Una
delle fotografie pið ricorrenti sulla stampa ritrae Norberto
Bobbio con il bastone alto in mano, anche se con lÍespressione
bonaria di un mezzo sorriso; quasi la metafora del vecchio
e saggio maestro, pronto a ñbacchettareî qualcuno come
giustamente merita (in
primis gli intellettuali e i politici, ma direi pið
in generale gli italiani) con una specie di pastorale
laico, quasi insegna di un indiscusso magistero politico-culturale.æ Bobbio nel nostro Paese si trov÷ di fronte
a due elementi che pið di ogni altra cosa erano allÍopposto
del suo carattere e del suo alto profilo morale: anzitutto
un malcostume intellettuale e mentale, prima che politico,
che usava spudoratamente lÍambiguitö cosciente e voluta, il trasformismo e la confusione mentale;
e il fanatismo
che, soprattutto in certe fasi del dopoguerra ha imperversato
pressoch³ indisturbato (e purtroppo continua inæ
forme nuove...).
Credo che la dura polemica di Bobbio verso il partito
comunista e i suoi ideologi nascondesse in realtà
un rammarico profondo, una ferita ideale, quasi il persistere
del tradimento affettivo di un amore mai pienamente corrisposto:
vedere il maggior partito della classe operaia, portatore
di speranze di riscatto, di miglioramento delle condizioni
di disagio, malessere e ingiustizia dei più deboli,
avviluppato – come diceva – in un involucro
dottrinale dogmatico, pesante, plumbeo e profondamente
ambiguo, che per decenni ha avvolto in una nebbia fittissima
il termine “democrazia”, dandole volta a volta
il significato di “governo popolare” –
quindi di un solo partito -, o quello, universalmente
accettato, che i marxisti chiamavano “formale”
(prima in senso spregiativo riferito a vuote istituzioni
borghesi, poi sempre più rivalutato), di “pluralismo”
di idee e di partiti, libere elezioni e così via.
Il risultato era che non si capiva mai veramente,
almeno nei primi decenni repubblicani, verso quale tipo
di forma istituzionale sarebbero stati propensi i comunisti
una volta al governo, salvati peraltro storicamente
dal fatto di non aver dovuto operare scelte del genere,
non essendo poi mai andati al governo. Un’ambiguità
perseguita ad arte per guadagnare più vasti consensi,
come anche in politica estera (pro o contro l’URSS,
amici con riserva, legati con distinguo, con un occhio
a Mosca, generosa in sovvenzioni, e uno alla Nato...).
Scriveva Bobbio in Quale socialismo?: “Tutti
sappiamo quanto sia oggi questione di vita o di morte
per il futuro del socialismo il recupero dell'istanza
democratica, nell'unico senso in cui si può
ragionevolmente parlare di democrazia senza ingannarci
a vicenda, cioè di un sistema in cui vigano
e siano rispettate alcune regole che permettano al maggior
numero di cittadini di partecipare direttamente o indirettamente
alle deliberazioni che ... interessano la collettività.
Siccome peraltro Lenin (e non solo Lenin del resto)
ha affermato che la repubblica democratica è
«il migliore involucro del capitalismo»,
molti continuano a ritenersi in obbligo di sostenere
che la repubblica democratica non può essere
l'involucro di uno stato socialista. Con un'affermazione
di questo genere credono di fare un torto alla repubblica
democratica, ma, ahimè! finiscono per rendere
un ottimo servizio al capitalismo (e uno pessimo al
socialismo). Di grazia, vien fatto di domandare: quale
ritenete sia il migliore involucro del socialismo? La
dittatura?” (corsivo nostro).
Ma ancor di più era polemico con quella cultura
marxista che riteneva più ottusa e arretrata,
chiusa in quella lettura dei “testi”, cioè
degli scritti di Marx, che riteneva fosse sufficiente
e ci liberasse "dalla fatica di pensare. Non parlo
del marxismo da strapazzo che sta dilagando nelle nostre
università... Parlo dei marxisti seri. Una delle
mie massime preferite è che oggi non si possa
essere buoni marxisti se si è soltanto marxisti.
Ma il marxista ha una tendenza irresistibile a essere
soltanto marxista. Tende a isolare Marx e il marxismo
dal resto del mondo e a isolarsi. Commenta Marx con
Marx o con alcuni scrittori autorizzati, Engels, Lenin;
Lukàcs, Korsch, Rosa Luxemburg, Gramsci (faccio
alcuni nomi a caso), cioè con scrittori che appartengono
sicuramente alla tradizione marxista. Getta uno sguardo
distratto o sfuggente o sospettoso o addirittura infastidito
alla cultura non marxista chiamata in blocco «borghese»,
o pre-marxista (il «pre-» ha sempre un significato
leggermente peggiorativo, come «pre-cristiano»,
«pre-industriale», «preclassico»,
e, naturalmente, «pre-istorico»). Quando
vi getta uno sguardo «attento » è
pieno di degnazione, non diverso da quello dei nostri
idealisti che sapevano già sin dall'inizio che
tutto quello che non rientrava nei loro schemi era sbagliato
e se ne occupavano soltanto per esibire la loro superiorità.”
