Esattamente
dieci anni fa scompariva Franco Fortini. Poeta, critico,
intellettuale militante, aveva condotto la sua molteplice
attività con una tensione etica e morale che
lo portavano ad una continua “verifica dei poteri”,
una verifica delle posizioni nelle tensioni storiche,
convinto che solo la critica inducesse il cambiamento
necessario.
Nato a Firenze il 1917 da padre israelita, Franco Lattes
aveva dovuto assumere nel 1940 il cognome della madre
per evitare le persecuzioni nazi-fasciste. Nel capoluogo
toscano, dove si laurea in Giurisprudenza e Storia dell’arte,
ha contatti, più che con l’ambiente ermetico,
con quello di Riforma letterarie e soprattutto con Noventa.
Nel 1939 si battezza come valdese e, chiamato alle armi,
dopo l’8 settembre ripara in Svizzera da dove
tornerà per partecipare alle ultime vicende della
Repubblica partigiana dell’Ossola. Dopo la guerra
si stabilisce a Milano dove sarà redattore tra
l’altro del “Politecnico” di Vittorini
e collaboratore di riviste quali “Comunità”,
“Officina”, “Ragionamenti”,
“Quaderni rossi” e “Quaderni piacenti”.
Lavora come copy writer alla Olivetti per poi insegnare,
prima negli istituti tecnici e poi all’Università
di Siena.
La sua attività di poeta inizia sotto l’inevitabile
segno dell’ermetismo con Foglio di via e altri
versi (1946). Seguiranno: Poesia ed errore
(1959), Questo muro (1973) e altre raccolte,
confluite poi in Una volta per sempre (1978).
Dell’84 Paesaggio con serpente e del ’94
Composita Salvantur.
Raffinato traduttore dal tedesco (soprattutto l’amato
Brecht e Goethe) e dal francese (Eluard, Proust, Baudelaire,
ecc.) ha raccolto alcune sue versioni in Il ladro
di ciliegie ed altre versioni nell’82.
Fortini è stato autore anche di opere narrative
e di saggi importanti, fra i quali ricordiamo Dieci
inverni, 1957, Verifica dei poteri, 1965,
Questioni di frontiera, 1977.
(l. s.)
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