253 - 15.05.04


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Il mea culpa dei cinquantenni d'oltrecortina

Jerzy Stuhr con Paola Casella


Il faccione di Jerzy Stuhr è noto a chiunque abbia una pur minima familiarità con il cinema polacco: era uno degli attori preferiti da Krzystof Kieslowski (lo ricordiamo nel Decalogo e in Tre colori - Film Bianco) e ha lavorato anche con Krzystof Zanussi e Agnieska Holland. Ma è come regista che ha raggiunto la notorietà personale oltre i confini del suo Paese: il suo Storie d'amore è stato premiato al Festival di Venezia, e l'ultimo lavoro, Il tempo per domani, ha partecipato all'ultimo Festival di Berlino.

Il suo genere è la commedia umana. Stuhr racconta le traversie della nuova borghesia polacca in toni che spesso sfiorano il grottesco e la farsa, ma che mantengono una sottotraccia di amarezza e di autentica sofferenza. Non fa eccezione Il tempo per domani, che il regista ha presentato personalmente a Roma nel contesto della rassegna Il sipario strappato: una settimana di visibilità al cinema dei Paesi dell'allargamento.

Il tempo per domani segue le peripezie di un padre cinquantenne (interpretato dallo stesso Stuhr) che, dopo aver abbandonato la famiglia in seguito a un "incidente diplomatico" con il regime, ritorna a casa per scoprire che i suoi tre figli hanno interpretato la modernità nella sua accezione più negativa: il maschio è lo speechwriter di un politico senza scrupoli, una figlia fa la pornostar in un reality show, l'altra frequenta un giro di tossici cinici e violenti.

Il tempo per domani è una metafora della condizione della Polonia di oggi?

In parte è una mia confessione molto personale sulla difficoltà di essere padre. C'è un abisso di differenza fra la mia generazione e quella dei miei figli, e quando cerco di trasmettere loro la mia esperienza, mi accorgo che le mie informazioni sono già tutte disponibili con un click del mouse. Ma ho anche cercato di mostrare la Polonia del presente, perché i problemi che noi genitori abbiamo con i nostri figli sono solo una spremuta di quelli generali del Paese. Per questo il pubblico polacco ha risposto molto bene a questo film, che è ancora sugli schermi in Polonia, nonostante sia uscito l'anno scorso. E sono soprattutto i giovani a riconoscere il loro Paese con tutte le sue difficoltà.

Perché proprio i giovani?

Perché nonostante nel film io faccia un ritratto abbastanza negativo della loro generazione, in realtà quella che metto sotto accusa è la mia. I giovani sono vittime, i responsabili siamo noi cinquantenni che, dopo aver lottato per la patria e per i grandi principi, abbiamo dimenticato di difendere le persone che ci circondavano, abbiamo lasciato soli i nostri figli. Non abbiamo avuto il tempo, la voglia o il coraggio di pensare a loro.

Crede che i problemi della Polonia attuale derivino dal tramonto delle grandi ideologie?

Il padre che interpreto in questo film è stato un militante di Solidarnosc, ma Solidarnosc resta sullo sfondo, come un'esperienza di formazione per la generazione dei padri, non come un lascito tramandato ai figli. E anche per il mio personaggio l'esperienza in Solidarnosc è un'eredità compromessa, tant'è vero che lui stesso vuole lasciarsela alle spalle.

I problemi che la Polonia sta affrontando in questo momento derivano dalla nostra difficoltà nell'usare bene la nuova libertà che ci è concessa. Oggi tutto è possibile, abbiamo il diritto di fare tutto ciò che vogliamo. Questa libertà senza limiti e senza regole ha un fascino enorme, un grande potere seduttivo. Per questo facciamo fatica a gestirla in modo adeguato. L'Europa occidentale ha affrontato questo pericolo molto prima di noi: adesso è il nostro turno.

E' ottimista circa il futuro della Polonia?

Sì, tant'è vero che ho chiuso il mio film su una nota positiva: i figli si rendono conto che le cose importanti, quelle da difendere, non sono la fama, la ricchezza o il potere, ma la famiglia e l'amore. Credo che sia già molto fare presente questo agli spettatori, e mostrare loro dove, secondo me, si annidano oggi i pericoli più grandi.

C'è più libertà anche per i registi polacchi?

Anche nel cinema la libertà è diventata enorme, ma a compensarla c'è una penuria di risorse economiche. Dal punto di vista stilistico, questa libertà sta comunque producendo grandi cambiamenti, soprattutto fra i giovani. Lo vedo con i miei studenti (Sturh insegna cinema alla Scuola Nazionale, ndr), che cercano con fiducia di raccontare se stessi e il mondo che li circonda, trovando la propria poetica individuale.

Che cosa si aspetta dall'entrata della Polonia nell'Unione europea?

Sul piano culturale, credo che l'entrata nell'Unione rappresenti una grande occasione per la Polonia. Ci dà l'opportunità di presentarci al resto dell'Europa da Paese finalmente libero, senza il vecchio complesso di inferiorità che avevamo noi artisti di oltre-cortina di ferro. Finalmente siamo partner in piena regola e abbiamo la fortuna di poter portare nell'Unione il nostro pensiero, il nostro punto di vista sull'arte.

Ma è una grande occasione solo se ricordiamo di rimanere fedeli a noi stessi. Un grande esempio, in questo senso, è lo scrittore Tadeusz Kantor, straordinario ambasciatore della cultura e del teatro polacchi nel mondo, che non ha mai smesso di presentare la propria visione personale, anche se l'ha fatto usando un linguaggio comprensibile a tutti.

 




 

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