“Partenza,
partenza, non abbiamo motivo di rimanere qui", aveva
proclamato Ariel, un tempo, nella libreria del nonno e
nessuno lo ascoltava. Lo stesso avevo proclamato io, nella
tormenta dell'inverno 1947, e nessuno ascoltava. Un'intimazione
udita spesso, nei decenni successivi, quando neppure io
l'ascoltavo più.
da Il ritorno dell'huligano di Norman Manea,
traduzione di Marco Cugno (il Saggiatore, Pagg. 366, Euro
19,00)
Norman
Manea, nato nel 1936 "sotto il segno dell'intruso"
in Bucovina da genitori ebrei, è partito almeno
due volte dalla Romania: la prima a cinque anni, quando
è stato deportato in un lager ucraino durante il
regime filonazista di Antonescu; la seconda nel 1986,
quando grazie a una borsa di studio a Berlino Ovest si
è sottratto alla dittatura di Ceausescu. Oggi vive
negli Stati Uniti, dove insegna Cultura europea al Bard
College di New York.
In Italia ha pubblicato Un paradiso forzato
(Feltrinelli), La busta nera (Baldini Castoldi
Dalai), Clown, il dittatore e l'artista
e Ottobre, ore otto (il Saggiatore). E sempre
per il Saggiatore è appena uscito quello che
viene definito il capolavoro dell'autore rumeno, Il
ritorno dell'huligano, che porta come sottotitolo
"Una vita" perché racconta, in modo
non lineare e fantasmagorico (se non fosse che nessuno
degli eventi narrati è puro frutto di fantasia),
l'esistenza errabonda e tormentata di "un Ulisse
senza patria", "un povero nomade (ma non un
rinnegato)".
Il termine "huligano" viene via via "tradotto"
da Manea come "marginale, non allineato, escluso,
sradicato, dissidente, extraterritoriale", e nella
sua autobiografia - romanzata solo in termini di stile
narrativo - Manea si descrive spesso in terza persona,
autodefinendosi "lo straniero" o "l'esule",
ponendo l'accento sulla dimensione straniante dell'esilio,
che allontana da se stessi prima ancora che da un Paese
con confini più o meno definiti. "Ero sempre
stato l'altro", scrive Manea, "cosciente o
meno, smascherato o meno, anche se non mi identificavo
col ghetto di mia madre e con nessun ghetto dell'identità."
Malgrado
viva ormai da anni negli Stati Uniti, Norman Manea continua
a pensare, e a scrivere, in rumeno. Un capitolo di Il
ritorno dell'huligano si intitola "La lingua
errante", spesso, all'interno del racconto, l'autore
si descrive come "abitante di una lingua, non di
un Paese", ed equipara la perdita della lingua
natale al suicidio, perché "la lingua promette
non solo la rinascita, ma anche la legittimazione, la
reale cittadinanza e la reale appartenenza.
Alla dimensione di esiliato come categoria dell'anima
Manea ha dedicato quasi tutta la sua produzione letteraria,
che lo accosta, come importanza nel panorama culturale
rumeno, a quello che lui chiama "il trio Ionesco-Cioran-Eliade",
e lo inserisce nella rosa dei candidati al prossimo
Premio Nobel per la letteratura. Il suo mantra è
"Sii incessantemente straniero", e l'esilio
prende per lui i contorni della metafora esistenziale.
La nostra conversazione farà da contrappunto
ad alcune citazioni di Il ritorno dell'huligano,
che servono a descrivere le tante declinazioni del tema
dell'esilio, uno dei più attuali in Europa. Ma
poi spazierà anche attraverso i rapporti fra
la Romania e L'Unione europea, per approdare alle radici
comuni di una cultura che ha la sua culla nell'antichità.
L'ESILIO COME METAFORA
L'esilio offre l'ultima lezione di esproprio: l'addestramento
dello sradicato allo sradicamento ultimo.
"Quella dell'esilio è una metafora della
modernità. Nell'era moderna, gli esseri umani
sono stati lasciati soli con la terribile nozione che
Dio sia morto. Sempre di più l'uomo è
diventato padrone del globo, è riuscito a riprodurre
la natura e in qualche modo a rimpiazzarla. Contestualmente
però ha perso il suo centro, e quel senso di
appartenenza e di fede che è indispensabile per
il suo benessere. I fantatici religiosi di oggi cercano
di dare una risposta a questo aspetto della modernità,
la combattono cercando di tornare al tempo perduto,
di ricreare un equilibrio assoluto, il che è
utopistico, perché all'interno di qualunque religione
c'è il dubbio, la discussione, il dibattito.
"La
diversità e la contraddizione sono anch'esse
figlie della modernità e della comunicazione
globale, dove l'informazione è immediatamente
accessibile quasi ovunque, ma anche di quel bisogno
psicologico che Sartre definiva l'"alienazione
esterna" dell'uomo moderno, che si sente isolato
e privo di speranza. La gente ha bisogno di qualcosa
di fuori-da-sé con cui mettersi in relazione
e su cui proiettare la propria angoscia esistenziale".
IL RITORNO
Quanto sarebbe morto di me con la partenza?
Non sono pronto per il ritorno. Non sono ancora abbastanza
indifferente riguardo al passato... Nessun ritorno è
possibile.
