Degas, per la maggior parte delle persone, è
l’artista che ha raffigurato soprattutto il
mondo della danza classica. Tuttavia, pensare a lui
soltanto in questi termini, lo defrauda ingiustamente
della grande varietà e della complessità
della sua arte. Degas è stato infatti un eccellente
ritrattista, un interprete estremamente originale
di soggetti equestri, uno dei grandi maestri del nudo
del diciannovesimo secolo, un paesaggista estemporaneo,
nonché un innovatore come incisore e scultore.
Figura di spicco dell’avanguardia parigina,
dal 1870 al 1917, anno della sua scomparsa, Degas
ha esplorato un ampio ventaglio di tematiche, traendole
dalla vita parigina contemporanea. Eppure, la sua
arte, come quella di alcuni, anche se non di tutti
i suoi amici impressionisti, aveva profonde radici
nell’arte del passato e ciò conferisce
forza anche ai soggetti più audacemente moderni.
L’arte italiana ha svolto un ruolo di primo
piano nella formazione visiva dell’artista francese.
Egli era particolarmente attratto dai grandi artisti
italiani del primo e secondo Rinascimento. Inoltre,
suo padre aveva origini italiane ed egli parlava bene
la nostra lingua. Agli inizi della sua carriera artistica,
un lungo soggiorno in Italia gettò le basi
della sua crescita futura. Trascorse a Roma almeno
la metà dei tre anni vissuti in Italia, dal
1856 al 1859, recandosi a due riprese nella capitale,
trascorrendovi ogni volta all’incirca nove mesi.
Sebbene Degas non sia più tornato nella città
eterna, se non di passaggio, in occasione di viaggi
successivi a Napoli, più tardi asserirà
più tardi che l’esperienza romana aveva
illuminato la sua intera esistenza.
Alla metà degli anni ’50 dell’800,
anni in cui Degas intraprendeva la propria carriera,
un periodo di studio a Roma era ritenuto ancora indispensabile
per la formazione di un artista. Il decennio successivo
vide l’ascesa di una nuova avanguardia guidata
da Manet ed immediatamente seguita dagli impressionisti,
che abbandonarono i soggetti storici e religiosi,
prima considerati gli unici degni di essere trattati
in arte, per abbracciare appieno la rappresentazione
della vita contemporanea. Allora, Parigi sostituì
Roma nel suo ruolo di capitale dell’arte e,
alla fine del diciannovesimo secolo, era a Parigi
che si recavano gli artisti di tutto il mondo, alla
ricerca di ispirazione e formazione. Tuttavia, nel
1856, quando Degas aveva ventidue anni, Roma costituiva
ancora la meta di elezione degli aspiranti artisti
ed egli non fece eccezione. I più dotati si
contendevano il prestigioso Prix de Rome,
costituito da una borsa di studio che consentiva ai
vincitori di soggiornare e lavorare all’Accademia
di Francia, situata a Villa Medici, un edificio rinascimentale
vicino ai giardini di Villa Borghese. I vincitori
del Prix de Rome erano tenuti ad inviare
a Parigi un grande dipinto dimostrativo, di soggetto
storico o religioso, che avrebbe consentito loro di
esibire al Salon annuale di Parigi le nozioni
di arte del disegno, prospettiva e composizione, apprese
a Roma.
Lo stesso Degas aveva ricevuto una modesta educazione
formale. Aveva abbandonato, infatti, molto presto
gli studi di diritto e aveva frequentato solo per
qualche mese, in qualità di allievo, l’Ecole
des Beaux-Arts di Parigi. Prese altresì
lezioni da Louis Lamothe, un pittore di Lione che
era stato discepolo del grande Jean-Dominque Ingres,
la cui purezza di linee e perfezione di superfici,
aveva eletto a geniale rappresentante del classicismo
di matrice raffaellesca nel diciannovesimo secolo.
