245 - 17.01.04


Cerca nel sito
Cerca WWW
"Bisogna sempre mettersi in gioco"
Jørgen Leth con Paola Casella


Immaginate di essere un regista sperimentale e di aver girato, a fine anni Sessanta, un film che ha fatto la storia del cinema - almeno quella del cinema danese. Immaginate che Lars Von Trier, il regista di Le onde del destino e di Dogville, si sia innamorato del vostro piccolo film, l'abbia visto più di venti volte e dichiari alla stampa di aver voluto fare cinema anche per questo.

Immaginate che lo stesso Von Trier, molto più famoso di voi, vi proponga di reinventare quel piccolo film vent'anni dopo, anzi, di reinventarlo cinque volte di seguito. E che vi ponga delle condizioni, o meglio: vi metta i bastoni fra le ruote, inventandosi ostacoli sempre più alti da superare.

Voi accettereste la sfida? Jørgen Leth, veterano del cinema documentario danese nonché regista del mitico L'uomo perfetto (1967), ha detto sì, e il risultato è il docu-drama Le cinque variazioni, cofirmato da Leth e Von Trier. Una parabola sulla necessità, per un artista, di rinnovarsi continuamente, di mettersi ripetutamente in gioco - come il calciatore danese Michael Laudrup, preso da Von Trier a modello del giocatore in grado di affrontare ogni variazione. Le cinque variazioni è anche l'analisi psciologica di due personaggi speculari e contrari. E, alla fine, il mea culpa di Lars Von Trier vale da solo il biglietto d'ingresso del film - soprattutto per quanti odiano il regista danese.

Signor Leth, si rendeva conto che, accettando di girare e interpretare "Le cinque variazioni", sarebbe diventato la star di un film sadomaso?

(Ride) Sì, ne ero certo, fin dal primo momento. Conosco Lars Von Trier da anni, e intuivo che mi sarei cacciato nei guai raccogliendo la sua sfida. Ma non avrei mai immaginato il livello di difficoltà degli ostacoli che Lars si è inventato per me. Non è cattivo, veramente, in fondo è una persona dolce - per questo siamo amici - ma ha voluto spingermi al limite, per costringermi a trovare nuovi modi di esprimermi. In fondo il suo è stato un atto d'amore.

In che modo Von Trier le ha descritto la sfida?

Mi ha detto: "Jørgen, voglio che tu commetta un vero e proprio suicidio artistico". E ha cominciato a buttarmi addosso le sue variazioni. Solo a posteriori ho capito che mi stava facendo dei regali, per portarmi sulla strada della rinascita e costringermi a trovare un nuovo modo di fare cinema. Chiunque svolga un lavoro creativo deve conservare una certa freschezza. Oltre che un documentarista, sono anche un poeta, e a volte traggo nuova ispirazione dalle poesie che io stesso ho scritto. Per questo non mi è sembrato troppo strana l'idea di Lars di reinventare L'uomo perfetto. Tantopiù che, come regista, vengo definito "sperimentale": il che dovrebbe significare che sono sempre alla ricerca di modi nuovi di vedere e raccontare.

La sua rinascita artistica, in "Le cinque variazioni", passa anche per la sofferenza.

Be', il tema della redenzione attraverso la punizione è caro a Von Trier. Ma alla fine Lars sostiene che la redenzione è stata la sua. Ciò che ha caratterizzato la nostra sfida è stata l'onestà da parte di entrambi. E' uno strip tease, ma a spogliarmi non sono stato solo io, anche lui si è aperto completamente. Era il suo modo di esprimere un rispetto sincero per il mio lavoro.

Qual è stato l'ostacolo più grande fra quelli proposti da Von Trier?

Lars mi ha costretto a girare una parte di uno dei film come cartone animato - dandomi solo un mese di tempo per farlo. Non mi ero mai occupato di animazione. Di più: odio i cartoni, e non me ne fregava niente di imparare a girarli. Inizialmente ho cercato un artista danese che potesse disegnare le sequenze necessarie, ma tutti mi hanno risposto: "Impossibile, per un lavoro così ci vuole almeno un anno."

Alla fine abbiamo scovato Bob Sabiston (già animatore di Waking Life di Richard Linklater, ndr), che vive ad Austin in semireclusione, e ci ha detto che non solo avrebbe disegnato le scene in quattro settimane, ma che l'avrebbe fatto per quattro soldi. Quando gli ho chiesto perché, lui mi ha risposto: "Perché adoro i film di Lars Von Trier".

Secondo lei, qual è la morale de "Le cinque variazioni"?

Non mi piace parlare di morale. Preferisco descrivere il documentario come la storia di un padre e un figlio, di un maestro e di un allievo, i cui ruoli, ora della fine, si ribaltano.

E' questa la natura del rapporto fra lei e Von Trier?

Anagraficamente, potremmo essere davvero padre e figlio (Leth è nato nel '37, Von Trier nel '56, ndr), ma il nostro rapporto esclude pulsioni omicide. (Ride). Conosco Lars da molto tempo, sono stato un suo docente, so che il mio lavoro gli piace. Ma è attraverso Le cinque variazioni che siamo diventati amici. Io vivo ad Haiti e lui mi chiama spesso, mi rincorre via fax, mi tempesta di e-mail. Se non mi sento minacciato, è solo perché ho capito che la sua invadenza è solamente affettuosa.

Crede che esista una comunità cinematografica danese, e più in generale europea?

Sì, ci credo molto. Negli anni Settanta ho fatto parte di un pool creativo che comprendeva molti artisti europei: non solo gente di cinema, ma anche pittori, scrittori, musicisti. Si mescolavano le esperienze, gli stili, i temi. Era un periodo di grande creatività, e l'interesse di tutti andava al di là di quello economico. Prevaleva il processo creativo, e questo era un atteggiamento molto salutare.

Poi c'è stata una fase in cui ognuno faceva per sé, rimanendo isolato nel proprio lavoro, ed era diventato difficile entrare in contatto con gli artisti che si ammiravano. Adesso le cose stanno cambiando. Per questo ho accettato volentieri l'invito di Lars, perché mi ha consentito di ritrovare quello spirito di colaborazione, alla ricerca di cose nuove. Ed è stato fondamentale dover superare degli ostacoli: essere esigenti è il segreto della creazione, non bisogna rendersi le cose troppo facili. E' anche il segreto dell'amore, quello di chiedere sempre qualcosa a se stessi e all'altro. L'amore non è facile, bisogna prenderlo sul serio, e continuare a mettersi in gioco. Mi creda, lo dico per esperienza.

Le piacerebbe girare un film insieme a Lars Von Trier, non più da cavia ma da co-regista?

A me sì, ma non so se lui sarebbe d'accordo. Di sicuro gireremo insieme un altro documentario, basato sulla messa in scena, da parte di Lars, dell'Anello dei Nibelunghi di Wagner: un evento, nel mondo musicale.

E se questa volta fosse lei, a infierire su Von Trier?

Nah, nella nostra coppia io sono il maso, non il sado.

Qualche link:

Von Trier e Leth, piu' che un film un duello
In un'intervista al Guardian Leth racconta il film Le cinque variazioni mettendo a confronto le sue idee con quelle del suo ex allievo Von Trier. (inglese).

Che aguzzino Von Trier...
L'opinione di Roberto Nepoti, da Repubblica.

La scheda del film , da Internet Movie Database.

 

 



 

Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti da fare? Scriveteci il vostro punto di vista a
redazione@caffeeuropa.it