Volete
trascorrere una settimana a Parigi? Non acquistate le
solite guide turistiche, pedissequamente scritte e definite.
Pretendete qualcosa di peculiare, qualcosa che sappia
ritrarre la realtà francese, la sua gente, il suo
modus vivendi, i suoi angoli particolari.
Insomma, una guida originale che dia la percezione di
Parigi e della Francia. Una buona guida. E non v’è
alcun dubbio; leggendo le pagine di Come sopravvivere
ai francesi (Cooper Castelvecchi
pp. 122, euro 9.), il libro di Francesco Zardo, si può
tranquillamente affermare che è un’ottima
guida scritta da un italiano che in Francia ci ha vissuto
e lavorato per quasi due anni, come corrispondente per
la rivista, “Internazionale”.
Si tratta di una cronaca, quindi un’osservazione
attenta e anche ironica di Parigi, dei suoi angoli particolari,
delle sue abitudini, dei suoi negozi, ristoranti, monumenti.
“Il racconto di un italiano che ce l’ha fatta”,
è il commento che fa da sottotitolo. E viene spontaneo
chiedersi perché ce l’ha fatta.
“Precisiamo, il sottotitolo è un’idea
dell’editore”, dice Zardo, “Ha pensato
che per aver scritto un libro, significava che ero sopravvissuto
ai francesi. La verità è che bisogna sopravvivere
a se stessi quando ci si confronta con la diversità.
Nel mio caso, la Francia”.
Insomma, una parentesi di vita parigina ed europea, aperta
non soltanto per questioni professionali ma anche di cuore.
Possiamo dirlo? Perché
no, questo libro è stato un gesto d’amore,
anche personale. Ha un punto di fuga, che potrebbe essere
una donna. Se così non fosse, sarebbe un manuale.
Ha nostalgia di Parigi e della Francia?
Sì, lo confesso. Ne ho nostalgia perché
è un Paese dove si vive bene.
C’è una giusta interpretazione dell’universo
borghese, con un radice più autentica della nostra.
La Francia transita da Paese contadino a Stato borghese
molto prima dell’Italia. E ciò si percepisce
semplicemente andando al cinema, in biblioteca, allo
stadio, a scuola, in un ordine più giusto, in
un rispetto originario del cittadino. Parigi ha il dono
dell’efficienza.
Molti Paesi europei hanno questo dono…
Vero. Ma la differenza sta nella coniugazione tra efficienza
e piacere. Parigi ha una stratificazione allegra che
in Italia manca. E’ meno rassegnata e pessimista.
La Francia è un Paese dove accanto all’efficienza
c’è la buona cucina, la moda, i locali
di svago e trasgressivi. Insomma, Parigi è un
trionfo di cultura, di Storia ma anche di piacere.
In questo senso definirebbe più europea
la Francia rispetto all’Italia?
Per dirlo, bisogna mettersi d’accordo sulla concezione
di Europa e mi sembra, che non ci siamo ancora riusciti.
Forse perché l’Europa ha subìto
una rivoluzione cruenta al suo interno poco più
di mezzo secolo fa. Se vogliamo pensare all’Europa
come un sistema basato su valori borghesi, allora la
Francia è più europea. Ma credo che ciò
sia poco esaustivo. L’Europa è anche la
Spagna, è l’Est; è quindi difficile
mettere a fuoco una radice europea, bisogna individuarla.
Certamente la Francia e la Germania, per la centralità
geografica, per la loro Storia, forse si avvicinano
di più all’idea di una unione europea.
E poi i francesi hanno questo forte orgoglio nazionale
e quindi, a differenza dell’Italia, non hanno
ceduto agli Stati Uniti sul piano culturale, linguistico
e soprattutto politico e militare. Bisogna tutelare
le differenze, anche all’interno di una unione.
Qual è la maggiore differenza tra la
Francia e l’Italia?
La differenza più grande sono i calzini. In
Francia tutti gli uomini indossano calzini corti; i
calzettoni sono considerati una bizzarria. E’
una importante differenza, perché il calzino
corto da noi è simbolo di trascuratezza.
Potremmo andare più a fondo e definirla
anche una differenza d’identità?
Sono un cronista e come tale segnalo dei particolari
poco noti a chi non può avere una visione diretta
della realtà. Chi non è mai stato in Francia,
oppure c’è stato per poco tempo, non può
osservare questa abitudine ai calzini corti. La cronaca
non lascia spazio ad approfondimenti; la cronaca è
osservazione pura e semplice dei fatti; poi sta al lettore
la scelta di approfondire o meno, di lasciarsi andare
a considerazioni. Io do la materia prima: quell’humus
di cronaca che è l’ossatura del libro.
Ed è una cronaca ironica. L’ironia è
quella lente, quello strumento critico e culturale che
uno scrittore deve avere.
A proposito di cronaca e quindi di informazione,
lei da giornalista, quali differenze percepisce nell’universo
dei media, tra Francia e Italia?
Di questo ne ho parlato a lungo nel mio libro. Vi è
una differenza significativa nel sistema d’informazione
francese, che è quella della varietà.
Vede, in Francia i due quotidiani più diffusi:
“Le Monde” e “Le Figaro”, sono
molto diversi tra loro, non soltanto nel linguaggio
e nella gerarchia delle notizie, ma anche negli orari
di uscita. “Le Monde” è un giornale
che si fa tra le cinque e le undici del mattino. Esce
alle tre del pomeriggio con la data del giorno successivo,
per cui è un quotidiano serale. I francesi lo
leggono quando escono dall’ufficio, leggono la
sera. “Le Figaro” invece è più
simile ai nostri quotidiani; è un giornale storico
e conservatore. Ma il punto è che pur mantenendo
le regole del giornalismo occidentale, i giornali francesi,
intanto sono più letti e più diffusi,
sono sganciati dalla televisione e soprattutto, ignorano
la concorrenza. In Francia non esiste la fobia del “prendere
il buco”, per cui non si assiste a quel fenomeno
tutto italiano di vedere le stesse pagine con le stesse
notizie su vari quotidiani. In Francia c’è
varietà e quindi possibilità di leggere
notizie diverse. Nel caso di “Libération”,
il quotidiano neo-chic del centrosinistra, la differenziazione
è un’ossessione pari a quella dell’omologazione
nella stampa italiana. Anche i giornali sportivi sono
diversi, meno minuziosi e prodighi di particolari. Una
visione più complessiva del fenomeno sportivo.
Tornerebbe a Parigi?
Sono nato e cresciuto a Roma. Parigi è la mia
città adottiva. Sono due città così
differenti; ci vorrebbero pagine e pagine per elencarne
le diversità. C’è da dire anche
che spesso queste sono nell’occhio di chi guarda,
più che nella realtà dei luoghi.
E’ difficile vivere nel presente. Si sta sempre
un po’ a cavallo tra passato e futuro. Sì,
vorrei tornare a Parigi… per avere nostalgia di
Roma.
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