Il
faccione di Jerzy Stuhr è noto a chiunque abbia
una pur minima familiarità con il cinema polacco:
era uno degli attori preferiti da Krzystof Kieslowski
(lo ricordiamo nel Decalogo e in Tre colori - Film Bianco)
e ha lavorato anche con Krzystof Zanussi e Agnieska Holland.
Ma è come regista che ha raggiunto la notorietà
personale oltre i confini del suo Paese: il suo Storie
d'amore è stato premiato al Festival di Venezia,
e l'ultimo lavoro, Il tempo per domani, ha partecipato
all'ultimo Festival di Berlino.
Il suo genere è la commedia umana. Stuhr racconta
le traversie della nuova borghesia polacca in toni che
spesso sfiorano il grottesco e la farsa, ma che mantengono
una sottotraccia di amarezza e di autentica sofferenza.
Non fa eccezione Il tempo per domani, che il
regista ha presentato personalmente a Roma nel contesto
della rassegna Il sipario strappato: una settimana
di visibilità al cinema dei Paesi dell'allargamento.
Il tempo per domani segue le peripezie di un padre
cinquantenne (interpretato dallo stesso Stuhr) che,
dopo aver abbandonato la famiglia in seguito a un "incidente
diplomatico" con il regime, ritorna a casa per
scoprire che i suoi tre figli hanno interpretato la
modernità nella sua accezione più negativa:
il maschio è lo speechwriter di un politico
senza scrupoli, una figlia fa la pornostar in un reality
show, l'altra frequenta un giro di tossici cinici
e violenti.
Il
tempo per domani è una metafora della condizione
della Polonia di oggi?
In parte è una mia confessione molto personale
sulla difficoltà di essere padre. C'è
un abisso di differenza fra la mia generazione e quella
dei miei figli, e quando cerco di trasmettere loro la
mia esperienza, mi accorgo che le mie informazioni sono
già tutte disponibili con un click del mouse.
Ma ho anche cercato di mostrare la Polonia del presente,
perché i problemi che noi genitori abbiamo con
i nostri figli sono solo una spremuta di quelli generali
del Paese. Per questo il pubblico polacco ha risposto
molto bene a questo film, che è ancora sugli
schermi in Polonia, nonostante sia uscito l'anno scorso.
E sono soprattutto i giovani a riconoscere il loro Paese
con tutte le sue difficoltà.
Perché proprio i giovani?
Perché nonostante nel film io faccia un ritratto
abbastanza negativo della loro generazione, in realtà
quella che metto sotto accusa è la mia. I giovani
sono vittime, i responsabili siamo noi cinquantenni
che, dopo aver lottato per la patria e per i grandi
principi, abbiamo dimenticato di difendere le persone
che ci circondavano, abbiamo lasciato soli i nostri
figli. Non abbiamo avuto il tempo, la voglia o il coraggio
di pensare a loro.
Crede che i problemi della Polonia attuale derivino
dal tramonto delle grandi ideologie?
Il padre che interpreto in questo film è stato
un militante di Solidarnosc, ma Solidarnosc resta sullo
sfondo, come un'esperienza di formazione per la generazione
dei padri, non come un lascito tramandato ai figli.
E anche per il mio personaggio l'esperienza in Solidarnosc
è un'eredità compromessa, tant'è
vero che lui stesso vuole lasciarsela alle spalle.
I problemi che la Polonia sta affrontando in questo
momento derivano dalla nostra difficoltà nell'usare
bene la nuova libertà che ci è concessa.
Oggi tutto è possibile, abbiamo il diritto di
fare tutto ciò che vogliamo. Questa libertà
senza limiti e senza regole ha un fascino enorme, un
grande potere seduttivo. Per questo facciamo fatica
a gestirla in modo adeguato. L'Europa occidentale ha
affrontato questo pericolo molto prima di noi: adesso
è il nostro turno.
E' ottimista circa il futuro della Polonia?
Sì, tant'è vero che ho chiuso il mio
film su una nota positiva: i figli si rendono conto
che le cose importanti, quelle da difendere, non sono
la fama, la ricchezza o il potere, ma la famiglia e
l'amore. Credo che sia già molto fare presente
questo agli spettatori, e mostrare loro dove, secondo
me, si annidano oggi i pericoli più grandi.
C'è più libertà anche per
i registi polacchi?
Anche nel cinema la libertà è diventata
enorme, ma a compensarla c'è una penuria di risorse
economiche. Dal punto di vista stilistico, questa libertà
sta comunque producendo grandi cambiamenti, soprattutto
fra i giovani. Lo vedo con i miei studenti (Sturh insegna
cinema alla Scuola Nazionale, ndr), che cercano con
fiducia di raccontare se stessi e il mondo che li circonda,
trovando la propria poetica individuale.
Che cosa si aspetta dall'entrata della Polonia
nell'Unione europea?
Sul piano culturale, credo che l'entrata nell'Unione
rappresenti una grande occasione per la Polonia. Ci
dà l'opportunità di presentarci al resto
dell'Europa da Paese finalmente libero, senza il vecchio
complesso di inferiorità che avevamo noi artisti
di oltre-cortina di ferro. Finalmente siamo partner
in piena regola e abbiamo la fortuna di poter portare
nell'Unione il nostro pensiero, il nostro punto di vista
sull'arte.
Ma è una grande occasione solo se ricordiamo
di rimanere fedeli a noi stessi. Un grande esempio,
in questo senso, è lo scrittore Tadeusz Kantor,
straordinario ambasciatore della cultura e del teatro
polacchi nel mondo, che non ha mai smesso di presentare
la propria visione personale, anche se l'ha fatto usando
un linguaggio comprensibile a tutti.
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