Peter Kruger si occupa di sviluppo di servizi
web finalizzati alla distribuzione di video per Tiscali.
Quello che segue è il testo del suo intervento
al convegno Obiettivo cinema organizzato a Roma dalla
Fondazione Glocus.
La
mia è un’intromissione: non mi occupo
di cinema, sono piuttosto quello che si direbbe un
"internettaro". Il punto di vista che posso
offrire è dunque quello di uno che conosce
bene la Rete e che si sta accorgendo di una trasformazione
in atto, le cui conseguenze saranno considerevoli:
lo stiamo già vedendo nel campo della musica,
lo vedremo - forse a ritmo accelerato - anche nel
cinema.
Le grandi promesse sullo sfruttamento del video su
Internet fatte nel biennio dell’euforia, cioè
nel 1999/2000, sono state tutte più o meno
sfatate, con la conseguenza anche di notevoli disastri.
Questo ha creato un paradosso: da un lato l’idea
di poter sfruttare Internet come canale di monetizzazione
dei contenuti audiovisivi è stata completamente
screditata; nei fatti, oggi i contenuti audiovisivi
costituiscono la porzione maggiore dei dati scambiati
nella Rete. Com’è possibile che esista
un fenomeno così massiccio di consumo di audiovisivi
in Internet e al tempo stesso non si riesca a farne
un business?
Quando parliamo di innovazione in campo cinematografico,
dal mio punto di vista profano, è inevitabile
confrontarsi con questo interrogativo e osservare
come la questione non sia soltanto legislativa. Molti
diranno che il fenomeno è in crescita e che
potrà avere un impatto sull’industria
delle majors, ma che il cinema italiano, in fondo,
è sopravvissuto a tante trasformazioni: magari
si è rimpicciolito, perdendo il suo ruolo,
ma negli anni Ottanta, pur con la venuta dell’home
video, ha resistito all’introduzione delle nuove
metodologie di distribuzione.
Il
cinema italiano ha quel grande serbatoio che è
la sala, un fattore che lo differenzia dall’industria
musicale: l’impatto del filesharing e del peer
to peer sulla musica è dovuto proprio al fatto
che le label campano sull’industria dei cd.
Il cinema invece, in particolare il cinema italiano,
si è sempre retto sulla sala, a differenza
del cinema americano, dove l’home video rappresenta
già il 50% del mercato e contribuisce direttamente
al finanziamento della produzione. In Italia invece
la sala blinda ancora l’industria.
Il problema è che il peer to peer, o più
in generale l’utilizzo di Internet come canale
di distribuzione, avrà un impatto anche più
violento di quello delle precedenti modernizzazioni
della distribuzione cinematografica. Il peer to peer
rende i film disponibili in Rete quando ancora sono
in sala: è notizia recente l’invito di
Michael Moore a scaricare il suo film, che è
tuttora nelle sale americane. In realtà i file
scaricabili sono di pessima qualità, ma di
fatto il prodotto entra in circolazione attraverso
altri mezzi di distribuzione paralleli alla sala.
A questo consegue il dover ripensare completamente
le finestre di distribuzione, ed è ciò
che stanno facendo le major: adesso si ragiona sull’uscita
in linea dopo la sala, ma c’è già
chi ragiona sull’uscita in parallelo con la
sala.
L’altro motivo per cui credo che l’impatto
del peer to peer sull'industria cinematografica sarà
forte è che Internet è una realtà
molto aperta e che rende estremamente flessibile l’adozione
di nuove metodologie di consumo, come ad esempio l’alta
definizione: già oggi è possibile trovare
filmati in alta definizione disponibili in Rete. Questo
vuol dire che attraverso Internet lo spettatore si
avvicina prepotentemente alla sala cinematografica:
inevitabilmente anche una industria fortemente strutturata
sulla sala come quella italiana dovrà tenerne
conto.
La questione fondamentale alla quale si fa accenno
parlando di distribuzione in Rete è la distruzione
di valore, che nel caso della musica è eclatante.
Nel 2000 il mercato della musica valeva 40 miliardi
di dollari e c’era chi sosteneva che grazie
all’uso delle nuove tecnologie nell’arco
di pochi anni si sarebbe arrivati a 100 miliardi di
dollari: in realtà oggi ne vale 33, con un
tasso di caduta accelerata del 10%. Il vero problema
non è la distruzione del valore, ma l’emergenza
di soggetti diversi da quelli che hanno caratterizzato
il panorama audiovisivo fino a pochi anni fa, soggetti
in grado di fornire risposte di carattere commerciale
e tecnologico.
Nel caso della musica l’unico nome che può
vantare risultati positivi è Apple, grazie
a iPod e a iTunes, che permettono di scaricare musica
legalmente, conegnando alla casa madre tassi di crescita
a due cifre: 100 milioni di brani scaricati nel primo
anno, 70mila nelle prime due settimane. Non si parla
di case discografiche ma di soggetti tecnologici:
sulla stessa linea di Apple si stanno infatti muovendo
Sony, Microsoft, in Europa forse Nokia.
Il risultato è evidente: un’industria
prima largamente dominata dalle major americane oggi
è interamente nelle mani di nuovi soggetti,
quasi solo statunitensi. C’è stata un’iniziativa
europea significativa da parte di una società
fondata da Peter Gabriel, che con un investimento
molto consistente ha fatto accordi con le case discografiche:
ma è appena stata acquisita da un’altra
società americana. Non ha retto il confronto.