Tuttavia, Degas non si formò in ambito scolastico:
la sua formazione derivò bensì dall’esercizio
della copia dei capolavori dei Vecchi Maestri esposti
al Louvre, e delle incisioni conservate alla Bibliothèque
Nationale. Emerse però, ben presto, la
necessità imperiosa di studiare l’arte
Italiana. Formatosi nella tradizione di Ingres, che
aveva trascorso quattordici anni a Roma ed era stato
direttore dell’Académie de France,
il pellegrinaggio nella città eterna divenne
per Degas, una necessità.
La decisione di Degas di vivere per un periodo in
Italia fu agevolata dal fatto che egli aveva numerosi
parenti residenti a Napoli ed alcuni cugini a Firenze.
Suo nonno paterno, Hilaire De Gas, era fuggito da
Parigi ai tempi della Rivoluzione, si era stabilito
a Napoli ed aveva sposato la figlia di un importante
uomo d’affari locale. Aveva fatto presto fortuna
e, quando nel luglio del 1856 Degas giunse a Napoli
da Marsiglia, trovò, ad attenderlo, nell’imponente
edificio tardo barocco di Palazzo Pignatelli, vicino
alla Chiesa del Gesù Nuova nel cuore di Napoli,
il nonno, tre zii scapoli e due zie venute da fuori
con i rispettivi figli. Degas iniziò immediatamente
a copiare le sculture antiche e i dipinti murali romani
al Museo Borbonico (oggi Museo Nazionale). Quando
la calura estiva si faceva eccessivamente opprimente,
Hilaire ed il suo entourage si trasferivano a San
Rocco di Capodimonte, sopra il Golfo di Napoli. Fu
proprio lì che Degas iniziò a realizzare
i finissimi ritratti dei parenti italiani, che ricordano
gli splendidi ritratti a matita realizzati da Ingres
a Roma negli anni ’20 dell’800. Degas
si trovò a suo agio con il ramo italiano della
famiglia e la visita a Napoli fu fruttuosa; tuttavia,
nel mese di ottobre del 1856, era ormai pronto per
Roma. Fu così che salpò verso l’antico
porto romano di Cittavecchia. (...)
Il primo soggiorno di Degas a Roma fu interrotto in
maniera alquanto brusca ed inaspettata da una lettera
scritta da Napoli, il 16 luglio 1857 dal nonno malato,
che chiedeva al nipote di rientrare con urgenza nella
città partenopea. Egli trascorse ancora una
volta la gran parte dell’estate a San Rocco
di Capodimonte. In quel periodo, dipinse il celebre
ritratto di suo nonno ottantaseienne, una delle sue
migliori opere giovanili. Hilaire vi è raffigurato
seduto, in posizione eretta, su un divano a righe,
in abiti eleganti, con un panciotto bianco e il bastone
da passeggio sulle ginocchia (fig.00- Ritratto Orsay).
Questo ritratto, in cui Degas ci mostra un uomo austero
e mite nel contempo, vulnerabile ma ancora fiero,
preannuncia il sottilissimo senso della posa, del
gesto e dell’analisi psicologica che caratterizzerà
la sua produzione di ritratti nell’arco dell’
intera carriera
Nel mese di ottobre del 1857 Degas tornò a
Roma. Il suo secondo soggiorno nella città
eterna si rivelò molto più movimentato
ed istruttivo del primo. Dalla corrispondenza con
la sorella Thérèse, sappiamo che risiedeva
al numero 18 di San Isidoro, al Pincio, vicino alla
chiesa omonima. Tornato alle lezioni di disegno dal
vero a Villa Medici, riuscì ad intessere una
vasta rete di amicizie con gli artisti francesi, tra
cui Elie Delaunay, discepolo di Flandrin, il pittore
di storia Emile Lévy, lo scultore Henri Chapu,
Léon Bonnat, a Roma grazie ad una borsa di
studio della sua città natale Bayonne, e Jean-Gabriel
Tourny, pittore e incisore più anziano, a Roma
su incarico del politico Adolphe Thiers, che lo aveva
incaricato di realizzare riproduzioni degli affreschi
della Cappella Sistina. Degas produsse una bella incisione
con il ritratto di Tourny ed un autoritratto, entrambi
influenzati da Tourny, e nel segno dell’ ammirazione
per Rembrandt. (...)
