Bill Bryson,
Una citta’ o l’altra. Viaggi in
Europa,
Guanda, pagg. 277 pagine, euro 14,00.
Un
ragazzo dell’Iowa, vent’anni appena, magro
e timido, attraversa l’Europa zaino in spalla.
Impiega quattro mesi per andare dalla Gran Bretagna
all’Irlanda, dalla Scandinavia alla Germania,
dalla Svizzera all’Austria, e arrivare, alla
fine, in Italia. E’ il 1972. Vent’anni
dopo, il ragazzo – che altri non è se
non Bill Bryson - è diventato uno scrittore,
si è sposato e, da quasi quindici anni, si
è trasferito in Inghilterra. Vive in Europa
ma dell’Europa – con grande rammarico
- aveva visto di più durante quel primo viaggio.
Allora, aveva provato un intimo stupore per il vecchio
continente: "Una delle piccole meraviglie del
mio viaggio in Europa fu scoprire che il mondo poteva
essere tanto vario da originare modi diversi di fare
in pratica le stesse identiche cose, tipo mangiare
e bere e acquistare biglietti per il cinema. Mi affascinava
come gli europei potessero essere tanto uguali tra
loro – a tal punto da risultare al contempo
universalmente intellettuali e cerebrali, guidare
auto minuscole e vivere in piccole case di città
antiche, amare il calcio, essere relativamente così
poco materialisti e rispettosi delle leggi, avere
alberghi con camere gelide e locali dove bere e mangiare
in un’atmosfera intima e invitante – pur
rimanendo così eternamente e sorprendentemente
diversi. Amavo l’idea che in Europa non ci fosse
nulla di definitivo."
Così a quarant’anni Bryson decide di
rimettersi in viaggio e di attraversare di nuovo l’Europa,
da Nord a Sud: da Hammerfest, la città più
settentrionale del mondo, fino a Istanbul. E in viaggio
scrive il suo diario: Una città o l’altra.
Eppure qualcosa dello spirito del ragazzo ventenne
ha finito per perdersi lungo la strada. Il fascino
del vecchio continente ha lasciato il posto a uno
sguardo disincantato e pungente che non risparmia
niente: dalla televisione norvegese, agli “hippies
sopravvissuti” di Amsterdam, all’architettura
europea contemporanea, agli automobilisti francesi.
Osservazioni caustiche, e a tratti stereotipate, bruciano
quasi tutto quello in cui Bryson si imbatte: monumenti,
personaggi, stili di vita.
Interessante? Sicuramente. Divertente? Può
essere. Ma a tratti lascia la bocca amara. Perché?
Forse perché la meravigliosa scoperta di un
mondo tanto vario – di cui Bryson stesso parla
riferendosi al suo primo viaggio europeo – sembra
essere diventata, in questo libro, uno spiacevole
e fastidioso dato di fatto.
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