252 - 01.05.04


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“Vi racconto quant’è diversa la Francia”

Francesco Zardo con Cristina Fassianòs


Volete trascorrere una settimana a Parigi? Non acquistate le solite guide turistiche, pedissequamente scritte e definite. Pretendete qualcosa di peculiare, qualcosa che sappia ritrarre la realtà francese, la sua gente, il suo modus vivendi, i suoi angoli particolari.
Insomma, una guida originale che dia la percezione di Parigi e della Francia. Una buona guida. E non v’è alcun dubbio; leggendo le pagine di Come sopravvivere ai francesi (Cooper Castelvecchi
pp. 122, euro 9.), il libro di Francesco Zardo, si può tranquillamente affermare che è un’ottima guida scritta da un italiano che in Francia ci ha vissuto e lavorato per quasi due anni, come corrispondente per la rivista, “Internazionale”.
Si tratta di una cronaca, quindi un’osservazione attenta e anche ironica di Parigi, dei suoi angoli particolari, delle sue abitudini, dei suoi negozi, ristoranti, monumenti. “Il racconto di un italiano che ce l’ha fatta”, è il commento che fa da sottotitolo. E viene spontaneo chiedersi perché ce l’ha fatta.

“Precisiamo, il sottotitolo è un’idea dell’editore”, dice Zardo, “Ha pensato che per aver scritto un libro, significava che ero sopravvissuto ai francesi. La verità è che bisogna sopravvivere a se stessi quando ci si confronta con la diversità. Nel mio caso, la Francia”.
Insomma, una parentesi di vita parigina ed europea, aperta non soltanto per questioni professionali ma anche di cuore.

Possiamo dirlo?

Perché no, questo libro è stato un gesto d’amore, anche personale. Ha un punto di fuga, che potrebbe essere una donna. Se così non fosse, sarebbe un manuale.

Ha nostalgia di Parigi e della Francia?

Sì, lo confesso. Ne ho nostalgia perché è un Paese dove si vive bene.
C’è una giusta interpretazione dell’universo borghese, con un radice più autentica della nostra. La Francia transita da Paese contadino a Stato borghese molto prima dell’Italia. E ciò si percepisce semplicemente andando al cinema, in biblioteca, allo stadio, a scuola, in un ordine più giusto, in un rispetto originario del cittadino. Parigi ha il dono dell’efficienza.

Molti Paesi europei hanno questo dono…

Vero. Ma la differenza sta nella coniugazione tra efficienza e piacere. Parigi ha una stratificazione allegra che in Italia manca. E’ meno rassegnata e pessimista. La Francia è un Paese dove accanto all’efficienza c’è la buona cucina, la moda, i locali di svago e trasgressivi. Insomma, Parigi è un trionfo di cultura, di Storia ma anche di piacere.

In questo senso definirebbe più europea la Francia rispetto all’Italia?

Per dirlo, bisogna mettersi d’accordo sulla concezione di Europa e mi sembra, che non ci siamo ancora riusciti. Forse perché l’Europa ha subìto una rivoluzione cruenta al suo interno poco più di mezzo secolo fa. Se vogliamo pensare all’Europa come un sistema basato su valori borghesi, allora la Francia è più europea. Ma credo che ciò sia poco esaustivo. L’Europa è anche la Spagna, è l’Est; è quindi difficile mettere a fuoco una radice europea, bisogna individuarla. Certamente la Francia e la Germania, per la centralità geografica, per la loro Storia, forse si avvicinano di più all’idea di una unione europea. E poi i francesi hanno questo forte orgoglio nazionale e quindi, a differenza dell’Italia, non hanno ceduto agli Stati Uniti sul piano culturale, linguistico e soprattutto politico e militare. Bisogna tutelare le differenze, anche all’interno di una unione.

Qual è la maggiore differenza tra la Francia e l’Italia?

La differenza più grande sono i calzini. In Francia tutti gli uomini indossano calzini corti; i calzettoni sono considerati una bizzarria. E’ una importante differenza, perché il calzino corto da noi è simbolo di trascuratezza.

Potremmo andare più a fondo e definirla anche una differenza d’identità?

Sono un cronista e come tale segnalo dei particolari poco noti a chi non può avere una visione diretta della realtà. Chi non è mai stato in Francia, oppure c’è stato per poco tempo, non può osservare questa abitudine ai calzini corti. La cronaca non lascia spazio ad approfondimenti; la cronaca è osservazione pura e semplice dei fatti; poi sta al lettore la scelta di approfondire o meno, di lasciarsi andare a considerazioni. Io do la materia prima: quell’humus di cronaca che è l’ossatura del libro. Ed è una cronaca ironica. L’ironia è quella lente, quello strumento critico e culturale che uno scrittore deve avere.

A proposito di cronaca e quindi di informazione, lei da giornalista, quali differenze percepisce nell’universo dei media, tra Francia e Italia?

Di questo ne ho parlato a lungo nel mio libro. Vi è una differenza significativa nel sistema d’informazione francese, che è quella della varietà. Vede, in Francia i due quotidiani più diffusi: “Le Monde” e “Le Figaro”, sono molto diversi tra loro, non soltanto nel linguaggio e nella gerarchia delle notizie, ma anche negli orari di uscita. “Le Monde” è un giornale che si fa tra le cinque e le undici del mattino. Esce alle tre del pomeriggio con la data del giorno successivo, per cui è un quotidiano serale. I francesi lo leggono quando escono dall’ufficio, leggono la sera. “Le Figaro” invece è più simile ai nostri quotidiani; è un giornale storico e conservatore. Ma il punto è che pur mantenendo le regole del giornalismo occidentale, i giornali francesi, intanto sono più letti e più diffusi, sono sganciati dalla televisione e soprattutto, ignorano la concorrenza. In Francia non esiste la fobia del “prendere il buco”, per cui non si assiste a quel fenomeno tutto italiano di vedere le stesse pagine con le stesse notizie su vari quotidiani. In Francia c’è varietà e quindi possibilità di leggere notizie diverse. Nel caso di “Libération”, il quotidiano neo-chic del centrosinistra, la differenziazione è un’ossessione pari a quella dell’omologazione nella stampa italiana. Anche i giornali sportivi sono diversi, meno minuziosi e prodighi di particolari. Una visione più complessiva del fenomeno sportivo.

Tornerebbe a Parigi?

Sono nato e cresciuto a Roma. Parigi è la mia città adottiva. Sono due città così differenti; ci vorrebbero pagine e pagine per elencarne le diversità. C’è da dire anche che spesso queste sono nell’occhio di chi guarda, più che nella realtà dei luoghi.
E’ difficile vivere nel presente. Si sta sempre un po’ a cavallo tra passato e futuro. Sì, vorrei tornare a Parigi… per avere nostalgia di Roma.







 

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