L’evento di gran lunga più significativo
del soggiorno romano fu il suo incontro con il pittore
Gustave Moreau, le cui esotiche fantasticherie mitologiche
lo avrebbero eletto ad idolo dei Simbolisti alla fine
del secolo. La fantasia mistica e soffocante espressa
nei dipinti della maturità di Moreau, è
sottolineata dall’ hôtel particulier,
di aspetto piuttosto lugubre, situato nel nono arrondissement
nel quale l’artista esercitava il suo influsso
e che oggi ospita il Museo Gustave Moreau. Il Moreau
giovane artista a Roma era colto, loquace e carismatico.
Dotato di grandi capacità di comunicare, condivideva
con i suoi amici di Villa Medic che nutrivano per
lui grande ammirazione, uno smisurato entusiasmo per
tutto quanto si potesse apprendere a Roma. Mostrava
già quella capacità di condividere il
sapere, scevra da qualsiasi atteggiamento di sufficienza,
che lo renderà più tardi maestro ispiratore
di Matisse, Rouault, Marquet ed altri artisti della
generazione più giovane, alla fine del secolo.
Dalle frequenti lettere scritte da Moreau ai suoi
affezionatissimi genitori rimasti a Parigi, emerge
un quadro ben chiaro della routine giornaliera di
un giovane studente a Roma, di giornate senz’altro
non molto diverse da quelle di Degas. Il 12 Novembre
1857, Moreau scrisse ai genitori descrivendo una sua
giornata tipo. Si svegliava alle sette, faceva colazione
al Caffè Greco di Via Condotti ove osservava
i giovani di diverse nazionalità così
“ridicoli nei loro costumi eccentrici”.
Trascorreva il suo tempo, copiando un affresco di
Sodoma alla Farnesina. Con un traghetto attraversava
il Tevere per rientrare a casa nel tardo pomeriggio
e, dopo cena, passava la serata disegnando o studiando
l’italiano.
Durante le loro lunghe ed animate conversazioni sull’arte
a Roma, e nell’autunno-inverno 1857-58 trascorso
insieme a Firenze, Moreau introdusse il suo “discepolo”
al colore dei Veneziani, in particolare di Tiziano
e di Veronese, alla tradizione coloristica barocca
di Rubens e Van Dyck e del loro emulo ottocentesco,
Delacroix. Fu probabilmente sotto la guida di Moreau
che Degas realizzò la copia dei personaggi
di Cornelis dal Ritratto di Lucas e Cornelis
de Wael di Van Dyck conservato ai Musei Capitolini,
così come la copia parziale, realizzata verso
la fine dell’anno, del grande ritratto equestre
di Carlo V esposto alla Galleria degli Uffizi di Firenze:
un opera di cui Moreau realizzò una copia integrale.
E sempre a Moreau Degas dovette la sua duratura passione
per l’opera di Delacroix, una passione che non
ebbe difficoltà a coniugare con la sua non
meno ardente ammirazione per Ingres, il maestro della
linea. Nell’opera di Degas ritroviamo costantemente
i due fili conduttori della linea e del colore. La
mente indagatrice e curiosa di Moreau lo indusse allo
studio approfondito delle tecniche dei Vecchi Maestri,
nell’intento di riprodurne colori e struttura
nella maniera fedele il più possibile. Utilizzava
gli acquerelli per ottenere l’effetto opaco
dell’affresco, e la tempera rafforzata con l’acquerello
o con il pastello per emulare gli affreschi ad olio.
Degas dovette al rapporto giovanile con Moreau, il
suo duraturo entusiasmo per la sperimentazione tecnica
e, forse, anche l’iniziazione al pastello, mezzo
che avrebbe dominato la sua produzione artistica tarda.
Le opera realizzate da Degas nel corso dei due soggiorni
a Roma seguono esattamente lo stesso iter di quelle
di qualsiasi giovane artista nella città eterna:
copie di opere dei Vecchi Maestri in chiese e musei,
disegni di nudo, dipinti di “tipi” romani.
