Dan Briody,
Il triangolo di ferro,
traduzione di Bruna Tortorella,
Fusi Orari, pp. 213, Euro 12
Politicamente parlando, sono una casalinga di Voghera
(con tutto il rispetto per le casalinghe, di Voghera
e non): le cose mi vanno spiegate chiaramente, in termini
semplici e con esempi rapportabili alla quotidianità
- insomma, esattamente il contrario di quanto faccia
il politichese, e spesso anche il giornalismo politico.
Davanti a un saggio come Il triangolo di ferro di Dan
Briody, mi riconcilio con la mia capacità di
comprendere argomenti "tecnici" anche complessi.
Perché Briody, da buon giornalista anglosassone,
mi spiega in termini nitidi l'intricato scenario di
uno dei temi più scottanti della politica e dell'economia
americana - il rapporto fra la Casa Bianca e il Carlyle
Group, la società di investimenti più
controversa d'America - descrivendolo appunto come uno
scenario teatrale, anzi, televisivo: una telenovela
tragicomica che nulla ha da invidiare a Dinasty.
Tant'è vero che il saggio comincia con un elenco
di Personaggi e interpreti, dove compaiono i nomi di
George Bush, père et fils, del segretario della
Difesa Donald Rumsfeld e di Re Fahd d'Arabia, di Colin
Powell, dell'ex primo ministro inglese John Major e
di uno dei tanti fratelli di Osama bin Laden, tutti
citati come comprimari di una vicenda che riguarda tanto
il mondo della finanza americana quanto quello della
politica internazionale.
Accanto all'elenco dei personaggi in scena, c'è
la cronologia, riassunta per date, laddove alle date
delle acquisizioni più clamorose orchestrate
dal Carlyle Group - di solito fabbriche d'armi, rilevate
con l'agevolazione amichevole di ex componenti del governo
statunitense, più o meno direttamente legati
alla Difesa - ci sono alcune giornate memorabili nella
storia americana, dall'inizio della Guerra del Golfo
all'11 settembre.
Dopodiché, capitolo per dettagliatissimo capitolo,
si dipana l'avventura di un gruppetto di finanzieri
senza scrupoli e si delinea la rete che collega in America
industria bellica, governo e forze armate - il "triangolo
di ferro" del titolo -, potere politico e potere
economico, interessi privati e pubbliche cariche. Una
rete intessuta con pazienza e metodo da compagni di
università e di partite a tennis (verrebbe da
dire: di merende), che decidono delle sorti del mondo
nella lobby di un hotel (il Carlyle che ha dato il nome
al Gruppo) o su un campo da golf, che assumono l'uno
la moglie dell'altro, per meglio definire la struttura
"familiare" (nel senso meglio conosciuto in
Italia - quello mafioso) degli accordi.
Ripeto, niente da invidiare a Dinasty, solo che qui
si parla di vita vera, e di una politica internazionale
che ci riguarda tutti. L'autore del saggio, Dan Briody,
quello che è stato intervistato da Michael Moore
per Farenheit 9/11, sarà pure di parte, ma non
lo dà a vedere: spara a 360 gradi, facendo i
nomi dei politici Democratici quanto di quelli Repubblicani
coinvolti nell'affaire Carlyle, e si limita ad elencare,
senza quel sovrappiù di faziosità che
spesso penalizza i docu-film di Michael Moore, una serie
di fatti (e "I fatti" sia chiama la collana
della quale questo libriccino fa parte) che parlano
da soli, e che non sono mai stati smentiti dai diretti
interessati.
Fatti che descrivono una storia di "scorrettezze
aziendali, conflitti di interesse e sfruttamento della
propria influenza politica". Sounds familiar?
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