259 - speciale agosto 2004


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Con parole di donna
Luca Sebastiani

Valentina Akava Mmaka
Io… Donna… Immigrata… Volere Dire Scrivere,
EMI, pagg. 64, euro 5

Drasla, Alina, Farida. Tre donne, tre immigrate, tre modi diversi di essere e di vivere la propria condizione spaesata di straniere. Tre identità distinte, ma tutte distanti dalla casa d’origine e alla ricerca di una definizione del sé attraverso strumenti diversi: il volere, il dire e lo scrivere. Infine, tre rappresentazioni diverse dell’essere donna, nomade e migrante che mostrano fasi diverse della storia delle migrazioni e indicano una prospettiva: Alina il passato, Drasla il presente, Farida il futuro.

I tre brevi monologhi della scrittrice italo-sudafricana Valentina Acava Mmka, contenuti nel libretto Io… Donna… Immigrata… Volere Dire Scrivere, pubblicato dalla Emi sono leggibili a diversi livelli. La questione dell’identità incerta dello straniero, innanzitutto. “Spaesamento, sradicamento, paura, nostalgia, costituiscono il bagaglio principale di un immigrato che – scrive l’autrice nella postfazione – si trova catapultato in una dimensione spaziale che non è la sua”. La perdita delle relazioni con la propria origine, e quindi con la propria identità originaria, affievolisce nel migrante la consapevolezza e la memoria di sé e lo rende incapace di trovare il proprio posto nel mondo. Nelle tre pieces, infatti, diventa determinante il legame che le tre donne riescono a mantenere con la terra madre e con la propria memoria, ché solo riconoscendosi, riconoscendo i propri desideri, è possibile vivere la dimensione positiva della condizione di errante, di chi ha la fortuna di scoprire nel diverso un’opportunità di scambio e di crescita.

L’atmosfera intimista di dialogo tra sé e sé caratteristica della forma monologo, è accentuata dall’autrice attraverso un’ambientazione scarna ed essenziale che mette in risalto la parola delle tre donne. Parola che solo Farida, però, riuscirà a far uscire da quell’“armadio” interiore dove era stata relegata, di cui sola riuscirà ad appropriarsi per farla diventare, attraverso la scrittura, il proprio strumento di affermazione nel mondo, il proprio strumento di divenire, appunto, donna, cosciente. “Oggi le mie storie – dice Farida alla fine del suo monologo e del libro – quelle che passavano di notte sui muri della mia stanza, non sono più nascoste, sono per tutti, sono di tutti, perché quella segretezza che allora io mi sforzavo di custodire, oggi so, era la causa dell’impoverimento della mia e di altre esistenze di donna”.

Sia Drasla, prostituta suo malgrado, ingannata da venditori di sogni di ricchezza, che Alina, badante che non riesce a farsi riconoscere pari dignità dalla signora di cui si occupa, vivono la loro condizione come momentanea, un passaggio verso il ritorno a casa. Drasla ha scoperto che i sogni occidentali di arricchimento in realtà non le appartengono e ora vuole solo realizzare il proprio desiderio, l’unico che le restituisce un’identità, quello di tornare a costruire la propria vita insieme al compagno. Alina, invece, ha lasciato le Filippine solo per guadagnare il necessario per “i mattoni e la tinta” per costruire, per sé e i propri cari, una casa nel proprio Paese. Alina attende, è paziente, e intanto ha imparato a dire ciò che i suoi padroni vogliono che lei dica; è convinta che solo quando avrà una propria abitazione potrà dire le sue parole con la stessa dignità di quella degli altri.

Se il volere e il dire sono ancora solo frammenti di un’identità, è nello scrivere che Farida trova la sintesi ed è lei a rappresentare il futuro. “Drasla incarna il dramma presente della donna ingannata dai mercanti di sogni; Alina appartiene ad una generazione che non sa vedersi lontana dalla propria terra madre; Farida vive proiettata nel futuro ed esprime la volontà e la possibilità di una conciliazione tra il presente e il passato, ritrovando in essi le risposte per un futuro di mediazione tra diverse identità, quella originaria e quella acquisita”.

 

 

 

 

 

 

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