"Il
cinema europeo rischia di essere condannato a morte".
L'ha detto Liv Ullman, musa di Bergman da tempo passata
dietro la macchina da presa, che è anche presidentessa
della Fera, la Federazione europea degli autori del
cinema e dell’audiovisivo. La minaccia, seconda
la Fera, viene proprio dall'Unione, che sembra intenzionata
a ridurre il contributo dei paesi che la compongono
al Programma Media per il quinquennio 2007/2012, fino
ad ora assestato sull'1,22% del prodotto interno lordo
delle singole nazioni.
Ma che cos'è il Programma Media? Ce lo spiega
Francesco Maselli, regista e accanito difensore della
cinematografia nazionale, nonché presidente
dell'Associazione internazionale delle società
per il diritto d’autore.
"Il Programme Media nasce nell'85 in una birreria,
quando Carlo Ripa di Meana, che era allora Commissario
della CEE per la giovenutù - non esisteva ancora
la commissione cultura - ha deciso, insieme a me e
a Mariano Maggiore, che l'Europa dovesse per forza
inventarsi un programma di aiuto intelligente al proprio
cinema. Inizialmente il Programme Media riguardava
soltanto otto branche della vita cinematografica,
poi è diventato una cosa sempre più
seria, e oggi conta 16 branche diverse e influisce
soprattutto sulla distribuzione dei film. Questo ha
consentito nel tempo una ripresa delle piccole produzioni
e distribuzioni indipendenti europee, che dal Programma
hanno ricevuto un grande appoggio".
Che succede adesso?
Il
Programme Media è tenuto genialmente in piedi
dal suo direttore, Jacques Delmoly, ma lo stanno facendo
fuori in questi giorni perché ha vinto la linea
Monti, che attualmente influenza tutta la politica
comunitaria. Siamo in epoca di grandi tagli e, dovendo
tagliare, si elimina tutto ciò che viene considerato
attività complementare, non sostanziale. Quindi
hanno deciso di ridurre il contributo delle singole
nazioni al Programma Media dall'1,22 all'1 per cento
del PIL dei paesi membri dell'Unione. E pensare che
noi stavamo facendo una battaglia per aumentare quel
contributo al 2,5!! A queste condizioni, il cinema
europeo magari non ha proprio chiuso, ma di sicuro
perderà moltissimo.
E chi guadagna?
Il cinema americano, naturalmente. Senza una forte
politica generale di appoggio al cinema europeo, cresciamo
condannati a una dipendenza sempre maggiore da Hollywood.
Oggi in Europa vengono programmati circa il 75% di
film americani contro un 25% massimo di film europei.
Se non si riesce a ricreare una presenza più
forte nella circolazione e distribuzione del cinema
europeo, saremo completamente succubi del cinema americano,
su cui in Europa è impostato ad esempio lo
sviluppo dei multiplex. Ma il discorso è più
ampio.
Si spieghi meglio.
L'Europa continua a considerare il cinema come un
settore secondario, non come punto strategico della
politica. La Comunità economica europea, come
dice il nome stesso, nasce in chiave economicistica
e mercantile. E' un insieme progettuale dal quale
la cultura è esclusa. Con grandi battaglie,
soprattutto da parte della Fera, che abbiamo fondato
nell'80, siamo riusciti ad ottenere un cambiamento
di linea, cioè che la cultura e il cinema in
particolare acquistassero un peso sostanziale all'interno
della politica europea. Nell'83 la Fera ha convinto
Madame Prouvot, deputatessa liberale del Parlamento
europeo, a mettere insieme una bellissima e drammatica
relazione che spiegava come il cinema fosse una garanzia
di pluralismo culturale in Europa.
Fra l'80 e l'85 il governo Mitterand è riuscito
a far passare anche all'interno dell'Unione il concetto
fondamentale della cultura come parte di un patrimonio
da difendere. Infine Jacques Delors, presidente della
Commissione europea fino al '95, arriva ad accettare
il cinema come momento della strategia generale europea.
Questa, del resto, era stata la grande invenzione
degli americani, che nel lontano 1923, durante una
famosa riunione in Parlamento, avevano deciso che
le due industrie di primario interesse nazionale fossero
quella petrolifera e quella cinematografica. Ma adesso
purtroppo il vento sta cambiando e l'Europa fa marcia
indietro sull'importanza di cinema e cultura.
Anche in Italia la scena produttiva e distributiva
si è recentemente ristretta.
Con la nuova legge, il problema della produzione
e distribuzione è diventato drammatico. Il
decreto Urbani riduce i finanziamenti ad un piccolo
gruppo di produttori e di registi, cioè i produttori
che hanno incassato di più e i registi che
hanno ricevuto più premi. E' il contrario del
nostro cinema che, fin dai tempi del neorealismo,
è fatto di imprese produttive avventurose.
Qualche anno fa ho realizzato un programma televisivo
di venti puntate raccontando che bordello era il cinema
italiano. Ma, come diceva Jean Renoir, se il cinema
è un bordello i film che realizza sono belli,
una cinematografia burocratizzata genera solo film
mediocri.
Liv Ullman ha sottolineato l'importanza del
cinema nel creare un'identità culturale europea.
Attenzione però a parlare di identità
comune, perché il carattere europeo sta nella
diversità delle mille culture di cui è
fatta ogni singola nazione. Mentre in America il cinema
riflette un carattere centralizzato di grande industria,
in Europa esiste una molteplicità di iniziative,
di produzioni, di creatività diverse. La cultura
europea deve tener conto di questa ricchezza, e il
Programme Media ne è strumento fondamentale,
perché agevola la conoscenza reciproca delle
cinematografie e favorisce la circolazione delle tante
visioni europee.
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