268 - 25.12.04


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Il fantasma dello Squartatore
David Peace con Paola Casella


David Peace, 1980,
Marco Tropea Editore,
pp. 416, Euro 16,50

Ha un aspetto mite e gentile, nulla a che vedere con i protagonisti dei suoi romanzi: poliziotti corrotti, prostitute, e soprattutto l'orribile Squartatore dello Yorkshire, il serial killer realmente esistito che ha terrorizzato il nord dell'Inghilterra per anni - quelli in cui David Peace passava dall'infanzia all'adolescenza. Allo Strangolatore, Peace - classe 1967, nativo di Ossett - ha dedicato una quadrilogia, il cosiddetto Red Riding Quartet.

Ognuno dei quattro libri porta il nome di un anno in cui sono stati compiuti gli efferati delitti del mostro locale, ed è raccontato da un testimone diverso. Nel caso di 1980, il romanzo che chiude la quadrilogia e che esce ora in Italia per Marco Tropea, l'io narrante è Peter Hunter, poliziotto tosto e controverso, perseguitato dal fantasma dello Squartatore come dal suo passato e dai colleghi corrotti che ha contribuito a far arrestare. Il suo racconto è terso e crudele, ricco di dettagli più inquietanti che raccapriccianti, e l'atmosfera è di quelle da noir vecchio stile, anche se la musica che potrebbe fare da sottofondo alla vicenda è quella del rock duro dei primi anni Ottanta.

David Peace racconta la sua trilogia e la sua esperienza di espatriato: dallo Yorkshire è infatti stato catapultato a Tokio, causa una moglie giapponese e la stessa curiosità del mondo che l'aveva già portato ad insegnare inglese in Turchia.

Lontani da casa, ci si sente più inglesi?

A dire la verità, non mi sembra di appartenere ad alcuna nazionalità. Sono un figlio dello Yorkshire, questa è forse la mia identità geografica più vera.

Come scrittore, a quale tradizione fa riferimento?

Nè a quella europea, nè a quella americana in senso lato, solo ad alcuni singoli autori. Non vorrei apparire presuntuoso, soprattutto nel dire questo qui in Italia, ma per 1980 mi sono ispirato al Dante dell'Inferno e al pittore inglese Francis Bacon: entrambi hanno descritto perfettamente la sofferenza di personaggi intrappolati dalle loro circostanze. Ma in generale, non sono come i miei conterranei che fanno capo solo alla tradizione anglosassone.

Gli scrittori inglesi non ritengono di far parte della cultura letteraria europea, ma solo di quella britannica e americana. Ed è una percezione che qualche volta è condivisa dalla stessa Europa, tant'è vero che a Tokio c'è appena stato un festival di letteratura europea organizzato dall'Unione, dove non compariva alcun autore inglese.

Di sicuro però l'Inghilterra è uno dei personaggi più importanti dei suoi romanzi.

Non l'Inghilterra in generale ma lo Yorkshire in particolare. E comunque l'ambiente non viene descritto in maniera manzoniana, con lunghe panoramiche sul paesaggio, ma attraverso le parole dei personaggi che ci vivono. Credo che addirittura il modo di esprimersi della gente locale sia forgiato dalla freddezza e inospitalità dello Yorkshire.

Infatti il suo linguaggio è duro e spietato.

E' proprio il modo in cui parla la gente di lì: parole grevi, dolorose, e pesanti come pietre. Ma devo ammettere che quel linguaggio si adattava perfettamente alla storia che volevo raccontare, e forse anche al mio modo di essere.

Avrebbe difficoltà a scrivere una commedia?

Credo di sì. In astratto mi piacerebbe, e di sicuro piacerebbe a mia madre, che vorrebbe tanto che scrivessi qualcosa di più leggero. Ma credo che ogni autore debba scrivere dei posti e dei temi verso i quali sente una forte attrazione, un collegamento emotivo. E la commedia per me non è abbastanza interessante. Tant'è vero che anche il mio ultimo romanzo, appena uscito in Inghilterra, racconta una vicenda triste: lo sciopero dei minatori nel nord dell'Inghilterra fra l'84 e l'85, che ha paralizzato tutta la nazione ed è costato sangue e sofferenza.

E poi?

Poi tornerò a parlare dello Squartatore.

Ma non pensa di avere già detto tutto, in quattro libri?

(Ride) Per niente. La stessa vicenda può essere vista da cento punti diversi. Questa volta sceglierò quello di un tale che, nel bel mezzo delle indagini, ha mandato alla polizia una cassetta in cui si autoaccusava di essere lo Squartatore. Era una bufala, ma la polizia ci ha creduto per un bel pezzo, ha cominciato a sospettare di chiunque avesse un accento simile a quello dell'uomo della cassetta, compreso un mio amico, che per mesi è stato perseguitato dalle autorità. Nessuno ha mai scoperto l'identità del testimone segreto, ma a me interessa proprio capire che razza di individuo avesse potuto prendere un'iniziativa del genere, nel clima di terrore e paranoia che si era instaurato allora.

A proposito di terrore e paranoia: pensa di poter scrivere un romanzo sulla guerra attualmente in corso?

No, mi sembra una cosa troppo distante. Ma sono d'accordo che il tipo di paranoia che circola oggi in Gran Bretagna nei confronti dei musulmani non sia troppo dissimile da quella che racconto nei miei romanzi. E Osama bin Laden è diventato nella mente popolare il nuovo Squartatore. Succede sempre, quando la paura trova un'incarnazione facile da demonizzare. Quando ero bambino, "Squartatore" era un insulto che ci si gridava nei cortili di scuola.

 

 

 

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