E il cinema? La situazione comincia a farsi preoccupante.
Nel 2003, oltre il 50% degli utenti di filesharing,
circa 10milioni, già si scambiavano file video;
la MPI stimava qualche mese fa che il download illegale
di film fosse compreso tra le 600 mila unità
ed il milione; altri hanno stimato le prime perdite
per l’industria nel 2004 in circa 4 miliardi
di dollari su un mercato globale di 70 miliardi. I
nuovi dati della MPI dicono che un quarto degli utenti
Internet, a livello globale, ha già scaricato
almeno un film illegalmente, con una distribuzione
non dettata solo dalla velocità di accesso:
da un lato abbiamo paesi come la Corea del Sud dove
il fenomeno ha già raggiunto il 60%, dall'altro
paesi che dispongono della stessa tecnologia dove
il fenomeno rimane al di sotto del 20%, come ad esempio
il Giappone. Dato significativo quello italiano: un
quarto degli utenti Internet in Italia ha scaricato
almeno un film illegalmente.
Il rischio è quello di lasciare il mercato
in mano agli americani. Le major si sono mosse subito,
tre anni fa: prima la Sony, che poi ha coinvolto la
Mgm, la Paramount, la Universal e molte altre, e insieme
hanno fondato MovieLink, anche se i risultati finora
sono stati tutt’altro che confortanti. È
interessante capire come mai le major non riescano
a creare un’iniziativa che abbia successo e
invece una società come Apple ce la faccia.
Chi ha la proprietà dei diritti ha grosse difficoltà
a sviluppare il business, al contrario le grosse società
di elettronica di consumo e informatica riescono a
sfondare.
Questo va ad incidere sulle caratteristiche del consumo
di intrattenimento: al momento l’industria del
pc si sta muovendo in maniera decisa per entrare nei
nostri salotti di casa. L’idea è prendere
un mercato in apparente saturazione, quello del pc,
rivestire i personal computer come dei soprammobili
e invadere i salotti di casa con questi dispositivi.
È una spinta forte che vede interessati tutti
i grandi produttori e distributori: in un breve arco
di tempo il mercato verrà inondato da una nuova
generazione di prodotti vicini ai set top box che
consentiranno di vedere anche film.
Nel 2006 Sony prevede il lancio della nuova Playstation
ads3 e tutti si stanno strutturando su questa data,
da un lato le major cinematografiche, dall’altro
le grandi forze dell’elettronica di consumo
e dei pc, che hanno capito il gioco. La success story
di Apple è chiara: Apple ha avuto successo
perché, oltre ad aver emesso un brand molto
forte, è stata in grado di intercettare quella
domanda anche un po’ feticista che contraddistingue
coloro che entrano in un negozio di dischi e comprano
un cd. L’idea geniale è stata comprendere
che quel feticismo si sta trasferendo dal vecchio
supporto cd ad un oggetto come l’iPod, che si
andrà arricchendo a seconda della quantità
di dati che ci si mettono dentro. Il successo di Apple
con iTunes e iPod è legato al dispositivo:
un dispositivo che dopo mesi di utilizzo vale molto
di più del prezzo sullo scaffale, perché
ha tutto il valore della musica che, legalmente, ci
è stata scaricata sopra. Già si sta
ragionando su versioni customizzate di questo prodotto:
l’iPod per la musica classica, quello per l'hip-hop,
e così via.
Come si fa a competere con un servizio come il peer-to-peer?
Apparentemente sembra un soggetto inattaccabile, perché
consente di accedere gratuitamente al prodotto. Il
mercato è complesso, la domanda anche, e può
essere soddisfatta da chi può fornire un servizio
a vero valore aggiunto. Il segreto è che l’offerta
sulle reti p2p è estremamente confusa: ci sono
aziende che hanno proprio come obiettivo quello di
confondere le acque, inondando la Rete di versioni
fasulle dei brani appena usciti.
In Europa la situazione è estremamente fragile:
non abbiamo, con l’eccezione di Nokia, soggetti
in grado di competere con i colossi dell’hi-tech.
C’è l’esempio interessante di Movie
System in Francia, la società di produttori
consorziati fondata da Luc Besson. L’obiettivo
qui è posizionarsi subito: chi si muove per
primo generalmente prende tutto. È un mercato
che ha molto più a che vedere con l’e-commerce
che con altro: in questo senso Amazon è fortemente
rappresentativo.
Movie System è una operazione estremamente
ardita ma con un suo successo: attualmente è
il soggetto riconosciuto dal mercato francese per
la distribuzione del prodotto. A parte questo, in
Europa non ci sono altri casi rappresentativi ed il
rischio è che accada quello che è già
successo con la musica. L’invito per l’Italia
è dare spazio all’iniziativa: da un lato,
ci vuole la comprensione da parte dei produttori che
questo fenomeno va guidato e non subito; dal punto
di vista politico, bisogna invece comprendere che
il cinema ha bisogno di sostegno non solo per la produzione
ma anche per la distribuzione, in un’ottica
di sviluppo delle piattaforme tecnologiche.
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