Emmanuel Goût, ex presidente di Telepiù
ed ex manager Fininvest, è ora Presidente e
Amministratore delegato di Cinecittà World.Quello
che segue è un estratto del suo intervento
al convegno "Obiettivo cinema" organizzato
a Roma dalla Fondazione Glocus.
Il
legame tra stato e cinema in Francia risale ad André
Malraux, ministro della cultura nel 1959, il quale
creò un conto di sostegno all’industria
cinematografica avvicinando il Centro nazionale di
cinema al Ministero della cultura. Le difficoltà
attuali della cinematografia francese potrebbero essere
le risultanti di tre problemi fondamentali, di cui
due sono esportabili alla realtà italiana,
il terzo invece è più tipicamente francese.
Le due questioni più generiche riguardano il
sistema di finanziamento, che ha raggiunto quasi il
livello di apnea, e l’evoluzione delle tecnologie
di diffusione e riproduzione, che rendono obsoleti
i meccanismi attuali. Il terzo, cioè il problema
più tipicamente francese, è il sistema
di indennità che regola gli “intermittenti”
dello spettacolo e tutte quelle professioni che vi
gravitano intorno. Dobbiamo ricordare che gli obiettivi
del sistema francese erano sia economici che culturali
e tali furono anche i risultati, almeno in un primo
momento: oggi non è più così,
soprattutto dal punto di vista economico.
Gli
obiettivi effettivi, corrispondenti alle attese dei
corporativismi – le professioni del cinema –
sono sempre stati rigorosamente raggiunti ed i film
sono diventati sempre più numerosi, quale che
sia l’apprezzamento del pubblico. L’obiettivo
produttivista – far lavorare le imprese, proteggere
i posti di lavoro quali che siano i costi culturali
e finanziari – tutto è stato sacrificato
per il suo raggiungimento. Così l’industria
cinematografica francese, o meglio il sistema di eccezione
culturale, diventa il frutto della gestione pianificata
tra professionisti e funzionari, i quali costringono
il grande e piccolo schermo nella trappola di un sistema
che non esiste più, senza preoccuparsi né
del pubblico né dello spreco di talenti, energie
e soldi.
Ecco i 7 peccati mortali del sistema francese secondo
un famoso politico francese di centro destra che è
anche un buon conoscitore dell'industria cinematografica:
1) l’ascesa dei costi di produzione, che tra
il 1980 e il 200 sono aumentati del 770%;
2) la sovrabbondanza della produzione: cento film
l’anno dei quali la metà non mobilita
più di 25mila persone;
3) l’inarginabile potere dei corporativismi
che, come dimostrano gli ultimi movimenti sociali,
sono assicurati e ricevono qualsiasi forma di sostegno
sia dalla destra che dalla sinistra: un vero e proprio
ricatto alla cultura;
4) una politica, quella dell'eccezione culturale,
che fa della Francia stessa un’eccezione e spesso
pone problemi nell’ambito delle transazioni
internazionali - e qui nasce la rifessione: perché
eccezione e non esenzione? Perché solo il cinema
e non anche altri prodotti culturali?
5) questa politica culturale corrisponde ad una grande
tradizione militare francese: molti conosceranno il
concetto della linea maginot, che avrebbe dovuto difenderci
dall’invasione tedesca e che invece è
sempre stata aggirata. Lo stesso è successo
con le invasioni hollywoodiane delle reti televisive
francesi;
6) quella francese è una politica che fa pagare
un prezzo molto elevato anche alla nostra diplomazia:
la difesa dell’eccezione culturale ha il suo
prezzo di scambio, che si traduce in una sicura perdita
su altri versanti;
7) l’eccezione culturale in prospettiva europea
non favorisce gli scambi: nonostante quello che può
sembrare in Italia, che è un ottimo mercato
per il cinema francese, con una penetrazione del 6%,
nel resto d’Europa e del mondo la presenza del
cinema francese è minima, con quote del 3,7%
in Spagna, dell’1,6% in Germania, e omeopatica
nel resto del mondo. Risultati molto scarsi, se consideriamo
che nel 1912-'13 il cinema francese era presente sull’85%
degli schermi mondiali.
Il politico propone allora, per la comprensione della
situazione francese, la metafora del gallo, dello
struzzo e del pellicano. Il gallo è l’orgoglio
francese: siamo il secondo cinema del mondo, dicono
in Francia, senza preoccuparsi della confidenzialità
omeopatica del cinema francese all’estero e
dei numerosi flop di massa sul territorio nazionale.
Vogliamo pensare che i nostri film e i nostri festival
di cinema francese possano sostituirsi al biglietto
di entrata delle sale? Questo lo struzzo che si rifiuta
di vedere la realtà.. Il pellicano, infine,
è lo stato, primo sportello di finanziamento
del cinema francese: il contenuto stesso dei film
ne è influenzato, perché a decidere
delle sceneggiature sono le commissioni o, nel migliore
dei casi, le reti televisive.
Una rivoluzione copernicana va organizzata. Le regole
della democrazia al servizio della cultura devono
opporsi allo sfascio demagogico e agli interessi corporativisti:
Canada e Danimarca offrono due interessanti spunti
di riflessione, visto che tengono conto anche del
gusto del pubblico e che prevedono meccanismi sancitori.
Su questo in Italia, nell’ambito della legge
sul cinema, si stanno facendo alcuni sforzi di modernizzazione.
Luc Besson ritiene che, affinché il cinema
francese possa continuare a crescere, è necessario
che almeno ogni mese un film francese riesca a interessare
il pubblico. La sua società di produzione,
fuori dei meccanismi assistenzialistici, rappresenta
indubbiamente una strada imprenditoriale: il cinema
non si limita agli sceneggiatori, ai produttori, agli
artisti, ai tecnici, ci sono anche i distributori,
le sale, gli studios, i critici e soprattutto il pubblico.
In un convegno a Perugia evocai a suo tempo un paragone
con il protezionismo che ha regolato l’import
di macchine giapponesi in Europa e in particolare
in Italia: l'apparato produttivo italiano non sarebbe
stato in grado di competere con automobili più
sicure, più belle e quindi fu decisa una barriera.
Questo ebbe un esito positivo, fornendo l’incentivo
ai grandi produttori europei a modernizzare i loro
veicoli: quando caddero le barriere protezionistiche,
Fiat e Peugeot avevano creato delle auto ormai più
competitive, riuscendo ad impedire un’invasione
dall’oriente. Applicare i modi della produzione
cinematografica francese all’industria automobilistica
sarebbe invece come produrre 4 milioni di auto per
3 milioni di utilizzatori e quindi buttare 1 milione
di macchine.
Il nostro ruolo oggi è invitare ad una profonda
riflessione su come ottimizzare il rapporto tra cinema,
finanziamento e pubblico, sottolineando l’effetto
positivo dell’affermazione dell’eccezione
culturale. Non vedo perché solo il cinema debba
godere di questi privilegi: la musica, la letteratura,
anche alcuni cibi, devono essere considerati al di
fuori dei trattamenti standard (riservati ai prodotti
industriali, ndr).
Un esempio positivo ci viene dalla Russia: senza trovarsi
in presenza di meccanismi particolari a favore del
cinema, quest’anno la Russia, per la prima volta,
produrrà tre film con budget superiori ai 10
milioni di dollari. Al botteghino russo, la settimana
scorsa, un film russo – Nightwatch
– ha battuto Spiderman 2: in un paese
non così lontano, gli imprenditori hanno deciso
di investire nel cinema per fare film vincenti sul
loro territorio e sul territorio internazionale.
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