246 - 07.02.04


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Il benevolo “bastone” di Bobbio

Leonardo Casini


Una delle fotografie pið ricorrenti sulla stampa ritrae Norberto Bobbio con il bastone alto in mano, anche se con lÍespressione bonaria di un mezzo sorriso; quasi la metafora del vecchio e saggio maestro, pronto a ñbacchettareî qualcuno come giustamente merita (in primis gli intellettuali e i politici, ma direi pið in generale gli italiani) con una specie di pastorale laico, quasi insegna di un indiscusso magistero politico-culturale.æ Bobbio nel nostro Paese si trov÷ di fronte a due elementi che pið di ogni altra cosa erano allÍopposto del suo carattere e del suo alto profilo morale: anzitutto un malcostume intellettuale e mentale, prima che politico, che usava spudoratamente lÍambiguitö cosciente e voluta, il trasformismo e la confusione mentale; e il fanatismo che, soprattutto in certe fasi del dopoguerra ha imperversato pressoch³ indisturbato (e purtroppo continua inæ forme nuove...).

Credo che la dura polemica di Bobbio verso il partito comunista e i suoi ideologi nascondesse in realtà un rammarico profondo, una ferita ideale, quasi il persistere del tradimento affettivo di un amore mai pienamente corrisposto: vedere il maggior partito della classe operaia, portatore di speranze di riscatto, di miglioramento delle condizioni di disagio, malessere e ingiustizia dei più deboli, avviluppato – come diceva – in un involucro dottrinale dogmatico, pesante, plumbeo e profondamente ambiguo, che per decenni ha avvolto in una nebbia fittissima il termine “democrazia”, dandole volta a volta il significato di “governo popolare” – quindi di un solo partito -, o quello, universalmente accettato, che i marxisti chiamavano “formale” (prima in senso spregiativo riferito a vuote istituzioni borghesi, poi sempre più rivalutato), di “pluralismo” di idee e di partiti, libere elezioni e così via.

Il risultato era che non si capiva mai veramente, almeno nei primi decenni repubblicani, verso quale tipo di forma istituzionale sarebbero stati propensi i comunisti una volta al governo, salvati peraltro storicamente dal fatto di non aver dovuto operare scelte del genere, non essendo poi mai andati al governo. Un’ambiguità perseguita ad arte per guadagnare più vasti consensi, come anche in politica estera (pro o contro l’URSS, amici con riserva, legati con distinguo, con un occhio a Mosca, generosa in sovvenzioni, e uno alla Nato...).

Scriveva Bobbio in Quale socialismo?: “Tutti sappiamo quanto sia oggi questione di vita o di morte per il futuro del socialismo il recupero dell'istanza democratica, nell'unico senso in cui si può ragionevolmente parlare di democrazia senza ingannarci a vicenda, cioè di un sistema in cui vigano e siano rispettate alcune regole che permettano al maggior numero di cittadini di partecipare direttamente o indirettamente alle deliberazioni che ... interessano la collettività. Siccome peraltro Lenin (e non solo Lenin del resto) ha affermato che la repubblica democratica è «il migliore involucro del capitalismo», molti continuano a ritenersi in obbligo di sostenere che la repubblica democratica non può essere l'involucro di uno stato socialista. Con un'affermazione di questo genere credono di fare un torto alla repubblica democratica, ma, ahimè! finiscono per rendere un ottimo servizio al capitalismo (e uno pessimo al socialismo). Di grazia, vien fatto di domandare: quale ritenete sia il migliore involucro del socialismo? La dittatura?” (corsivo nostro).

Ma ancor di più era polemico con quella cultura marxista che riteneva più ottusa e arretrata, chiusa in quella lettura dei “testi”, cioè degli scritti di Marx, che riteneva fosse sufficiente e ci liberasse "dalla fatica di pensare. Non parlo del marxismo da strapazzo che sta dilagando nelle nostre università... Parlo dei marxisti seri. Una delle mie massime preferite è che oggi non si possa essere buoni marxisti se si è soltanto marxisti. Ma il marxista ha una tendenza irresistibile a essere soltanto marxista. Tende a isolare Marx e il marxismo dal resto del mondo e a isolarsi. Commenta Marx con Marx o con alcuni scrittori autorizzati, Engels, Lenin; Lukàcs, Korsch, Rosa Luxemburg, Gramsci (faccio alcuni nomi a caso), cioè con scrittori che appartengono sicuramente alla tradizione marxista. Getta uno sguardo distratto o sfuggente o sospettoso o addirittura infastidito alla cultura non marxista chiamata in blocco «borghese», o pre-marxista (il «pre-» ha sempre un significato leggermente peggiorativo, come «pre-cristiano», «pre-industriale», «preclassico», e, naturalmente, «pre-istorico»). Quando vi getta uno sguardo «attento » è pieno di degnazione, non diverso da quello dei nostri idealisti che sapevano già sin dall'inizio che tutto quello che non rientrava nei loro schemi era sbagliato e se ne occupavano soltanto per esibire la loro superiorità.”

