“La
fotografia è come un mosaico: raggiunge una
sintesi solo quando si può mostrarla tutta
insieme”. E davvero, visitando la mostra “Ritratti.
Fotografie di August Sander” ai Musei Capitolini
di Roma, sembra di passeggiare tra le pietre di un
mosaico: si cammina tra pareti sulle quali sono esposte
decine e decine di fotografie e ognuna di queste occupa
da sola uno spazio autonomo, proprio, e di ogni singola
immagine si può apprezzare la fattura, la luce,
la nitidezza dei contrasti tra i chiari e gli scuri.
Ma allo stesso tempo ciascuna foto assume un valore
assoluto, universale, se inserita nel contesto del
progetto che l’ha partorita, un progetto che
aveva l’ambizione di realizzare il ritratto
di un’intera società attraverso i volti
di singoli uomini, di singole donne.
Per
Sander, uno tra i maggiori fotografi europei, vissuto
tra il 1876 e il 1964, la fotografia era come un mosaico
ma era anche uno strumento per indagare il mondo circostante
e riprodurlo nelle sue dimensioni universali, proponendo
la visione di un intero, di un totale composto da
mille particolari. “Non ha senso guardare una
sola foto”, sembra dire Sander a chi cammina
di fronte ai suoi lavori, “non fermate la vostra
attenzione sul volto di questo contadino, né
sull’abito di questo avvocato: guardateli tutti,
uno alla volta, per poi metterli insieme e avere così
l’insieme della società cui apparteniamo.
Questa è la Germania in cui viviamo”.
Nel 1929 il fotografo tedesco pubblicò un lavoro
che aveva l’obiettivo di raffigurare la società
tedesca di quegli anni e ritrarre volti di singoli
o gruppi di persone che potessero racchiudere le caratteristiche
tipiche di intere categorie sociali. Il titolo della
raccolta era Antlitz der Zeit, Il volto del
tempo la cui ricerca rappresentava il fulcro dell’idea
che guidava il fotografo dietro l’obiettivo.
Raccolto allora in categorie precise, quasi tassonomiche,
il lavoro di Sander ci mette di fronte agli occhi
ritratti di contadini e delle loro famiglie, di artisti
e della vita metropolitana, di borghesi di città,
di industriali e dei loro eredi, di ambulanti e di
artisti di strada. Quello che il fotografo lascia
all’occhio di chi guarda le sue foto è
il lavoro di riunire nella propria mente le tessere
appese alle pareti della mostra in un mosaico che
sia il ritratto compiuto della società. Frammentato
in facce che hanno ciascuna qualcosa di assoluto -
e che ripropongono il contadino, il borghese, l’industriale,
l’operaio - il mosaico acquista forma ricomponendosi
con l’osservazione di chi, di fronte a questi
ritratti, saprà mettere insieme gli abiti dei
poveri di campagna con le giacche perfettamente stirate
dei signori di città, le macchine agricole
che appaiono a volte sullo sfondo con gli eleganti
interni di un salotto, le strade polverose con i cortili
delle fabbriche; il mosaico sarà completo quando
avremo notato che la pelle del contadino, crepata
al sole del lavoro sui campi, si ammorbidisce un po’
sui volti degli studenti dell’università
e si fa e morbida e disinvolta per il giovane uomo
d’affari. Allora avremo raggiunto uno sguardo
complessivo sulla Germania dei primi decenni del secolo,
e nel panorama generale sapremo riconoscere le gradazioni
diverse della natura umana contenute nella complessità
della società contemporanea.
L’occhio di Sander guarda al reale, lo cerca
in volti che elegge ad archetipi ed esemplari che
racchiudono il significato di un’esistenza collettiva,
di un’intera categoria sociale. Alcuni, oggi,
fanno rientrare Sander tra gli esponenti della Neue
Sachlichkeit, quella Nuova Oggettività
che nella Germania degli anni Venti si rivolgeva alla
realtà per descriverla nei suoi termini più
crudi. Ma per capire bene l’opera di Sander
seguiamo le parole che ha scritto per lui Alfred Döblin
(una piccola perla da leggere tra le pagine del catalogo
della mostra edito da Electa). Esistono tre gruppi
di fotografi, scrive Döblin: “Ci sono fotografi
che vedono artisticamente e per i quali il volto è
soltanto materiale per un quadro; mirano a effetti
di tipo artistico. (…) Poi ci sono fotografi
che prosperano come piante di prato o di bosco lungo
ogni strada (…) Cercano di dare un quadro il
più possibile ‘somigliante’ della
persona che si trova loro davanti, cioè sulla
lastra dovrebbe essere fissato l’aspetto personale,
privato, peculiare di quella persona. (…) E
poi viene il terzo gruppo di fotografi. (…)
che fa parte coscientemente dei seguaci del realismo”.
E a questi, continua Döblin, appartiene Sander
e tutti coloro per i quali il realismo non sta nella
somiglianza del ritratto all’originale, non
sta nella riconoscibilità del soggetto sulla
foto rispetto alla sua reale natura, quanto piuttosto
sta nel rappresentazione dei caratteri di una società
intera, delle sue diversità, dell’universalità
e della varietà della natura umana che la compone.
Ritratti. Fotografie di August Sander
Roma, Musei Capitolini,
dal 7 luglio al 19 settembre 2004-07-21
http://www.museicapitolini.org.
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