Gli
ultimi dieci anni hanno visto una rinascita del cinema
tedesco, che dopo i tempi d'oro del Nuovo Cinema anni
Settanta, incarnato da Fassbinder, Wenders e Schlondorff,
sembrava non avere prodotto eredi in patria. Invece
alcuni talenti registici emergenti come Tom Tykwer (Lola
corre), o ritrovati come Wolfgang Becker (
Goodbye,
Lenin!) la Germania sta ritrovando una vitalità
cinematografica sorprendente, anche attraverso la presa
di coscienza, da parte di registi e sceneggiatori, che
un film, per avere successo, deve rimanere accessibile,
senza per questo perdere la propria identità
culturale e perché no, nazionale: basta con le
imitazioni hollywoodiane, dunque, che avevano costellato
tutta la fine del secolo scorso, e avanti con le prese
di coscienza di una specificità tedesca esaminata
senza pregiudizi e senza falso orgoglio.
Alla
nuova scuola del cinema tedesco appartengono di diritto
Hans Weingartner, il 28enne regista di
The Edukator,
in concorso all'ultimo Festival di Cannes, e Daniel
Bruehl, rivelazione di
Goodbye, Lenin! e star
del film di Weingartner, con cui aveva già lavorato
nel premiatissimo (ma mai distribuito in Italia)
Das
Weiße Rauschen. Entrambi ci parlano della
difficoltà di essere giovani e pieni di ideali
in un'epoca, e un continente, sopravvissuto con fatica
alle grandi ideologie.
"Nel '68 bastava avere i capelli lunghi e farsi
le canne per sentrisi rivoluzionario" comincia
Weingartner. "Oggi la ribellione è più
complessa e più sottile, anche perché
l'obiettivo non è più tanto chiaro. I
mass media sono maestri nel prendere tutto ciò
che è contro e, come Alien, fagocitarlo, per
poi rivenderlo al mondo come un prodotto di consumo,
dalla maglietta con la faccia del Che al disco 'ribelle'
dei Sex Pistols. Quand'ero a Cannes, mi ha colpito un
poster gigantesco che reclamizzava un nuovo profumo:
il profumo si chiamava
Revolution".
"Il sistema politico tedesco attuale è
molto liberal, né di destra né di sinistra,
una sorta di centro moderato, perciò i giovani
non hanno un vero e proprio nemico istituzionale -
a parte George Bush, naturalmente", gli fa eco
Bruehl. "I problemi ci sono, ma non c'è
un consenso su come risolverli, soprattutto fra gli
under-30 come me. Faccio un mea culpa io per primo:
sono al corrente di certe situazioni difficili, le
critico, ma non so bene come combatterle, come fare
sentire la mia voce, se non attraverso i film che
interpreto. E ammiro i miei personaggi perché
sono molto più ribelli di me: io non ho il
loro coraggio".
"Il cinema tedesco sta avendo una rinascita perché
il governo ha deciso di investire sui giovani",
dice Weingartner. "Fino a pochi anni fa in Germania
si giravano soprattutto commedie ad opera di mestieranti
navigati che spesso provenivano dalla televisione.
Adesso invece si rischia di più, anche nell'interesse
di ritrovare un'immagine culturale nazionale".
"Aiuta molto il fatto che tanti nuovi film sono
girati in digitale", aggiunge Bruehl. "E'
una scelta artistica, ma anche economica: i film costano
meno, e il governo ha più voglia di sponsorizzarli,
il che è un bene, perché invece il settore
privato si sta disinteressando completamente del cinema.
Das Weiße Rauschen, il mio precedente
film con Weingartner, è stato girato in digitale
per 70mila marchi austriaci, una bazzecola".
Tornando a The Edukators, Bruehl dice: "Più
che un film, Hans ha voluto girare una sorta di documentario,
usando uno stile realista, lasciandoci la libertà
di improvvisare le battute, al fine di conservare
uno spirito autentico come quello dei nostri personaggi.
Perché è importante dire che i giovani
di oggi, pur nella loro confusione idoelogica, sono
animati da una passione vera, da un genuino desiderio
di migliorare le cose non solo per se stessi ma anche
per chi non ha voce, per i deboli messi a tacere dalla
globalizzazione economica".
"Una delle grandi sorprese nel partecipare al
Festival è stata quella che il mio film è
stato proiettato subito prima di Farenheit 9/11
di Michael Moore", dice Weingartner, "non
solo perché per me questo è stato un
onore, ma anche perché effettivamente sia The
Edukators che Farenheit 9/11 parlano di
come sia possibile ribellarsi in modo non violento,
usando come armi solo il sense of humour e l'attenzione
ai sentimenti della gente. Credo che il film di Moore,
come il mio, sia soprattutto la storia di una ricerca
di giustizia poetica".
"Un film come The Edukators non può
cambiare il mondo", conclude Bruehl, "ma
credo che farà discutere il pubblico ovunque
sarà visto, così come è successo
in Germania. Gli spettatori dovranno calarsi nei panni
dei nostri personaggi e domandarsi: che cosa farei
io al loro posto? Da che parte starei?"
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