Dal
15 ottobre 2004 al 30 gennaio 2005, a Verona presso
la Galleria d’Arte Moderna, è possibile
visitare la mostra Kandinsky e l’anima
russa: centotrenta opere di straordinaria intensità,
fra le più significative della storia dell’arte
russa dall’Ottocento ad oggi. Dai pittori ‘ambulanti’
dell’800, alle avanguardie dei Kandinsky, Malevich,
Goncharova, alla visionaria iconografia di Chagall,
ai linguaggi contemporanei.
Il pezzo che segue è un estratto dalle pagine
del catalogo della mostra.
Da qualche dettaglio impercettibile riconosciamo in
un’opera d’arte il suo substrato nazionale.
«Oh, questi sono ovviamente italiani», «Sì,
questo quasi sicuramente è un artista americano»,
«Direi che qui si nota lo stile tedesco».
Giudizi di questo tipo sono molto diffusi, e non solo
tra gli esperti. Il fatto che anche i normali appassionati
d’arte percepiscano i tratti distintivi delle
diverse scuole nazionali, conferma la loro reale esistenza.
Questi tratti, espressi nelle preferenze tematiche e
nelle scelte cromatiche e plastiche, riflettono le caratteristiche
della poetica di ogni popolo.
Sotto questo profilo, la Russia non fa eccezione. Ma
l’arte di questo paese, purtroppo, è poco
conosciuta all’estero. Il lungo isolamento della
Russia - allora Unione Sovietica - nel XX secolo ha
limitato le possibilità di mostrare, studiare
e di conseguenza capire la sua arte. Per la stessa ragione,
si è formata l’opinione superficiale di
un carattere derivativo dell’arte russa, a partire
dall’epoca di Pietro il Grande, quando essa fece
il suo ingresso nell’«unione artistica europea».
Di fatto, fino alla fine del XVII secolo l’arte
figurativa russa consisteva praticamente nella pittura
di icone che, assieme all’architettura religiosa,
occupava quasi tutto lo spazio del mondo visivo.
In Russia, il Settecento fu in realtà più
europeo che russo: tale era l’orientamento di
Pietro il Grande, che aspirava, in tutto, ad avvicinare
la Russia all’Europa. Un orientamento seguito,
con alcune varianti, anche da Caterina II, la principessa
tedesca Anhalt-Zerbst divenuta imperatrice nel 1762.
Voltaire e Diderot determinarono, sotto molti aspetti,
le idee etiche ed estetiche della società colta
dell’epoca. Tra gli architetti e gli artisti si
contavano più stranieri che russi. La giovane
generazione di pittori e scultori che entrò nell’Accademia
di Belle Arti, inaugurata nel 1764, studiò all’inizio
con i francesi, gli italiani e i tedeschi che insegnavano
nei diversi corsi. Tutto il sistema dell’educazione
artistica dell’epoca era imperniato su principî
europei. Fino alla fine del XVIII secolo, tra i temi
che ispiravano gli artisti russi raramente apparivano
soggetti nazionali. Essi conoscevano meglio i motivi
mitologici e biblici della storia patria. Il disegno
da calchi antichi, conservati nell’Accademia di
Belle Arti, o la copia di stampe da originali italiani
o francesi, conferivano uno stile europeo alle opere
dei maestri russi di quel periodo. Anche se, ovviamente,
non era possibile passare «in un secolo dal Domostroj
dell’arciprete Silvestr’ all’Enciclopedia
di Diderot e D’Alembert» senza che restassero
tracce di tradizioni ormai secolari[…].
Gli eventi bellici dell’inizio dell’Ottocento,
la vittoria della Russia sulle armate napoleoniche e,
di conseguenza, il suo nuovo ruolo in Europa, stimolarono
l’attenzione verso la storia patria. Molti nobili
colti dell’epoca si appassionarono alla raccolta
di antichità archeologiche e di monumenti della
cultura nazionale. Dall’inizio del secolo, sulla
stampa si comincia a discutere attivamente dell’eventuale
creazione di un museo d’arte nazionale (allora
come oggi, l’Ermitage era orientato verso la cultura
occidentale). All’inizio degli anni venti, Pavel
Svin’in, diplomatico, collezionista e giornalista,
crea il primo nucleo privato del «Museo russo»,
per il quale acquisisce rarità storiche, quadri
e sculture che, a tutt’oggi, sono l’orgoglio
delle collezioni del Museo russo di San Pietroburgo,
della Galleria Tret’yakov di Mosca e di altre
raccolte.
