David
Peace, 1980,
Marco Tropea Editore,
pp. 416, Euro 16,50
Ha un aspetto mite e gentile, nulla a che vedere
con i protagonisti dei suoi romanzi: poliziotti corrotti,
prostitute, e soprattutto l'orribile Squartatore dello
Yorkshire, il serial killer realmente esistito che ha
terrorizzato il nord dell'Inghilterra per anni - quelli
in cui David Peace passava dall'infanzia all'adolescenza.
Allo Strangolatore, Peace - classe 1967, nativo di Ossett
- ha dedicato una quadrilogia, il cosiddetto Red Riding
Quartet.
Ognuno dei quattro libri porta il nome di un anno in
cui sono stati compiuti gli efferati delitti del mostro
locale, ed è raccontato da un testimone diverso.
Nel caso di 1980, il romanzo che chiude la quadrilogia
e che esce ora in Italia per Marco Tropea, l'io narrante
è Peter Hunter, poliziotto tosto e controverso,
perseguitato dal fantasma dello Squartatore come dal
suo passato e dai colleghi corrotti che ha contribuito
a far arrestare. Il suo racconto è terso e crudele,
ricco di dettagli più inquietanti che raccapriccianti,
e l'atmosfera è di quelle da noir vecchio stile,
anche se la musica che potrebbe fare da sottofondo alla
vicenda è quella del rock duro dei primi anni
Ottanta.
David Peace racconta la sua trilogia e la sua esperienza
di espatriato: dallo Yorkshire è infatti stato
catapultato a Tokio, causa una moglie giapponese e la
stessa curiosità del mondo che l'aveva già
portato ad insegnare inglese in Turchia.
Lontani da casa, ci si sente più inglesi?
A dire la verità, non mi sembra di appartenere
ad alcuna nazionalità. Sono un figlio dello Yorkshire,
questa è forse la mia identità geografica
più vera.
Come scrittore, a quale tradizione fa riferimento?
Nè a quella europea, nè a quella americana
in senso lato, solo ad alcuni singoli autori. Non vorrei
apparire presuntuoso, soprattutto nel dire questo qui
in Italia, ma per 1980 mi sono ispirato al Dante dell'Inferno
e al pittore inglese Francis Bacon: entrambi hanno descritto
perfettamente la sofferenza di personaggi intrappolati
dalle loro circostanze. Ma in generale, non sono come
i miei conterranei che fanno capo solo alla tradizione
anglosassone.
Gli scrittori inglesi non ritengono di far parte della
cultura letteraria europea, ma solo di quella britannica
e americana. Ed è una percezione che qualche
volta è condivisa dalla stessa Europa, tant'è
vero che a Tokio c'è appena stato un festival
di letteratura europea organizzato dall'Unione, dove
non compariva alcun autore inglese.
Di sicuro però l'Inghilterra è
uno dei personaggi più importanti dei suoi romanzi.
Non l'Inghilterra in generale ma lo Yorkshire in particolare.
E comunque l'ambiente non viene descritto in maniera
manzoniana, con lunghe panoramiche sul paesaggio, ma
attraverso le parole dei personaggi che ci vivono. Credo
che addirittura il modo di esprimersi della gente locale
sia forgiato dalla freddezza e inospitalità dello
Yorkshire.
Infatti il suo linguaggio è duro e spietato.
E' proprio il modo in cui parla la gente di lì:
parole grevi, dolorose, e pesanti come pietre. Ma devo
ammettere che quel linguaggio si adattava perfettamente
alla storia che volevo raccontare, e forse anche al
mio modo di essere.
Avrebbe difficoltà a scrivere una commedia?
Credo di sì. In astratto mi piacerebbe, e di
sicuro piacerebbe a mia madre, che vorrebbe tanto che
scrivessi qualcosa di più leggero. Ma credo che
ogni autore debba scrivere dei posti e dei temi verso
i quali sente una forte attrazione, un collegamento
emotivo. E la commedia per me non è abbastanza
interessante. Tant'è vero che anche il mio ultimo
romanzo, appena uscito in Inghilterra, racconta una
vicenda triste: lo sciopero dei minatori nel nord dell'Inghilterra
fra l'84 e l'85, che ha paralizzato tutta la nazione
ed è costato sangue e sofferenza.
E poi?
Poi tornerò a parlare dello Squartatore.
Ma non pensa di avere già detto tutto,
in quattro libri?
(Ride) Per niente. La stessa vicenda può essere
vista da cento punti diversi. Questa volta sceglierò
quello di un tale che, nel bel mezzo delle indagini,
ha mandato alla polizia una cassetta in cui si autoaccusava
di essere lo Squartatore. Era una bufala, ma la polizia
ci ha creduto per un bel pezzo, ha cominciato a sospettare
di chiunque avesse un accento simile a quello dell'uomo
della cassetta, compreso un mio amico, che per mesi
è stato perseguitato dalle autorità. Nessuno
ha mai scoperto l'identità del testimone segreto,
ma a me interessa proprio capire che razza di individuo
avesse potuto prendere un'iniziativa del genere, nel
clima di terrore e paranoia che si era instaurato allora.
A proposito di terrore e paranoia: pensa di
poter scrivere un romanzo sulla guerra attualmente in
corso?
No, mi sembra una cosa troppo distante. Ma sono d'accordo
che il tipo di paranoia che circola oggi in Gran Bretagna
nei confronti dei musulmani non sia troppo dissimile
da quella che racconto nei miei romanzi. E Osama bin
Laden è diventato nella mente popolare il nuovo
Squartatore. Succede sempre, quando la paura trova un'incarnazione
facile da demonizzare. Quando ero bambino, "Squartatore"
era un insulto che ci si gridava nei cortili di scuola.
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