Amedeo Osti Guerrazzi,
Poliziotti - i direttori
dei campi
di concentramento italiani 1940-1943,
Cooper,
pp. 173, Euro 14,00
"Del personale dei campi non si sa praticamente
nulla, tranne che proveniva dal ministero dell'Interno
e che, in genere, era formato da personaggi abbastanza
mediocri, di cui sono rimaste scarse tracce anche
nelle memorie degli internati". Da questa premessa
Amedeo Osti Guerrazzi è partito per affrontare
la ricerca necessaria a mettere insieme un saggio
informato e informativo come Poliziotti (Cooper),
che va a scoprire chi erano i direttori alla guida
dei campi di concentramento italiani fra il '40 e
il '43.
Prima di tutto c'era la necessità di illuminare
un angolo buio della nostra storia. Poi la curiosità
profonda di scoprire se è vero che spesso il
male ha come unico tratto saliente la banalità.
E infatti i ritratti che Osti Guerrazzi, giovane docente
di Lettere e Filosofia a La Sapienza, ha tratteggiato
nel suo breve ma intenso libriccino, raccontano storie
comuni di oscuri funzionari e ordinari travet che,
ricevuto un incarico inglorioso, hanno occupato la
poltrona loro assegnata con gradi diversi di acquiescienza,
senza però mai dimostrare un vero coinvolgimento
ideologico.
Negli oltre 50 campi di concentramento italiani erano
rinchiusi stranieri provenienti da stati nemici, antifascisti,
ebrei, "ex jugoslavi" e zingari, trattenuti
su ordine diretto del ministero dell'Interno (e spesso
senza la mediazione di alcun intervento giudiziario).
In questi campi non furono mai esplicati i livelli
di ferocia e la volontà genocida esercitati
nei campi tedeschi. La situazione era caratterizzata
"non da una disciplina particolarmente dura,
ma dalla difficoltà, soprattutto per gli internati
poveri, di sopravvivere in condizioni estremamente
difficili".
Osti Guerrazzi ha ritrovato i fascicoli relativi
a 36 poliziotti posti a capo dei campi, e ha scelto
di concentrare l'attenzione su 13 uomini, ognuno identificato
con un soprannome che fornisce talvolta un sunto delle
motivazioni del suo essere lì. Come a Spoon
River, c'è il Mazziere e il Giocatore, il Nipote
del vescovo e l'Antifascista, il Poeta e il Fallito,
lo Specialista e lo Sfortunato. E ci sono i tratti
comuni. Quasi tutti i direttori erano meridionali
piccolo-borghesi, "figli di impiegati, insegnanti
o agricoltori"; che avevano ottenuto un solido
impiego statale (il classico "posto sicuro")
tramite raccomandazione (allora detta "premura"),
e a dispetto di quella "premura", si erano
ritrovati a svolgere un compito scomodo presso "una
destinazione sgradita, dove la vita era spesso difficile
e il lavoro gravoso e privo di soddisfazioni".
Il momento decisivo, dal punto di vista morale, per
questi "poliziotti" che avevano accettato
l'incarico più per eseguire un ordine che per
scelta vera e propria, fu l'8 settembre. I direttori
"sapevano benissimo che, una volta in mano dei
tedeschi, la sorte degli (internati) ebrei sarebbe
stata segnata", e questo li costrinse di fatto
"a prendere posizione". "Coloro che
scelsero 'di non scegliere'", dice Osti Guerrazzi,
"furono veramente pochi". Ciò che
sembra aver accomunato questi uomini è stata
la volontà di "non esporsi", un atteggiamento
"specchio dell'ignavia di una pubblica amministrazione
immobile ed 'eterna'".
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