Tzvetan Todorov,
Memoria del male, tentazione del bene. Inchiesta
su un secolo tragico,
Garzanti, pagg. 408, euro 10,00
Qual
è l’eredità del secolo appena
trascorso? Cosa ha segnato il corso del Novecento?
Al volgere del millennio in pochi si sono sottratti
alla tentazione di dare una risposta “esauriente”
a questi interrogativi. Spesso, però, la selezione
dei fatti del passato e la costruzione del loro senso
sono serviti più che altro a puntellare personalissime
tesi sul presente e il futuro, trasformando il discorso
storico in un mezzo operativo che ha appiattito il
lungo periodo sull’attualità, sulla contingenza
della lotta politica contemporanea.
Per un africano o un abitante del Sud del mondo il
Novecento sarà stato il secolo della decolonizzazione;
per un armeno quello del genocidio del proprio popolo.
Per qualcun altro sarà stato il secolo della
tecnica; per altri quello in cui è iniziato
il movimento di liberazione delle donne; per altri
ancora quello della medicina, della scienza, delle
guerre mondiali, dell’arte astratta, della musica
seriale, ecc. Per l’abitante dell’isola
che non c’è, infine, sarà stato
un secolo come il precedente e come quello che lo
seguirà.
Si vede bene che a una distanza così ravvicinata
un discorso che possa avviarsi sulla strada dell’oggettività
rimane un compito arduo. Noi stessi, i nostri padri
e i nostri nonni abbiamo avuto un’esperienza
particolare del Novecento ed è inevitabilmente
questa a determinare il punto di osservazione a posteriori.
Ogni bilancio storico del secolo trascorso dovrebbe
allora palesare preliminarmente la propria particolare
parzialità, così come fa Tzvetan Todorov
nel prologo di Memoria del male, tentazione del
bene. Inchiesta su un secolo tragico, volume
appena ristampato da Garzanti in edizione tascabile.
Libro documentario, libro inchiesta che si muove tra
storia e filosofia politica, il volume, con il quale
Todorov vinse il Premio Nonino 2002, rispecchia il
metodo dello scrittore bulgaro il quale ha sempre
rivendicato il proprio diritto all’attraversamento
delle discipline come mezzo di rottura degli schemi
ideologici prestabiliti.
Nato e vissuto per una parte della sua vita in Bulgaria,
francese d’adozione, Todorov, europeo doc, vede
che “l’avvenimento centrale” del
secolo scorso non può che essere “la
comparsa di un nuovo male, di un regime politico inedito,
il totalitarismo, che, al suo apogeo, ha
dominato buona parte del mondo”, e quello che
intende interrogare e riempire di senso è proprio
“la lezione dello scontro fra il totalitarismo
e il suo nemico, la democrazia”. Il campo d’indagine
è delimitato dalla data della nascita del primo
regime totalitario della storia, quello bolscevico
nel ’17, e dall’implosione di questo nell’89.
In mezzo, la nascita degli altri regimi, quello nazista
in primis, e la lotta con la democrazia con tutte
le variazioni delle alleanze possibili, compresa quella
tra nazisti e comunisti con il patto Molotov-Ribbentrop.
Prima morale: la comparsa del totalitarismo ha messo
in questione una certa idea teleologica della storia,
ancora fortemente in voga, secondo cui questa non
sarebbe altro che una progressione lineare continua,
ascendente. Questi regimi comparsi nel cuore dell’Europa
hanno segnato il passo rispetto a ciò che li
precedeva, erano sicuramente peggiori e ciò
dimostra come la storia non sia sottoposta ad alcuna
semplice legge “né, forse, ad alcuna
legge tout court”.
Le democrazie liberali che oggi conosciamo non sono
che il frutto di un lungo processo che ha portato
all’affermazione di due principi fondamentali:
l’autonomia della collettività e quella
dell’individuo. L’autonomia politica della
collettività si realizza nella rivoluzione
francese e in quella americana. In Francia il potere
viene strappato dalle mani dei monarchi e viene riposto
in quelle del popolo, “tuttavia il risultato
non è brillante: il terrore regna al posto
della libertà”. Il potere del popolo
è rimasto assoluto come quello dei sovrani,
l’autonomia collettiva non è stata limitata
da quella dell’individuo.
“L’individuo, non meno della collettività
– scrive Todorov – aspira all’autonomia;
per preservarla, bisogna proteggerlo non solo dai
poteri a cui non partecipa, ma anche dai poteri del
popolo: questi ultimi devono estendersi fino a un
certo limite (il «bene comune»), ma non
oltre”. È l’unione, la mediazione
tra collettivo e individuale attraverso il pluralismo
di una Stato laico che sancisce la nascita della modernità
politica.
La democrazia è sin dall’inizio accusata
dai conservatori per il suo individualismo che distrugge
i valori comuni e il tessuto sociale della comunità,
creando orde di solitari infelici e nichilisti. Queste
critiche rimangono innocue fino a quando rimangono
nell’alveo della nostalgia (il passato era meglio
del presente, lo affermavano anche Flaubert e Baudelaire),
“le cose cambieranno nella seconda metà
del secolo, quando l’ideale sarà estratto
dal passato e proiettato nel futuro. È in questo
contesto che si preparerà il progetto totalitario.
Esso riprenderà in effetti le critiche che
i conservatori rivolgono alla democrazia – distruzione
del legame sociale, scomparsa dei valori comuni –
e si proporrà di rimediarvi con un’azione
politica radicale”.
Tra documenti, storia, filosofia e politica, Todorov
indaga il carattere di questi regimi, mettendone in
luce gli aspetti ideologici quali lo scientismo, il
velo del mito comunitario che cela società
fortemente gerarchizzate, il monismo assoluto che
si contrappone al pluralismo democratico con l’assolutizzazione
del capo e del partito, e che si conservava attraverso
il terrore, la censura e il disconoscimento dell’alterità.
Ma ora che la Democrazia ha vinto sul totalitarismo,
possiamo dirci immuni da questo pericolo? Per lo scrittore
bulgaro assolutamente no, visto che negli anni Novanta
è tornata a diffondersi la “tentazione
del bene” con le varie guerre umanitarie e bombe
intelligenti. La tentazione di quel bene che in molti
credevano di comprendere nel passato e per raggiungere
il quale si sono giustificate tutte le nefandezze
possibili. Non bisogna guardarsi solo dalle tentazioni
del male, come dicevano i pensatori cristiani, ma
spesso anche da quelle del bene.
Il secolo passato non è stato, ovviamente,
solo tenebra e Todorov lo sottolinea contrappuntando
i capitoli del libro con le biografie di alcune figure
che hanno rappresentato in qualche modo il versante
“luminoso” dell’umanità.
Vasilij Grossman, Margarete Buber-Neumann, David Rousset,
Romain Gary, Germane Tillion, ma anche Primo Levi.
In quest’ultimo e nella sua categoria della
“zona grigia” Todorov coglie una profonda
verità dell’animo umano: non esistono
il bene e il male assoluti, il bianco da una parte
e il nero dall’altra; non esistono uomini del
bene e uomini del male; in ognuno c’è
un po’ dell’uno e un po’ dell’altro
e tutti rientriamo, con le varie gradazioni di tonalità,
nella zona grigia. Antimanicheo e umanista, Todorov
è convinto, con Montagne, che l’esistenza
umana resterà sempre, per fortuna, aggiungiamo
noi, “un giardino imperfetto”.
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