morte è al cuore delle rappresentazioni di
Parigi. Scrive Balzac: “il sole dei morti non
tramonta mai”. E Queneau nel 1967: “tutta
questa città è piena di morti”.
Morte dei grandi personaggi commentata dai grandi personaggi.
Spettacolo della morte-supplizio con le esecuzioni pubbliche,
con la ghigliottina per la strada, all’ingresso
delle prigioni dove si accalca il mondo per guardare
da vicino il sangue, la morte dei re e del tempo che
fu.
I cimiteri, infine: territori della morte ordinata e
celebrata, città nella città, spazi separati
ma prossimi. Come a Père Lachaise o a Montparnasse
o a Montmartre.
Non è vero! La razza, quel che chiami così,
è solo questa grande accozzaglia di poveracci
del mio stampo, cisposi, pulciosi, cagoni, che son cascati
qui inseguiti da fame, peste, tumori e freddo arrivati
già vinti dai quattro angoli della terra. Potevano
mica andare più in là perché c’era
il mare. È questo la Francia, questo sono i francesi.
(Louis-Ferdinand Céline, Viaggio al termine
della notte)
Parigi è un mito e funziona nella sua dualità
contraddittoria. “Bordello del mondo e mecca della
cultura d’élite” (Julien Gracq).
Parigi e Versailles. La Corte, con i suoi corollari
d’ufficialità, grandezza, fasto, accademismo
cartesiano e la Città, popolare, oscura, chiassosa,
disordinata, sordida.
C’è un mito di Parigi… nato dopo
il 1789 e soprattutto dopo il 1830 (prima del 1789 “la
Città” non era che un’ombra di Versailles
e de “la Corte”) sotto una forma politica
e bellicosa, il mito di Parigi-luce-delle-rivoluzioni…
di Parigi sempre pronta a sollevare le barricate, che
sono il simbolo dinamico, esplosivo, della città.
(Julian Gracq, En lisant, en écrivant)
Una contraddizione che è dialettica, Storia;
che fa di Parigi nel 1789 e poi nel 1830, nel 1848,
nel 1871 e da lì fino al 1968, la città
della rivoluzione, la città dove il popolo è
sempre pronto a scendere in strada a tirar su barricate.
La città dove il concetto stesso di popolo si
è materializzato, fatto volontà generale
e mito.
Una contraddizione, quella tra la Corte e la Città,
che la Versailles di Napoleone III, ormai fantasma di
se stessa, proverà a piegare a proprio favore
cercando di riportare la prima nella seconda. Il compito
verrà assegnato a Haussmann che opererà
un “abbellimento strategico” con i boulevards;
riproduzione delle prospettive fastose e cartesiane
dei giardini di Versailles e allo stesso tempo strumento
funzionale alla repressione dei moti rivoluzionari.
“Il vero obiettivo dei lavori di Haussmann fu
la protezione della città contro la guerra civile.
Voleva rendere impossibile l’erezione di barricate
a Parigi. La larghezza dei boulevards doveva interdirne
la costruzione e le loro nuove prospettive dovevano
accorciare la distanza tra le caserme e i quartieri
operai” (Benjamin).
Ils traversent ainsi le noir illimité,
Ce frère du silence éternel. Ô cité !
Pendant qu’autour de nous tu chantes, ris et beugles,
Éprise du plaisir jusqu’à l’atrocité,
Vois ! je me traîne aussi ! mais, plus
qu’eux hébété
Je dis : Que cherchent-ils au Ciel, tous ces aveugles ?
(Charles Baudelaire, Les aveugles, in
Les fleurs du Mal)
È così che camminano nel nero illimitato,
che del silenzio è fratello. O città!
Mentre a noi tutt’intorno tu canti, sbraiti e
ridi
Atrocemente presa dal piacere,
anch’io, vedi, mi trascino! Ma, più ebete
di loro,
dico: cosa mai cercano, tutti quei cechi, in Cielo?
Ma i boulevards creano, anche, “un nuovo
scenario fondamentale: uno spazio in cui poter essere
soli in pubblico” (Marshall Barman). L’isolamento
avviene esattamente nel momento in cui migliaia d’individui
si trovano quotidianamente fianco a fianco, nello stesso
flusso d’energia, di velocità. Gli spazi
aperti sostituiscono i vecchi quartieri medievali, con
la loro antica povertà, le case accostate caoticamente,
umili e prive di luce. I vasti vuoti dei boulevards
vengono riempiti dagli individui e fa la sua comparsa
la Folla, nella quale mentre si vede si è visti.
In quelle ampiezze, sotto le luci scintillanti, non
c’è modo di distogliere lo sguardo. Compare
il tipo della modernità e la “deriva psicogeografica”
(Internazionale situazionista): “è lo sguardo
del flâneur che cerca rifugio nella folla.
La folla è il velo attraverso il quale la città
familiare si muta per il flâneur in fantasmagoria”
(Benjamin). Fantasmagoria del Capitale, fantasmagoria
della merce, fantasmagoria della modernità. Parigi
capitale del XIX secolo (Bejamin), è l’archeologia
del Moderno, è l’analogia, l’omologia,
e tant’altro ancora…
De loin, le remorqueur a sifflé; son appel
a passé le pont, encore une arche, une autre,
l’écluse, un autre pont, plus loin…
Il appelait vers lui toutes les péniches du fleuve,
toutes, et la ville entière, et le ciel et la
campagne, et nous, tout qu’il emmenait, la Seine
aussi, tout, qu’on n’en parle plus.
(Louis-Ferdinand Céline, Voyage au bout
de la nuit)
Lontano il rimorchiatore ha fischiato; il suo richiamo
ha passato il ponte, ancora un’arcata, un’altra,
la chiusa, un altro ponte, lontano, più lontano…
Chiamava a sé tutte le chiatte del fiume, tutte,
e la città intera, e il cielo e la campagna,
e noi, tutto si portava via, anche la Senna, tutto,
che non se ne parli più.
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