Quello che segue è un estratto
dal saggio "Diario da Nassiriya - Fine di un'illusione"
di Marco Calamai, a cura di Marina Boscaino (l'Unità)
13 ottobre
Primo contatto con la realtà irachena. Partecipo
alla riunione ufficiale del Consiglio Provinciale
Provvisorio, di recentissima nomina. Ci sono proprio
tutti: il Comandante in capo della Divisione britannica,
il generale Stano, John Bourne (che ho incontrato
un momento il giorno prima), alcuni ufficiali inglesi
ed italiani, il giovane consigliere politico della
CPA, Tommy Bradley (americano, funzionario del Dipartimento
di Stato, proveniente dagli uffici Nato di Bruxelles)
e i circa trenta membri del nuovo organismo, la versione
provinciale del Governo Provvisorio Iracheno di Baghdad.
Bourne, che è stato l’artefice, nel
suo ruolo di governatore, del processo che ha portato
alla nomina del Consiglio (selezionando e cooptando
i singoli membri, a loro volta rappresentativi della
complessa realtà sociale e politica della provincia),
presiede la riunione parlando direttamente in arabo.
Accanto a lui siede il generale inglese con il suo
interprete e dietro (mi chiedo se sia casuale questa
posizione in seconda fila degli italiani) il generale
Stano. La riunione si tiene in un grande locale della
centrale elettrica (molto vicina alla base di White
Horse), circondata da carabinieri e ingenti mezzi
della Sassari.
I consiglieri, circa trenta, sono imam (i sacerdoti
islamici), sceicchi, rappresentanti di varie categorie
(sindacati, imprenditori, avvocati, giudici, professori)
e di alcuni Consigli Municipali. Ci sono anche quattro
donne, alcune vestite di nero come in genere avviene
nel mondo sciita, tutte comunque con il velo che copre
il capo. Gli imam hanno il turbante bianco, gli sceicchi
la solita kefiah, alcuni sono vestiti alla occidentale
(con giacca e cravatta), altri (la maggioranza) indossano
la classica tunica araba.
Fino all’ultimo momento si è temuta
una manifestazione di protesta di fronte alla centrale
con il rischio che l’evento potesse essere rinviato
ad un altro momento. Fatto sta che il tema dominante
degli interventi è sopratutto quello della
sicurezza. Introduce e coordina la riunione il governatore
e parla a lungo il generale inglese che, si capisce
subito, è il vero protagonista dell’evento.
“Sono tempi difficili, stiamo facendo progressi
ma c’è ancora molto da fare... Il vostro
ruolo è decisivo, soprattutto per la sicurezza
che noi, come coalizione, possiamo garantire solo
con la vostra collaborazione”, dice il generale
con tono calmo ma fermo.
Interviene una donna: “Si, qui manca la sicurezza
e c’è un grande caos. La gente soffre,
non è cambiato niente dai tempi di Saddam”.
Dice uno sceicco: “Questo Consiglio non è
veramente rappresentativo e non ha poteri”.
Sostiene un altro consigliere: “Dobbiamo organizzare
la giustizia sostenendo l’azione dei magistrati.
Ma dobbiamo anche rifornire i mercati di generi alimentari.
Rubano le macchine e poi le vendono per la strada,
davanti a tutti. Nessuno interviene. Non interviene
la polizia e nemmeno gli italiani”. Afferma
un altro sceicco: “Dobbiamo fare in modo che
anche i partiti religiosi partecipino al problema
della sicurezza”.
Prende ancora la parola il generale inglese: “Fin
dai tempi della guerra volevate dare vita ai consigli
cittadini e ad un Consiglio Provinciale. Credo che
abbiamo fatto un passo in avanti. D’altra parte
non possiamo affidarvi un potere superiore a quello
dei Consigli delle altre province”. E ancora:
“Ci dovete aiutare a capire perché vi
preoccupa tanto la sicurezza. Dobbiamo lavorare insieme,
noi e voi, per affrontare questo problema. Qui in
Iraq, ora, c’è finalmente la democrazia.
Quindi ci sono le condizioni migliori per collaborare.
Sono d’accordo con la vostra proposta di costituire
un Comitato per la sicurezza insieme alla CPA e alla
Brigata Sassari. Ora la cosa più urgente è
consolidare la polizia. Abbiamo già due mila
poliziotti nella provincia. La cosa importante è
che la polizia locale sia all’altezza del dopo
Saddam. E’ giusto intervenire contro i poliziotti
corrotti. Per questo è molto importante la
collaborazione con la Brigata Sassari”.
Sembra un dialogo tra sordi. Mi rendo conto, d’improvviso,
della tremenda distanza culturale che separa gli esponenti
del mondo sciita che ho di fronte dai rappresentanti
britannici della coalizione. Avverto che il tono deciso
e in fondo autoritario dell’inglese non riesce
ad intercettare i sentimenti e le preoccupazioni dei
consiglieri iracheni, che pure sono stati scelti uno
per uno con estrema cura dal governatore di Nassiriya.
Sento, in modo netto, il disagio dei militari italiani
che si sforzano in ogni modo di avvicinare la popolazione
e che poi, quando ci sono gli inglesi, restano in
seconda fila e non prendono la parola. E mi chiedo
quale sia il nostro ruolo in questa allucinante realtà,
se esista davvero uno spazio “italiano”
tra la strategia anglo-americana e le aspirazioni
profonde di questo popolo che siamo “venuti
a liberare e ad aiutare”.
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