Un nudo di uomo, realizzato da Degas (collezione privata),
assomiglia molto ad un’opera di Moreau (fig.00),
e ciò sta ad indicare che i due artisti lavoravano
fianco a fianco. La realizzazione di copie costituiva
la parte dominante della sua attività. Ne produsse
una del San Girolamo di Leonardo, una del
Perseo di Canova custodito in Vaticano ed
una di un mosaico attribuito a Giotto nel porticato
di San Pietro, oltre alle copie della Flagellazione
di Sant’Andrea, affresco del Domenechino
custodito a San Andrea e di sculture greche e romane
esposte ai Musei Capitolini, in Vaticano e a Villa
Albani. Studiò anche la collezione di incisioni
di Villa Medici. All’aperto, realizzò
alcuni schizzi del Colosseo, del Foro, dei giardini
di Villa Borghese e della folla radunata a San Pietro
il lunedì e il martedì. I suoi taccuini
rivelano che, nel periodo romano, Degas lavorò
senza sosta, e testimoniano dell’operare di
un giovane artista in cerca della propria strada.
Ciò che lo preoccupa maggiormente è
la necessità di realizzare un ambizioso dipinto
storico o religioso, che gli avrebbe procurato il
riconoscimento al Salon di Parigi ed i suoi
taccuini sono pieni di disegni preparatori, quasi
ossessivi, di progetti mai realizzati.
(...)
Degas non avrebbe più fatto ritorno a Roma,
se non di passaggio in occasione di alcuni viaggi
compiuti a Napoli negli anni ’70 e ’80
dell’800, resisi necessari per sistemare alcune
questioni di famiglia. Tuttavia, i diciotto mesi trascorsi
nella città eterna agli inizi della carriera,
lasciarono un segno profondo e duraturo nella sua
opera. E’ significativo come, negli anni ’90,
anni in cui creava la grande collezione di opere di
altri artisti e raccoglieva con avidità i disegni
di Ingres, di Delacroix e di molti altri, Degas abbia
organizzato e classificato anche i propri disegni,
etichettandoli ed appendendoli al muro del suo appartamento
parigino. Egli contrassegnò la maggior parte
dei disegni realizzati a Roma con la data generica
“Roma, 1856”, ma è degno
di nota il fatto che, in un momento successivo della
sua carriera, divenuto ormai un artista quotato ed
ammirato, egli pensasse che valesse ancora la pena
di sistemare ed esporre i disegni romani degli inizi.
Inoltre, tra tutte le opere di epoche diverse che
Degas conservava nel suo studio, egli scelse La
Mendicante Romana quale opera da vendere al mercante
d’arte Durand-Ruel nel 1895: una delle pochissime
opere giovanili ad uscire dal suo studio prima della
morte.
Degas non tornò a Parigi con la `grande
machine` che ci si sarebbe aspettati, ma portò
con sé un carico di conoscenze che avrebbe
influenzato l’iter della sua carriera successiva.
Le qualità che in ultima analisi avrebbero
caratterizzato la sua produzione artistica, quali:
senso del colore, dello spazio, del movimento, del
gesto e della sfumatura psicologica, si evidenziano
già nelle opere realizzate a Roma. Il dipinto
che essenzialmente sintetizza l’esperienza romana
di Degas è l’Autoritratto con cappello
floscio, 1857 (fig.00 – Williamstown).
Sebbene questo piccolo seppur splendido ritratto rientri
nella categoria dei ritratti di dimensioni ridotte,
molto in voga tra gli studenti di Villa Medici, esso
preannuncia l’orientamento personale di Degas.
Egli si presenta chiaramente con un cappello a tesa
floscia ed una sciarpa arancio, stile “bohemien”,
che scende morbida e fluente. Lo sguardo fermo trasmette
autoanalisi, associata ad una nuova sicurezza. La
chiarezza della linea, il ductus pittorico e il senso
del colore, evidente nell’accostamento dell’arancio
brillante con i toni più scuri e spenti, preannunciano
quella stessa padronanza e abilità nell’arte
del disegno e nella gestione del colore, che l’artista
svilupperà in modo così eccezionale
negli anni a venire. Non è esagerato asserire
che a Roma Degas abbia trovato l’artista che
era in lui.
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