Jean-Marie Gustave Le Clézio,
Stella errante,
il Saggiatore, pag. 288, euro 14,98
Jean-Marie
Gustave Le Clézio descrive i suoi romanzi come
"letteratura dell'esilio", e se stesso come
un esiliato, benché nessuno l'abbia mai cacciato
dalla sua nativa Nizza. Di madre francese e padre
mauritano, Le Clézio ha vissuto e vive in giro
per il mondo, fra Albuquerque in New Mexico e le Mauritius,
l'Inghilterra e la Costa Azzurra, alla continua ricerca
di un'identità non limitabile ad alcun confine
nazionale.
Con il suo primo romanzo, Il verbale, pubblicato a
23 anni, ha vinto il prestigiosissimo premio francese
Renaudot, e da allora ha firmato oltre quaranta libri,
fra saggi, romanzi, racconti brevi e traduzioni, diventando
uno dei più noti autori francesi contemporanei,
nonché uno dei candidati possibili al premio
Nobel per la letteratura. Pur essendosi formato alla
scuola del noveau roman anni Sessanta, Le
Clézio ha poi gradualmente virato verso la
forma tradizionale del racconto, soprattutto quella
che ha per tema il viaggio (l'esilio, direbbe lui).
I critici lo accostano a Zola e Joyce, a Stevenson
e a Lautréamont, ma lui preferisce citare fra
i suoi modelli Rimbaud e alcuni contemporanei americani,
da N. Scott Momaday ad Henry Roth.
I temi ricorrenti dei suoi romanzi, oltre al viaggio,
sono la filosofia, l'amore per la natura, il recupero
del pensiero religioso e spirituale in contrapposizione
al razionalismo occidentale. I titoli? Terra amata
('67), Deserto ('80), Onitsha ('92),
La quarantena ('95), Diego e Frida
('97) e Le due vite di Laila, ('99). Ancora
inedito da noi è il romanzo autobiografico
Révolutions (2003), in cui Le Clézio
racconta la sua vita migrante . E lo strazio di dividersi
fra Paesi diversi è il tema del suo ultimo
romanzo, Stella errante, il terzo pubblicato
da il Saggiatore dopo Diego e Frida e Le due vite
di Laila (in Francia il suo editore è,
naturalmente, Gallimard).
La protagonista di Stella errante - sono
spesso le donne al centro dei romanzi di Le Clézio,
raccontate con una conoscenza profonda dell'animo
femminile - è Esther, una ragazzina ebrea che
crescerà in fuga continua, prima per scampare
alle persecuzioni dei nazisti, poi per sottrarsi al
conflitto in Israele. Accanto a Esther comparirà,
breve ma fulminante apparizione, la giovane Nejma,
il suo alter ego palestinese, a dimostrazione di quanto
il destino di esule a vita della ragazza ebrea non
sia affatto unico al mondo, né appannaggio
di alcuna etnia.
Di più: il diritto a un Paese di appartenenza
di Esther significa contestualmente (ma non necessariamente,
suggerisce Le Clézio) la privazione dello stesso
diritto per la palestinese Nejma. Come ha spiegato
l'autore francese, da poco passato per Roma dove ha
partecipato al Festival Letterature, "da qualche
parte in Palestina, o in Sudamerica, o in Africa,
c'è sempre un bambino ucciso da una pallottola,
e c'è sempre bisogno che qualcuno ne parli".
I ricordi dell'infanzia e della prima adolescenza
appaiono e riappaiono quasi ossessivamente in Stella
errante. "Flannery O' Connor ha detto che
ogni romanziere racconta solo i ricordi che ha accumulato
fra i 9 e 15 anni", ha detto Le Clézio
nel corso della presentazione romana di Stella errante
presso la sede de il Saggiatore. La narrazione varia
continuamente di tono e di soggetto: qui è
in prima persona, con Esther ragazzina che descrive
senza intermediazione razionale le sue emozioni a
contatto con il dolore, il lutto e la fuga; là
si passa alla terza persona, dove Esther, osservata
dall'esterno, diventa il simbolo oggettivo di una
condizione di vita, come dice il titolo, errante,
e la sua esperienza individuale si trasforma in tragedia
collettiva.
"La letteratura è un genere polimorfo",
dice Le Clézio, "è flessibile per
sua natura, e rappresenta un'apertura verso altre
culture, altri linguaggi. Per questo può funzionare
da antidoto alla cultura occidentale, che è
diventata monolitica, che mette l'accento solo sulla
tecnica e reprime i sentimenti, considerandoli manifestazioni
espressive di serie B. Nei miei romanzi invece i sentimenti,
soprattutto quelli femminili, sono la storia, e se
chi li esprime ha radici europee, come la Esther del
mio romanzo, considero un mio privilegio quello di
permetterle di manifestarli a dispetto delle censure
impostele dalla nostra cultura".
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