Per non dare un’idea distorta delle intenzioni
di Bobbio, occorre tuttavia aggiungere che egli –
uomo del dubbio laico, della ricerca instancabile, talvolta
delle domande senza risposte - pensava lo stesso di
tutte le forme di pensiero autoritario, anzitutto di
quello della destra; ove peraltro l’autoritarismo
non copriva neanche aspirazioni di giustizia e di libertà,
ma solo l’imposizione di un potere reazionario.
Per questo, ripeto, prediligeva il confronto con i marxisti
e i comunisti, con cui c’era un terreno comune
su cui discutere. Con la destra autoritaria non v’era
alcun dialogo possibile; il che significa che il fatto
di non essere un interlocutore e neanche tanto un bersaglio
polemico per Bobbio, lungi dall’essere un privilegio,
era invece un segno di estraneità. Insomma il
burbero-benevolo Maestro sotto le sue sferzate nascondeva
tutta la sua predilezione.
V’è da dire tuttavia che sarebbe errato
prospettare un Bobbio così “sbilanciato”
a sinistra da non riconoscere la legittimità
di una destra democratica (ben diversa, ahimé,
da quella oggi al potere!). Come commenta ed espone
con chiarezza Carmine Donzelli nella prefazione ( anticipata
dal Corriere in questi giorni) a Destra
e sinistra, la fine della prima repubblica e la
conseguente polarizzazione della vita politica italiana
hanno consentito una diversa prospettiva, dalla quale
era possibile anche recuperare un significato liberal-democratico
della destra (prima, con la presenza del grande Centro
democristiano, era relegata quasi esclusivamente all’estremismo
neofascista): “...in un certo senso si potrebbe
dire che, dopo avere per lungo tempo difeso il principio
della libertà nel campo politico che ha sempre
considerato il suo (quella sinistra alla quale anche
qui non fa mistero di rivolgere le sue simpatie), con
questo libro Bobbio si preoccupa di fondare e difendere
la legittimità concettuale e politica di una
destra liberale, disegnando un insieme di simmetrie
totalitarie da cui guardarsi e un insieme di simmetrie
democratiche che valgano anche come un auspicio.
Destra e sinistra ha rappresentato nella cultura
civile dell'Italia di questi anni un richiamo forte
e fermo a non smarrire il senso della moderazione e
della tolleranza, insieme con quello della immedesimazione
nella propria parte”. In un momento in cui sembravano
confondersi i confini tra destra e sinistra, con la
limpida chiarezza mentale e concettuale che ha sempre
contraddistinto la sua lezione, in questo saggio magistrale
di sobrietà intellettuale Bobbio trovava nella
semplice coppia eguaglianza/disugualianza la vera alternativa
tra destra e sinistra.
La destra nella sua essenza storica e teorica non è
necessariamente violenza, reazione, razzismo, autoritarismo
o illibertà, ma propensione alla disuguaglianza,
laddove la sinistra è promozione dell’eguaglianza
o almeno alla riduzione delle disuguaglianze. Parole
e concetti di una estrema semplicità, ma anche
di una grande profondità, tali da riscuotere,
com’è avvenuto, un enorme successo. La
ragione di tale successo sta in una importante novità
interpretativa: si prescindeva dai problemi economici
collettivismo/proprietà privata, pianificazione/mercato,
oppure sui temi politici riforme/conservazione, e si
faceva invece perno su sorgenti profonde di valori e
sulla loro diversità alle radici del loro costituirsi
per prendere poi forma negli atteggiamenti politici
concreti.
Mi sia infine concesso, da credente, notare alcuni
elementi profondamente umani e “religiosi”
del grande Maestro. Bobbio nel suo testamento spirituale
ha scritto di non ritenersi né ateo né
agnostico, e di credere di non aver abbandonato la religione
dei padri, pur essendosi allontanato dalla Chiesa e
non aver voluto chiedere conforti religiosi all’ultimo.
Mai mi è capitato di leggere in Bobbio espressioni
e dichiarazioni di anticlericalismo volgare, che pur
abbondava in certa sinistra. Pur distante, aveva un
profondo rispetto per la fede, forse perché avvertiva
in essa una risposta – anche se da lui non condivisa
– a quel mistero profondo dell’esistenza
e del mondo che lo tormentava e al quale non sapeva
dare risposta. Anche questo tormento lo distingueva
dai saccenti e dai superficiali, nella dignità
con cui si è posto davanti al mistero.
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