Amos Oz, Contro il fanatismo,
Feltrinelli editore, pagg. 78 € 4,50
E’ strano ammetterlo ma, non ci stancheremmo
mai di guardare quello spettacolare attentato dell’11
settembre contro le torri gemelle di New York. Sì,
proprio così, spettacolare. La manifestazione
più dirompente e straordinaria che una mente
fanatica abbia potuto organizzare. Più guardiamo
gli aerei trapassare le torri e poi l’eccezionale
crollo, più siamo in bilico tra lo stupore
e l’orrore. Ecco, questo essere in bilico ci
protegge da quel male incontrollabile e dolorosamente
irrazionale che è il fanatismo.
“L’11 settembre non ha nulla a che vedere
con la questione se l’America sia buona o cattiva
– scrive Amos Oz – Il fanatismo è
più antico dell’islam, del cristianesimo,
dell’ebraismo, più antico di ogni stato
o governo, di ogni sistema politico, più antico
di tutte le ideologie e di tutte le confessioni del
mondo. Il fanatismo è, disgraziatamente, una
componente onnipresente della natura umana; un gene
perverso, se volete chiamarlo così”.
Contro il fanatismo è il titolo del
libro di Oz, edito da Feltrinelli. Una riflessione
su questa malattia dello spirito, che parte da lontano,
dall’infanzia dell’autore nato a Gerusalemme
da genitori legati all’Europa ma che dall’Europa
furono cacciati. Nasce così questo scritto,
sulle ambivalenze della Storia e dei sentimenti di
odio – amore per una terra. “Mio padre
mi diceva sempre per scherzo, che in Cecoslovacchia
ci sono tre nazionalità: i cechi, gli slovacchi
e i cecoslovacchi, cioè noi, gli ebrei –
prosegue Oz – E naturalmente in Inghilterra
abbiamo inglesi e gallesi e scozzesi e britannici,
cioè ancora una volta, noi. Ma ovviamente il
loro amore per l’Europa non fu affatto contraccambiato.
I più fortunati vennero espulsi con un calcio.
Gli altri non lasciarono l’Europa da vivi. E
comunque, i miei genitori portarono con sé
a Gerusalemme la loro passione respinta”.
Come sempre accade nelle opere di Amos Oz, è
il doppio valore il vero protagonista; la capacità
umana di comprendere due posizioni diverse. Una soluzione
che nasce da un’esperienza di condivisione territoriale
difficile e drammatica, quella tra Israele e la Palestina.
Il fanatico invece, è colui che non accetta
il compromesso, la spartizione. Il fanatico è
colui che non condivide situazioni aperte, che ha
una delirante, unica visione dell’esistenza
e della morte. Per il fanatico non ci sono soluzioni,
tutto è stramaledettamente tragico.
Il fanatico è colui che non sa immaginare situazioni
aperte, che vorrebbe piegare l’intero mondo
ai propri valori, che non sa riconoscere l’altro
da sé. L’essenza del fanatismo sta nel
desiderio di costringere gli altri a cambiare. L’interrogativo
è: un fanatico può guarire? Per lo scrittore
israeliano, la letteratura può essere un antidoto,
perché essa è immaginazione, compenetrazione
in ruoli altrui, è visione aperta sulla vita,
sulle possibilità esistenziali. Leggere Shakespeare,
Gogol, Kafka, William Faulkner, Yehuda Amichai, potrebbe
essere un’ottima terapia secondo Oz. Bisogna
immaginare l’altro, questo vuol dire comprendersi
ma soprattutto aprirsi alla speranza.
Questo libro, così realistico, così
legato alla storia ontologica del popolo ebreo, così
ironico – perché l’umorismo è
relativismo, è la facoltà di vedersi
così come ti vede il prossimo, commenta Oz
– questo libro è un vero e proprio inno
alla speranza. La speranza di vedere un giorno, due
popoli, vivere in pace. “La lotta fra ebrei
israeliani e arabi palestinesi – afferma Amos
Oz – non è di fatto una guerra di religione,
benché fanatici su entrambi i fronti stiano
cercando di renderla tale. Di fatto non è altro
che un conflitto territoriale sulla dolente questione
del «a chi appartiene questa terra?».
Una disputa immobiliare sulla proprietà dello
stabile. Sono convinto che si possa arrivare a una
soluzione”. Un divorzio, una spartizione equa,
è questa la speranza di Oz e degli intellettuali
israeliani, che accolgono le ragioni storiche e culturali
di due popoli divisi tra diritto e diritto.
Sì perché la Palestina, è l’unica
patria del popolo palestinese e Israele è l’unico
paese al mondo che gli ebrei israeliani possano chiamare
nazione, la loro nazione d’appartenenza. L’equilibrio
del bene e del male, del torto e della ragione, è
il vero punto di forza della letteratura di Amos Oz.
Un equilibrio che i due popoli ripudiati – i
palestinesi dal mondo arabo, gli israeliani dall’Europa
- devono rivendicare; un nuovo, vero compromesso,
in cui nessuno dei due popoli deve piegarsi all’altro.
Nessun vincitore quindi, d’altronde sarebbe
paradossale pensarlo in un conflitto tra due vittime.
“Due vittime dello stesso oppressore –
dice Oz- l’Europa, che ha colonizzato il mondo
arabo, l’ha sfruttato, umiliato, ne ha calpestato
la cultura. L’Europa che ha discriminato, perseguitato,
dato la caccia e infine sterminato in massa gli ebrei
perpetrando un genocidio senza precedenti”.
Non hanno il sapore della polemica queste affermazioni,
né quello dell’odio, bensì di
un desiderio di speranza – di nuovo la speranza-
che gli errori della Storia non siano eterni, che
davvero si possa cambiare, con il compromesso. “Non
è una decisione facile per gli israeliani –
conclude Oz – eppure debbono prenderla. I palestinesi
dal canto loro dovranno sacrificare parti che erano
loro prima del 1948, e questo farà male. Addio
Haifa, addio Giaffa, addio Beer Sheva, e molte altre
cittadine e villaggi che erano arabi e che non lo
sono più. Questo brucerà da morire.
A voi europei tocca riservare ogni oncia di aiuto
e solidarietà a questi due pazienti, sin d’ora.
Non dovete più scegliere fra essere pro Israele
o pro Palestina. Dovete essere per la pace”.
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