AA.VV., Ritratti
americani, a cura di Sara Antonelli, elleu, pagg.265,
Euro 14,00.
Only
in America, verrebbe subito da dire, apprendendo
l'antefatto che sta dietro alla collezione di Ritratti
americani che porta come sottotitolo "15 scrittori
raccontano gli Stati Uniti". Perché i 15 scrittori
- fra i quali quattro premi Pulitzer e due poeti laureati
- hanno risposto per iscritto alla formale richiesta da
parte del Dipartimento di Stato d'oltreoceano di scrivere
qualcosa sul loro essere americani e su quanto questa
"etnicità" abbia influito sulle loro
carriere. E perché quella singolare richiesta è
stata formulata all'indomani dell'11 settembre 2001, quando
cioè il Dipartimento di Stato ha avvertito l'esigenza
di presentare al mondo una visione dell'American way of
life che controbilanciasse quella offerta da Bin Laden
e compagni
Il compito assegnato agli scrittori era quello di chiarire
quei "valori americani quali libertà, differenza
e democrazia" che rischiavano di essere offuscati
dalle accuse di prepotenza, arroganza e mancanza di
sensibilità internazionale che piovevano sugli
Stati Uniti da molte parti del mondo. Subito, all'interno
degli stessi Stati Uniti, sono partire le accuse di
propaganda al Dipartimento di Stato, anche perché
la distribuzione di questi Ritratti sarebbe
avvenuta solo al di fuori dei confini nazionali.
Ma a leggerli con attenzione, i 15 ritratti sembrano
avere poco a che fare con la propaganda nazionalistica,
anche perché, nonostante l'evidente sforzo da
parte del Dipartimento di mettere insieme un gruppetto
multietnico poco assimilabile all'idea del wasp bianco,
ricco e tracotante che l'Islam combattivo ha eretto
a suo nemico, avendo cura di inserire anche un'autrice
di orgine palestinese e una di origine libanese, i 15
autori si sono comportati da veri scrittori americani:
ognuno, cioè, ha detto esattamente quello che
pensava, senza curarsi a quale mulino andasse (o, in
molti casi, non andasse) a portare acqua. "Essere
americano significa che mi sento libero di scrivere
quello che voglio, ed è proprio quello che ho
fatto", asserisce Richard Ford.
Così, se l'accento dei selezionatori era stato
posto sulla multietnicità degli Stati Uniti,
le scrittrici (perché grande attenzione è
stata posta anche al mix dei generi) discendenti da
famiglie di recente immigrazione - le già citate
arabo-americane Elmaz Abinader e Naomi Shibab Nye, la
dominicana Julia Alvarez,l'idiana Bharati Mukherjee
- hanno dato interpretazioni dell'esperienza dell'immigrazione
che non lesinano sugli aspetti poco simpatici dell'accoglienza
dell'americano medio nei confronti di gente di religione
o colorito diverso. "Con il passare degli anni
i sentimenti nei confronti degli arabi sono diventati
sempre più negativi e talvolta hanno sconfinato
nel sospetto, persino tra i miei colleghi", scrive
candidamente Abinader.
E se il nero americano Charles Johnson parla dell'America
come del luogo dove "le nostre passioni definiscono
le nostre possibilità" e dove "qualunque
cosa tu voglia imparare c'è sempre qualcuno disposto
ad insegnartela", la scrittrice di origine chickasaw,
oggi definita "nativa americana", Linda Hogan
sottolinea quanto sia stato importante per lei mantenere
ben distinte le proprie tradizioni da quelle yankee,
per non vedere azzerata la propria individualità.
"Scrivo per essere una persona che aiuta a ricomporre
il mondo", scrive Hogan, ed è impossibile
non interpretare questa dichiarazione come contraria
alla mentalità della guerra preventiva.
Mark Jacobs aggiunge che "oggi la necessità
di prestare ascolto e attenzione alle altre culture
è ancora più urgente"; il premio
Pulitzer Michael Chabon descrive un'America improntata
all'armonia etnica e razziale.... solo sulla carta;
il poeta laureato Billy Collins mette in dubbio l'esistenza
di quella creatura definita "americano vero".
Robert Creely fa presente che "se i tristi avvenimenti
dell'11 settembre 2001 hanno provocato un notevole uso
di poesie come mezzo in cui trovare un terreno comune
e sentito per il dolore, quest'uso è passato
velocemente appena la nazione ha riconquistato l'equilibrio,
si è rivolta all'organizzazione di una guerra
di aggressione e, bisogna riconoscerlo, è ritornata
a far soldi."
Ciò che emerge come valore americano da questa
raccolta è la diversità: quella della
"grande, chiassosa, caotica e discordante cultura
americana", come la descrive Mark Jacobs (che parla
anche dell'importanza di essere consapevoli della propria
relatività culturale, perché, come scriveva
Conrad, ci sono vari modi di costruire il mondo, e la
verità dell'esperienza va ricercata nello "scambio
nervoso" fra questi modi) che è una diretta
conseguenza del valore "americano" supremo:
la libertà di espressione. E a controprova, il
Dipartimento di Stato ha pubblicato e distribuito nel
mondo i 15 Ritratti, senza modificarne una
virgola.
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