Sull’onda di questo interesse verso l’aspetto
nazionale, nella vita artistica russa compare Aleksey
Venetsianov, autore di opere uniche, che ritraggono
non solo la vita quotidiana, ma anche il carattere spirituale
del semplice uomo russo. A differenza degli allievi
dell’Accademia di Belle Arti, Venetsianov ritraeva
dal vero la vita comune, le baracche – Aia -,
l’atmosfera di una casa di proprietari terrieri
- La mattina della possidente -, le contadine e i contadini
delle campagne circostanti impegnati nei lavori quotidiani.
Ma egli non dipingeva solo dal vero. Nel suo studio
c’erano sempre calchi di antiche sculture. All’inizio
della sua carriera, egli copiava all’Ermitage
le più importanti opere d’arte dei maestri
italiani. Venetsianov considerava come scopo principale
della sua attività artistica l’affermazione
di un ideale nazionale di bellezza e spiritualità.
Nella sua Mietitrice, una tela di piccole dimensioni,
è raffigurata l’immagine icastica di una
contadina russa, espressione di un ideale che richiama
i maestri del Rinascimento italiano. Ai suoi allievi,
Venetsianov insegnava a osservare la natura e a trarne
ciò che sentivano più vicino alla loro
anima, come avrebbe fatto Vassily Kandinsky quasi un
secolo più tardi.
Evidentemente, è per questo motivo che la cosiddetta
scuola di Venetsianov riuniva artisti tanto diversi
fra loro. Grigory Soroka è un lirico, e i suoi
paesaggi sono intrisi di uno stato d’animo, tipicamente
russo, di sommessa tristezza. Nikifor Krylov, invece,
è un ottimista pieno di gioia di vivere, amante
dei freddi inverni russi, della neve che scricchiola
sotto gli stivali. Una tipica scena della campagna russa
- una conversazione di contadine vicino al pozzo –
viene organicamente inserita da Krylov in un paesaggio
di lontani orizzonti, ammantati in bianche vesti di
neve (Inverno russo). Le tele di Venetsianov,
così come quelle dei suoi seguaci, vennero esposte
alle mostre allestite a Pietroburgo tra il 1820 e il
1840, ed esercitarono una notevole influenza sull’intera
generazione degli artisti russi della metà del
XIX secolo. Fra questi Pavel Fedotov che, come Venetsianov,
seguì i corsi serali dell’Accademia di
Belle Arti, nel tempo libero dal servizio militare.
Attorno a Fedotov si svolgeva la vita concreta dei suoi
commilitoni, dei suoi amici e conoscenti: in quell’atmosfera,
egli vedeva soggetti e temi meritevoli di essere ritratti
nell’arte coeva più di quanto non lo fossero
i motivi biblici e mitologici, allora in voga nell’ambiente
degli artisti vicini all’Accademia. La domanda
di matrimonio del maggiore (1851 circa), La
vedovella (1851) e altri temi si ispirano alla
vita reale, anche se in essi serpeggia sempre una componente
moraleggiante, consona alle questioni sociali dell’epoca.
In questo senso, Fedotov era vicino a Hogarth, che amava
e studiava. Ma le sue tele si ispirano a soggetti tipicamente
russi, pullulano di tipi e atmosfere russe. Da queste
opere, così come nella letteratura di quegli
anni - Nikolay Gogol’, il primo Dostoevsky -,
emerge uno sguardo attento e acuto sulle condizioni
di vita e sul destino dell’uomo medio, con le
sue gioie e le sue miserie.
Comune di Verona
Galleria d’Arte Moderna
Via A. Forti, 1 – 37121 Verona
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