Immaginate di essere un regista sperimentale e di
aver girato, a fine anni Sessanta, un film che ha
fatto la storia del cinema - almeno quella del cinema
danese. Immaginate che Lars Von Trier, il regista
di Le onde del destino e di Dogville,
si sia innamorato del vostro piccolo film, l'abbia
visto più di venti volte e dichiari alla stampa
di aver voluto fare cinema anche per questo.
Immaginate che lo stesso Von Trier, molto più
famoso di voi, vi proponga di reinventare quel piccolo
film vent'anni dopo, anzi, di reinventarlo cinque
volte di seguito. E che vi ponga delle condizioni,
o meglio: vi metta i bastoni fra le ruote, inventandosi
ostacoli sempre più alti da superare.
Voi accettereste la sfida? Jørgen Leth, veterano
del cinema documentario danese nonché regista
del mitico L'uomo perfetto (1967), ha detto
sì, e il risultato è il docu-drama Le
cinque variazioni, cofirmato da Leth e Von Trier.
Una parabola sulla necessità, per un artista,
di rinnovarsi continuamente, di mettersi ripetutamente
in gioco - come il calciatore danese Michael Laudrup,
preso da Von Trier a modello del giocatore in grado
di affrontare ogni variazione. Le cinque variazioni
è anche l'analisi psciologica di due personaggi
speculari e contrari. E, alla fine, il mea culpa di
Lars Von Trier vale da solo il biglietto d'ingresso
del film - soprattutto per quanti odiano il regista
danese.
Signor Leth, si rendeva conto che, accettando
di girare e interpretare "Le cinque variazioni",
sarebbe diventato la star di un film sadomaso?
(Ride) Sì, ne ero certo, fin dal primo momento.
Conosco Lars Von Trier da anni, e intuivo che mi sarei
cacciato nei guai raccogliendo la sua sfida. Ma non
avrei mai immaginato il livello di difficoltà
degli ostacoli che Lars si è inventato per
me. Non è cattivo, veramente, in fondo è
una persona dolce - per questo siamo amici - ma ha
voluto spingermi al limite, per costringermi a trovare
nuovi modi di esprimermi. In fondo il suo è
stato un atto d'amore.
In che modo Von Trier le ha descritto la sfida?
Mi ha detto: "Jørgen, voglio che tu commetta
un vero e proprio suicidio artistico". E ha cominciato
a buttarmi addosso le sue variazioni. Solo a posteriori
ho capito che mi stava facendo dei regali, per portarmi
sulla strada della rinascita e costringermi a trovare
un nuovo modo di fare cinema. Chiunque svolga un lavoro
creativo deve conservare una certa freschezza. Oltre
che un documentarista, sono anche un poeta, e a volte
traggo nuova ispirazione dalle poesie che io stesso
ho scritto. Per questo non mi è sembrato troppo
strana l'idea di Lars di reinventare L'uomo perfetto.
Tantopiù che, come regista, vengo definito
"sperimentale": il che dovrebbe significare
che sono sempre alla ricerca di modi nuovi di vedere
e raccontare.
La sua rinascita artistica, in "Le cinque
variazioni", passa anche per la sofferenza.
Be', il tema della redenzione attraverso la punizione
è caro a Von Trier. Ma alla fine Lars sostiene
che la redenzione è stata la sua. Ciò
che ha caratterizzato la nostra sfida è stata
l'onestà da parte di entrambi. E' uno strip
tease, ma a spogliarmi non sono stato solo io, anche
lui si è aperto completamente. Era il suo modo
di esprimere un rispetto sincero per il mio lavoro.
Qual è stato l'ostacolo più
grande fra quelli proposti da Von Trier?
Lars mi ha costretto a girare una parte di uno dei
film come cartone animato - dandomi solo un mese di
tempo per farlo. Non mi ero mai occupato di animazione.
Di più: odio i cartoni, e non me ne fregava
niente di imparare a girarli. Inizialmente ho cercato
un artista danese che potesse disegnare le sequenze
necessarie, ma tutti mi hanno risposto: "Impossibile,
per un lavoro così ci vuole almeno un anno."
Alla fine abbiamo scovato Bob Sabiston (già
animatore di Waking Life di Richard Linklater,
ndr), che vive ad Austin in semireclusione, e ci ha
detto che non solo avrebbe disegnato le scene in quattro
settimane, ma che l'avrebbe fatto per quattro soldi.
Quando gli ho chiesto perché, lui mi ha risposto:
"Perché adoro i film di Lars Von Trier".
Secondo lei, qual è la morale de "Le
cinque variazioni"?
Non mi piace parlare di morale. Preferisco descrivere
il documentario come la storia di un padre e un figlio,
di un maestro e di un allievo, i cui ruoli, ora della
fine, si ribaltano.
E' questa la natura del rapporto fra lei
e Von Trier?
Anagraficamente, potremmo essere davvero padre e
figlio (Leth è nato nel '37, Von Trier nel
'56, ndr), ma il nostro rapporto esclude pulsioni
omicide. (Ride). Conosco Lars da molto tempo, sono
stato un suo docente, so che il mio lavoro gli piace.
Ma è attraverso Le cinque variazioni
che siamo diventati amici. Io vivo ad Haiti e lui
mi chiama spesso, mi rincorre via fax, mi tempesta
di e-mail. Se non mi sento minacciato, è solo
perché ho capito che la sua invadenza è
solamente affettuosa.
Crede che esista una comunità cinematografica
danese, e più in generale europea?
Sì, ci credo molto. Negli anni Settanta ho
fatto parte di un pool creativo che comprendeva molti
artisti europei: non solo gente di cinema, ma anche
pittori, scrittori, musicisti. Si mescolavano le esperienze,
gli stili, i temi. Era un periodo di grande creatività,
e l'interesse di tutti andava al di là di quello
economico. Prevaleva il processo creativo, e questo
era un atteggiamento molto salutare.
Poi c'è stata una fase in cui ognuno faceva
per sé, rimanendo isolato nel proprio lavoro,
ed era diventato difficile entrare in contatto con
gli artisti che si ammiravano. Adesso le cose stanno
cambiando. Per questo ho accettato volentieri l'invito
di Lars, perché mi ha consentito di ritrovare
quello spirito di colaborazione, alla ricerca di cose
nuove. Ed è stato fondamentale dover superare
degli ostacoli: essere esigenti è il segreto
della creazione, non bisogna rendersi le cose troppo
facili. E' anche il segreto dell'amore, quello di
chiedere sempre qualcosa a se stessi e all'altro.
L'amore non è facile, bisogna prenderlo sul
serio, e continuare a mettersi in gioco. Mi creda,
lo dico per esperienza.
Le piacerebbe girare un film insieme a Lars
Von Trier, non più da cavia ma da co-regista?
A me sì, ma non so se lui sarebbe d'accordo.
Di sicuro gireremo insieme un altro documentario,
basato sulla messa in scena, da parte di Lars, dell'Anello
dei Nibelunghi di Wagner: un evento, nel mondo
musicale.
E se questa volta fosse lei, a infierire
su Von Trier?
Nah, nella nostra coppia io sono il maso, non il
sado.
Qualche link:
Von Trier e Leth, piu' che un film un duello
In un'intervista
al Guardian Leth racconta il film Le cinque
variazioni mettendo a confronto le sue idee
con quelle del suo ex allievo Von Trier. (inglese).
Che aguzzino Von Trier...
L'opinione di Roberto
Nepoti, da Repubblica.
La
scheda del film , da Internet Movie Database.
Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti
da fare? Scriveteci il vostro punto di vista a
redazione@caffeeuropa.it