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Contro il fanatismo, l’immaginazione
Cristina Fassianòs

Amos Oz, Contro il fanatismo, Feltrinelli editore, pagg. 78 € 4,50

E’ strano ammetterlo ma, non ci stancheremmo mai di guardare quello spettacolare attentato dell’11 settembre contro le torri gemelle di New York. Sì, proprio così, spettacolare. La manifestazione più dirompente e straordinaria che una mente fanatica abbia potuto organizzare. Più guardiamo gli aerei trapassare le torri e poi l’eccezionale crollo, più siamo in bilico tra lo stupore e l’orrore. Ecco, questo essere in bilico ci protegge da quel male incontrollabile e dolorosamente irrazionale che è il fanatismo.

“L’11 settembre non ha nulla a che vedere con la questione se l’America sia buona o cattiva – scrive Amos Oz – Il fanatismo è più antico dell’islam, del cristianesimo, dell’ebraismo, più antico di ogni stato o governo, di ogni sistema politico, più antico di tutte le ideologie e di tutte le confessioni del mondo. Il fanatismo è, disgraziatamente, una componente onnipresente della natura umana; un gene perverso, se volete chiamarlo così”.

Contro il fanatismo è il titolo del libro di Oz, edito da Feltrinelli. Una riflessione su questa malattia dello spirito, che parte da lontano, dall’infanzia dell’autore nato a Gerusalemme da genitori legati all’Europa ma che dall’Europa furono cacciati. Nasce così questo scritto, sulle ambivalenze della Storia e dei sentimenti di odio – amore per una terra. “Mio padre mi diceva sempre per scherzo, che in Cecoslovacchia ci sono tre nazionalità: i cechi, gli slovacchi e i cecoslovacchi, cioè noi, gli ebrei – prosegue Oz – E naturalmente in Inghilterra abbiamo inglesi e gallesi e scozzesi e britannici, cioè ancora una volta, noi. Ma ovviamente il loro amore per l’Europa non fu affatto contraccambiato. I più fortunati vennero espulsi con un calcio. Gli altri non lasciarono l’Europa da vivi. E comunque, i miei genitori portarono con sé a Gerusalemme la loro passione respinta”.

Come sempre accade nelle opere di Amos Oz, è il doppio valore il vero protagonista; la capacità umana di comprendere due posizioni diverse. Una soluzione che nasce da un’esperienza di condivisione territoriale difficile e drammatica, quella tra Israele e la Palestina. Il fanatico invece, è colui che non accetta il compromesso, la spartizione. Il fanatico è colui che non condivide situazioni aperte, che ha una delirante, unica visione dell’esistenza e della morte. Per il fanatico non ci sono soluzioni, tutto è stramaledettamente tragico.
Il fanatico è colui che non sa immaginare situazioni aperte, che vorrebbe piegare l’intero mondo ai propri valori, che non sa riconoscere l’altro da sé. L’essenza del fanatismo sta nel desiderio di costringere gli altri a cambiare. L’interrogativo è: un fanatico può guarire? Per lo scrittore israeliano, la letteratura può essere un antidoto, perché essa è immaginazione, compenetrazione in ruoli altrui, è visione aperta sulla vita, sulle possibilità esistenziali. Leggere Shakespeare, Gogol, Kafka, William Faulkner, Yehuda Amichai, potrebbe essere un’ottima terapia secondo Oz. Bisogna immaginare l’altro, questo vuol dire comprendersi ma soprattutto aprirsi alla speranza.

Questo libro, così realistico, così legato alla storia ontologica del popolo ebreo, così ironico – perché l’umorismo è relativismo, è la facoltà di vedersi così come ti vede il prossimo, commenta Oz – questo libro è un vero e proprio inno alla speranza. La speranza di vedere un giorno, due popoli, vivere in pace. “La lotta fra ebrei israeliani e arabi palestinesi – afferma Amos Oz – non è di fatto una guerra di religione, benché fanatici su entrambi i fronti stiano cercando di renderla tale. Di fatto non è altro che un conflitto territoriale sulla dolente questione del «a chi appartiene questa terra?». Una disputa immobiliare sulla proprietà dello stabile. Sono convinto che si possa arrivare a una soluzione”. Un divorzio, una spartizione equa, è questa la speranza di Oz e degli intellettuali israeliani, che accolgono le ragioni storiche e culturali di due popoli divisi tra diritto e diritto.

Sì perché la Palestina, è l’unica patria del popolo palestinese e Israele è l’unico paese al mondo che gli ebrei israeliani possano chiamare nazione, la loro nazione d’appartenenza. L’equilibrio del bene e del male, del torto e della ragione, è il vero punto di forza della letteratura di Amos Oz. Un equilibrio che i due popoli ripudiati – i palestinesi dal mondo arabo, gli israeliani dall’Europa - devono rivendicare; un nuovo, vero compromesso, in cui nessuno dei due popoli deve piegarsi all’altro.

Nessun vincitore quindi, d’altronde sarebbe paradossale pensarlo in un conflitto tra due vittime. “Due vittime dello stesso oppressore – dice Oz- l’Europa, che ha colonizzato il mondo arabo, l’ha sfruttato, umiliato, ne ha calpestato la cultura. L’Europa che ha discriminato, perseguitato, dato la caccia e infine sterminato in massa gli ebrei perpetrando un genocidio senza precedenti”.

Non hanno il sapore della polemica queste affermazioni, né quello dell’odio, bensì di un desiderio di speranza – di nuovo la speranza- che gli errori della Storia non siano eterni, che davvero si possa cambiare, con il compromesso. “Non è una decisione facile per gli israeliani – conclude Oz – eppure debbono prenderla. I palestinesi dal canto loro dovranno sacrificare parti che erano loro prima del 1948, e questo farà male. Addio Haifa, addio Giaffa, addio Beer Sheva, e molte altre cittadine e villaggi che erano arabi e che non lo sono più. Questo brucerà da morire. A voi europei tocca riservare ogni oncia di aiuto e solidarietà a questi due pazienti, sin d’ora. Non dovete più scegliere fra essere pro Israele o pro Palestina. Dovete essere per la pace”.

 

 

 

 

 

 

 

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