Vivere
significa essere fotografati. Davanti a una torta di compleanno,
o davanti a un caldo paesaggio estivo. Oppure davanti
all’ultimo torturato iracheno, possibilmente in
posa e con un ghigno stampato sulla faccia. Il ghigno
è, ovviamente, dedicato alla foto-camera.
Susan Sontag - scrittrice americana tra le più
conosciute - dedica a questa dura constatazione gran parte
del lungo articolo Regarding
the Torture of other, pubblicato sul N.Y. Times
Magazine del 23 maggio.
Attivista dei diritti umani e autrice di alcuni saggi
tra cui Sulla Fotografia (Einaudi, 2004) e
più recentemente Davanti al dolore degli
altri (Mondadori, 2003) - al quale l’articolo
si ispira, Susan Sontag scrive che quell’espressione
di soddisfazione dei soldati americani di fronte a vittime
irachene nude e indifese è solo una parte della
storia. Dietro c’è, in realtà, una
soddisfazione profonda data dall’essere stati
immortalati in un’immagine. E, più dietro
ancora, c’è un’idea perversa di divertimento,
che - contrariamente a quanto George W. Bush assicura
- fa ormai parte “della vera natura, del cuore
dell’America”.
Già
quando scriveva On the Photography, la Sontag
rilevava che “essere educati attraverso le fotografie
è diverso dall’essere educati attraverso
immagini più antiche e artigianali. Per un motivo
almeno: ci sono tantissime immagini in più intorno
a noi che reclamano la nostra attenzione”. Si
è affermato così un nuovo codice visivo:
la fotografia ha, infatti, alterato le nostre percezioni
su che cosa vale la pena guardare e che cosa abbiamo
il diritto di guardare. “Le fotografie rappresentano
una grammatica o, ancora più importante, un’etica
del vedere”. Ci danno l’idea di poter trattenere
tutto il mondo nella nostra testa “come fosse
un’antologia di immagini”.
Sono passati trent’anni, ormai, dall’uscita
di quel saggio. Era il 1973. Oggi è l’era
del reality-show. Tanti – soprattutto negli Stati
Uniti - registrano meticolosamente ogni attimo della
loro vita su immagini digitali da distribuire in giro
via e-mail. Tanti non si allontanano mai dalla propria
webcam. Il salto da una webcam in camera da letto alle
foto-camere del carcere di Abu Ghraib potrebbe sembrare
troppo lungo. Eppure è stato davvero brevissimo.
Non a caso molte delle fotografie messe sotto accusa
mostrano immagini con una fortissima componente sessuale.
La Sontag ammonisce a non commettere l’errore
di separare il disgusto per quello che le fotografie
mostrano dal disgusto per il fatto che quelle fotografie
sono state scattate. Sempre in On the Photography,
la scrittrice affermava: “Le fotografie forniscono
una prova. Qualcosa che noi veniamo a sapere, ma di
cui dubitiamo, sembra essere provato quando ne viene
mostrata una fotografia. Uno degli aspetti utili della
macchina fotografica consiste nel fatto che essa incrimina.”.
E questa volta non incrimina solo i torturatori, i soldati
cattivi, ma incrimina la nostra stessa cultura.
Nell'era
della fotografia, alla realtà si chiede sempre
di più. La realtà può non essere
abbastanza spaventosa, e perciò va potenziata.
Si diceva infatti di una strana idea di divertimento,
perversa e brutale che traspare dalle fotografie di
Abu Ghraib. Un’idea che non è solo quella
dei soldati torturatori, ma è anche quella che
spopola in America. Tra i giovani fan di video-game
violenti – uno fra tanti il famigerato Interrogating
the terrorists. Tra i “nonni” delle
confraternite universitarie. Tra le gang di quartiere.
“In America fantasie e atti di violenza sono diventati
un piacevole intrattenimento”, denuncia la Sontag.
Divertente da morire.
Un uomo chiama Rush Limbaugh – contestato ma
ascoltatissimo conduttore radiofonico statunitense -
durante il suo show: “impilare uomini nudi è
un giochetto da confraternita”. Limbaugh risponde:
“Esattamente, è proprio quello che penso.
Non è diverso da quello che succede a un rito
di iniziazione degli Skull and Bones, e noi
dovremmo rovinare la vita di quei ragazzi, dargli addosso
semplicemente perché si sono divertiti. A questa
gente sparano addosso ogni giorno. Si stavano divertendo.
Hai mai sentito parlare di ‘sfogo emotivo’?”
Risposta davvero sconcertante. Sui misteriosi obiettivi
degli Skull and Bones – una società
segreta ed elitaria fondata a Yale nel 1832 tra gli
studenti dell’ultimo anno, che tuttora continua
le sue attività con l’appoggio degli uomini
più potenti del mondo - Bush e Kerry, secondo
la Cbs, ne avrebbero fatto parte entrambi- ci si potrebbe
scrivere un libro – e c’è chi l’ha
già fatto. Ma su questo “sfogo emotivo”
a cui allude Limbaugh un libro non basterebbe.
In Regarding the pain of other Susan Sontag
ha scritto: “Quanto a chi guarda, (…) beh,
è possibile scrutare a lungo quelle facce senza
riuscire a comprendere il mistero, e l'indecenza, dello
spettacolo a cui siamo chiamati ad assistere.”
Diamo un’occhiata alle fotografie di Abu Ghraib.
Consideriamole in un’ottica diversa. Come davanti
a uno specchio. Quelle fotografie siamo noi.
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