"Il ritorno dell'huligano è stato
per me un'avventura per recuperare il passato. Dò
a chi legge alcune informazioni per costruire una cornice
all'interno della quale raccontare la mia storia, non
in ordine cronologico ma a seconda di come i pezzi del
mosaico si sono uniti nella mia memoria. Ho cercato
di ricostruire un'epoca e un luogo, ma soprattutto di
ricomporre un destino individuale per sottrarlo alla
tragedia collettiva. Le grandi tragedie uccidono l'individualità
due volte: la prima al momento in cui esse hanno luogo,
la seconda attraverso il ricordo, che privilegia l'aspetto
collettivo a quello individuale, e che 'registra' la
tragedia solo quando riesce a catalogarla in forma di
cliche.
"Ma uno scrittore non può obbedire al cliche.
Bisogna che trovi la sua voce, la sua lingua per raccontare
la tragedia, e bisogna che si concentri su una vita
alla volta, altrimenti non riesce veramente a trasmettere
la dimensione del dramma. Vorrei che il mio libro fosse
giudicato per i suoi meriti, o demeriti, letterari,
invece che sulla storia in sé. Per me, è
stato un viaggio in quella realtà indefinita
che chiamiamo Io."
IL SENSO DI COLPA
Senso di colpa per non aver lasciato la Patria
a tempo debito, senso di colpa per non essere rimasto
là fino alla fine.
"Non so se sia possibile parlare di senso di colpa
a proposito dell'esilio, che non è il frutto
di una decisione lucida, ma una conseguenza di eventi
storici o drammi personali. Comunque sia, l'esilio porta
sempre con sè una sensazione di incertezza e
di smarrimento, dalla quale difficilmente si riesce
a prescindere".
LA LINGUA
Il Partito unico imponeva la lingua unica, ufficiale,
canonica, che evitava le frivolezze della sfumatura,
promuoveva lo stile impersonale, distante, privo di
familiarità e di attrattiva.
"Durante una dittatura il linguaggio si impoverisce
e il gap fra la lingua del potere e quella della gente
si amplia. I discorsi politici, gli articoli di giornale
sono sempre più stereotipati, ed è difficile
riscattare la lingua dallo stereotipo, perché
lo stereotipo entra nella coscienza del suo consumatore,
cioè il cittadino. Ma recuperare la propria lingua
è una battaglia, un'azione concreta, per mantenere
sanità mentale, integrità, autenticità
e, in senso lato, speranza.
"In esilio, questa azione è ancora più
importante: la tua lingua diventa un nascondiglio, una
conchiglia dentro la quale puoi continuare a vivere.
Diventa il tuo centro vitale. La letteratura è
di grande aiuto, perché ti restituisce il senso
di un linguaggio vero, lucido, e gli strumenti per recuperare
te stesso".
LA ROMANIA E L'EUROPA
"La Romania è una nazione molto particolare,
un'isola latina in un continente slavo. E' la psiche
stessa del popolo rumeno ad essere contradditoria: un
occhio guarda verso Parigi, la cui cultura ha avuto
storicamente grande influenza sul mio Paese, l'altro
occhio guarda alla Chiesa Ortodossa, cioè alla
Russia e alla Grecia - una Chiesa che, in passato, non
ha avuto un ruolo molto positivo, dato che, sotto il
comunismo, molti preti facevano da informatori del regime.
"Credo sia fondamentale che la Romania entri a
far parte dell'Unione europea, per due motivi: i rumeni
si sentiranno maggiormente protetti, e non più
stretti fra due poteri forti - Russia e Germania; e
saranno costretti a entrare nella modernità,
quindi cominceranno a coltivare la speranza in un futuro
più prospero, acquisiranno un senso più
alto della libertà, dei diritti umani. Ma dovranno
pagare un prezzo salato, perché entreranno in
un mondo molto competitivo, dovranno combattere la corruzione
e rimettere in sesto l'economia nazionale.
"D'altro canto anche la Romania può portare
qualcosa di interessante all'Unione: una psicologia
convoluta, una cultura ricca di componenti orientali,
che possono esser di grande stimolo all'Europa occidentale.
La Romania è un Paese piccolo e poco conosciuto,
dove la gente ha una mentalità bizantina che
è complicata ma anche affascinante. Quando ho
lasciato la Romania credevo di non riuscire a sopportarla
più, e allora ho scelto un posto più noioso,
dove tutto è chiaro, dove so sempre con chi parlo,
e non devo preoccuparmi dei significati nascosti delle
frasi".
LA CULTURA EUROPEA
"Insegno Cultura europea e Letteratura dell'Europa
centrale. E quando spiego cos'è la cultura europea
ai miei studenti americani dico che ha due luoghi di
nascita: Atene e Gerusalemme. Da una parte c'è
la mitologia greca, dall'altra la Bibbia, ed entrambe
costituiscono il cuore della specificità culturale
europea. E' una visione umanistica del mondo che passa
anche attraverso il principio della Legge dell'antica
Roma, alla base di tutte le costituzioni europee. Il
futuro dell'Europa può essere costruito solo
partendo da quelle radici, e dalla consapevolezza della
propria storia, anche se è stata spesso tragica".
IL PREMIO NOBEL
"Se dovessi vincerlo - e si sa che i premi sono
terni al Lotto, che siano a Stoccolma o a Roma o a New
York - credo che molti rumeni reagirebbero come hanno
reagito gli ungheresi quando Imre Kertész ha
vinto il Nobel per la letteratura : migliaia di telegrammi
di protesta - dico migliaia, non decine o centinaia
- che dicevano: "Perché non avete premiato
un vero ungherese?". Imre Kertész è
nato a Budapest, ha vissuto in Ungheria e non sapeva
neppure di essere ebreo prima che lo spedissero ad Auschwitz.
I romeni non sono diretti come gli ungheresi, quindi
troverebbero un modo più contorto di esprimersi,
ma la loro reazione, se vincessi io, sarebbe più
o meno la stessa."
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