Per non dare un’idea distorta delle intenzioni di Bobbio, occorre tuttavia aggiungere che egli – uomo del dubbio laico, della ricerca instancabile, talvolta delle domande senza risposte - pensava lo stesso di tutte le forme di pensiero autoritario, anzitutto di quello della destra; ove peraltro l’autoritarismo non copriva neanche aspirazioni di giustizia e di libertà, ma solo l’imposizione di un potere reazionario. Per questo, ripeto, prediligeva il confronto con i marxisti e i comunisti, con cui c’era un terreno comune su cui discutere. Con la destra autoritaria non v’era alcun dialogo possibile; il che significa che il fatto di non essere un interlocutore e neanche tanto un bersaglio polemico per Bobbio, lungi dall’essere un privilegio, era invece un segno di estraneità. Insomma il burbero-benevolo Maestro sotto le sue sferzate nascondeva tutta la sua predilezione.

V’è da dire tuttavia che sarebbe errato prospettare un Bobbio così “sbilanciato” a sinistra da non riconoscere la legittimità di una destra democratica (ben diversa, ahimé, da quella oggi al potere!). Come commenta ed espone con chiarezza Carmine Donzelli nella prefazione ( anticipata dal Corriere in questi giorni) a Destra e sinistra, la fine della prima repubblica e la conseguente polarizzazione della vita politica italiana hanno consentito una diversa prospettiva, dalla quale era possibile anche recuperare un significato liberal-democratico della destra (prima, con la presenza del grande Centro democristiano, era relegata quasi esclusivamente all’estremismo neofascista): “...in un certo senso si potrebbe dire che, dopo avere per lungo tempo difeso il principio della libertà nel campo politico che ha sempre considerato il suo (quella sinistra alla quale anche qui non fa mistero di rivolgere le sue simpatie), con questo libro Bobbio si preoccupa di fondare e difendere la legittimità concettuale e politica di una destra liberale, disegnando un insieme di simmetrie totalitarie da cui guardarsi e un insieme di simmetrie democratiche che valgano anche come un auspicio.

Destra e sinistra ha rappresentato nella cultura civile dell'Italia di questi anni un richiamo forte e fermo a non smarrire il senso della moderazione e della tolleranza, insieme con quello della immedesimazione nella propria parte”. In un momento in cui sembravano confondersi i confini tra destra e sinistra, con la limpida chiarezza mentale e concettuale che ha sempre contraddistinto la sua lezione, in questo saggio magistrale di sobrietà intellettuale Bobbio trovava nella semplice coppia eguaglianza/disugualianza la vera alternativa tra destra e sinistra.

La destra nella sua essenza storica e teorica non è necessariamente violenza, reazione, razzismo, autoritarismo o illibertà, ma propensione alla disuguaglianza, laddove la sinistra è promozione dell’eguaglianza o almeno alla riduzione delle disuguaglianze. Parole e concetti di una estrema semplicità, ma anche di una grande profondità, tali da riscuotere, com’è avvenuto, un enorme successo. La ragione di tale successo sta in una importante novità interpretativa: si prescindeva dai problemi economici collettivismo/proprietà privata, pianificazione/mercato, oppure sui temi politici riforme/conservazione, e si faceva invece perno su sorgenti profonde di valori e sulla loro diversità alle radici del loro costituirsi per prendere poi forma negli atteggiamenti politici concreti.

Mi sia infine concesso, da credente, notare alcuni elementi profondamente umani e “religiosi” del grande Maestro. Bobbio nel suo testamento spirituale ha scritto di non ritenersi né ateo né agnostico, e di credere di non aver abbandonato la religione dei padri, pur essendosi allontanato dalla Chiesa e non aver voluto chiedere conforti religiosi all’ultimo. Mai mi è capitato di leggere in Bobbio espressioni e dichiarazioni di anticlericalismo volgare, che pur abbondava in certa sinistra. Pur distante, aveva un profondo rispetto per la fede, forse perché avvertiva in essa una risposta – anche se da lui non condivisa – a quel mistero profondo dell’esistenza e del mondo che lo tormentava e al quale non sapeva dare risposta. Anche questo tormento lo distingueva dai saccenti e dai superficiali, nella dignità con cui si è posto davanti al mistero.

 

 


 

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