260 - speciale agosto 2004


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Auschwitz, una tragedia europea
Cristina Fassianòs

Annette Wieviorka, Auschwitz spiegato a mia figlia, Einaudi, Pag. 77, Euro 5,50

Perché esiste l’antisemitismo? E’ una domanda senza una risposta che sia precisa, diretta. L’analisi storica degli avvenimenti non basta per ricercarne la ragione. L’antisemitismo ha una radice così profonda che si ramifica nei meandri dell’essere, tanto da renderne impossibile, perchè troppo traumatica, la rivelazione.

Auschwitz spiegato a mia figlia, un piccolo libro edito da Einaudi e scritto da Annette Wieviorka, pone questo interrogativo senza risposta. E lo fa inoltrando lo sguardo in quelle vicende tutte europee che furono il nazismo e i lager, soprattutto Auschwitz, che l'autrice definisce “probabilmente l’avvenimento più europeo di tutta la storia del Novecento”.
Annette, che è ebrea, spiega a sua figlia Mathilde la storia della distruzione degli ebrei d’Europa, raccontandone le origini antiche, in Germania nella seconda metà del XIX secolo, ad opera di pubblicisti che si richiamavano alle dottrine di Hegel e di Nietzsche e più in particolare a quelle di H.S. Chamberlain e di J.A. Gobineau. Dalla Germania il movimento si diffuse in altri paesi europei e negli anni che seguirono la prima guerra mondiale, l’antisemitismo si affermò come dottrina ufficiale del nazismo teorizzato da Hitler nel suo Mein Kampf e da Rosenberg nell’opera Il mito del XX secolo.

L’antisemitismo hitleriano toccò il suo apice con l’eliminazione fisica di sei milioni di ebrei. E la Polonia, che fu annessa alla Germania nazista nel 1939, ebbe il campo di sterminio più famoso e terribile: Oswiecim in polacco, ribattezzato Auschwitz in tedesco. L’unico lager dove il numero che sostituiva il nome di ogni ebreo deportato veniva inciso nella carne. Quel marchio indelebile che Mathilde nota sul polso di Berthe, un’amica della madre incontrata d’estate sulla spiaggia, e che dà inizio alla serie di domande attraverso cui viene ricostruita e narrata la storia del genocidio.
Una storia che inizia con un numero al posto di un nome e in cui Anne ritrova le parole di Primo Levi: “ Nulla è più nostro. Ci hanno tolto gli abiti, le scarpe, anche i capelli. Ci toglieranno anche il nome: e se vorremo conservarlo, dovremo trovare in noi la forza di farlo, di fare sì che dietro al nome qualcosa ancora di noi, di noi quali eravamo, rimanga”. E’ la domanda inevasa, perché fare dell’essere il nulla? Sembra quasi una sfida a Dio. Se è così, una risposta non può esserci, se non nell’ombra dell’odio più profondamente umano.
La verità è che non esiste replica alla volontà d’annientamento nazista. E’ uno di quei fenomeni a cui corrisponde il tragico nulla; una colpa che non ha nemmeno l’attenuante del conflitto ancestrale. Un nulla da far impazzire. Per questo non bisogna dimenticare. La memoria è l’unica testimonianza capace di dare un senso. Per questo Anne racconta, risponde alle domande di Mathilde, che cerca un perché. Il solo perché è la Storia.
Leggete questo piccolo libro, non per trovare una ragionevole colpa, ma per tenere con voi un pezzo della nostra memoria, della memoria dell’Europa che si avvia a diventare nazione del mondo senza dimenticare nulla del proprio passato.
Così nella postfazione Amos Luzzatto si chiede se la colpa non risieda anche nell’animo di coloro che sono stati spettatori dell’enorme tragedia. Perché nessuno ha denunciato gli orrori? E’ possibile che i nazisti siano riusciti a non far trapelare nulla dei crimini commessi? Soprattutto, chi sapeva, poteva fare qualcosa? “ Perché gli ebrei – si chiede Luzzatto – si sono fatti portare come pecore al macello?”.
Interrogativi ai quali possono rispondere i testimoni, ma sono in pochi ormai, e tra non molto non ci saranno più. Ci rimarrà il racconto, la Storia, le storie; la memoria, appunto. Quella che permetterà a Mathilde di narrare eventi mai vissuti, perché le sono stati raccontati da sua madre. Una risposta che si perpetua nel tempo.

 

 

 

 

 

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