245 - 17.01.04


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La stagione dei veleni sulla lettera a Mussolini
Giancarlo Bosetti


Questo articolo è apparso su la Repubblica di sabato 10 gennaio 2004

E' accaduto forse una volta sola che Norberto Bobbio approvasse apertamente il mio operato in faccende che lo riguardavano. E fu quella volta in cui convinsi un suo difensore a deporre la clava con la quale stava per dare l'assalto ai "nemici" a proposito della "lettera al Duce". Apprezzamenti espliciti da parte sua erano rari; più chiare, insistite le critiche. In generale nelle nostre comunicazioni, simili a quelle tra professore burbero e studente non abbastanza ubbidiente, un moderato rimbrotto equivaleva a una mezza lode, e un cenno di assenso equivaleva a un encomio senza ombre. Ma quella volta fu lode piena.

Ero riuscito a convincere qualcuno - che ancora un po' me ne vuole - ad abbassare i toni, a non spargere altri veleni, per quanto meritati. E l'avevo fatto per amicizia, per lealtà istintiva, non perché ne fossi razionalmente convinto. Volevo dare sollievo a Bobbio in un momento di tensione. Erano i giorni della pubblicazione della famosa "supplica", quel documento in cui chiedeva a Mussolini che gli venisse "tolta" la ammonizione per i fatti del 1935 (era stato arrestato a 25 anni insieme ad altri antifascisti tra i quali Giulio Einaudi e Vittorio Foa), in modo da poter fare il professore universitario. Tutte le volte che se ne parlava Bobbio non voleva che ci si fermasse sul tema, pure interessante, delle ragioni e dell'identità di chi gli aveva mosso l'attacco, pensava che fosse più importante mantenere bene illuminate le responsabilità del regime fascista e la differenza che corre tra un despota e le sue vittime, tra chi impone la sua prepotenza e chi subisce la umiliazione. Ed era molto grato alla sublime lucidità con cui l' amico Vittorio spiegava la diversa reazione di un "professionista dell'antifascismo" come egli definì se stesso, "costretto" dal ruolo a fare l'eroe fino in fondo (otto anni di carcere), e di un aspirante professore di diritto, figlio di buona - e fascista - famiglia che però amava frequentare soltanto giovanotti avversi al regime.

Una moderata reazione ai veleni, da parte di Bobbio, non era soltanto una tattica. Certo che ne aveva di passione politica, ma la sua "diplomazia del dialogo" anche verso i più feroci avversari (non resisteva alla tentazione professionale dividere in categorie anche i nemici: "occasionali" e "perpetui", e una volta tentammo di farne una lista completa) era però il risultato di una caratteristica costante della sua mentalità e del suo stile, diversi dalla mentalità e dallo stile dei politici: si dialoga perché dialogando si può capire qualcosa che nel conflitto tra nemici non si capisce più. Il contrasto esasperato distorce la visione, semplifica, riduce la realtà a due poli paranoici. Si capisce che in politica si deve combattere, ma chi si dedica al sapere contrae un debito con quella cosa - "verità" è parola troppo forte - che negli ultimi tempi Bobbio chiamava "moltiplicazione degli enti", a indicare la ricca varietà di situazioni che si presentano tra essere amici ed essere nemici.

Non "zona grigia", diceva, concetto troppo povero e indistinto anche per descrivere quel che c'era in mezzo tra fascismo e antifascismo, ma un numero vasto di "enti" con una loro diversificata consistenza. Fu questo uno dei punti sui quali ebbe luogo lo spinoso chiarimento tra Bobbio e Renzo De Felice su Reset, la rivista che con lo stesso Bobbio, Foa e altri ventotto volonterosi mettemmo su nel dicembre del '93. Quella specie di pacifico duello tra due "grandi vecchi", che organizzammo insieme a Pasquale Chessa, per una intera giornata nell'appartamento di via Sacchi non fu conclusivo, né poteva esserlo. Bobbio e De Felice si trovarono d'accordo nel comune desiderio di una Italia "normale" per l'oggi, ma rimanevano divisi e in tensione quando si parlava di "consenso" al regime fascista. Come si può confondere - Bobbio criticava il biografo di Mussolini - il consenso in un regime democratico con quello che si deve dare per forza sotto un tiranno? Dalle accuse di "condiscendenza" verso il fascismo Bobbio si difendeva senza complessi e criticava duramente "chi non distingue tra la diversa gravità delle colpe dei persecutori rispetto a quelle dei perseguitati". Un vizio che imputava ancora alla discussione, nel 2000, intorno al libro di Angelo D' Orsi (La cultura a Torino tra le due guerre).

Quanto alla condiscendenza verso il comunismo Bobbio accettava con la stessa calma di ragionarci. Ed èanche qui curioso che non spedisse tutti a rileggersi le sue dure polemiche con i marxisti ortodossi, da Galvano Della Volpe a Luciano Canfora. La violenza, spesso occultata, del rancore verso Bobbio che veniva da quella parte è largamente sottovalutata nella polemica corrente, ma arrivava allo stato puro in molte lettere anonime che si divertiva a leggermi. Eccole le due presunte "condiscendenze" della sua vita: quella verso il fascismo e quella verso il comunismo. Alle accuse dei nemici Bobbio reagiva con una serenità ragionante che indispettiva molti suoi amici, ma credo che sulla distanza la sua reazione apparirà più convincente dell' azione che l'ha provocata. Della faziosità che si è scatenata contro di lui come contro Alessandro Galante Garrone e tutto l' azionismo e che è giunta fino alle volgari recenti insolenze di Baget Bozzo o al rifiuto opposto dal centro-destra per un'onorificenza del Comune di Torino, sarà sempre chiara la motivazione: armamentario per battaglie politiche di una destra bisognosa di delegittimare la tradizione costituzionale e di legittimare se stessa.

Tra le analisi che Bobbio dedicava ai suoi nemici troveremo invece ancora a lungo lumi sul nostro tempo, ancora così inquinato da reduci e da post-qualcosa. Ci troveremo molta "destra revisionista" ma anche molta "sinistra revisionata", in una curiosa miscela che si è talora unita nell'impiego degli archivi fascisti per assestare un colpo a una figura della Repubblica, che ci manca già e che ci mancherà ancora di più nei prossimi anni. Solo che si comincino a scorrere le sue pagine, si vedrà quanto poco abbia concesso alle debolezze dell'una e dell'altra parte. Che il senso di debito contratto verso di lui, forse per insufficienza di difesa, spinga tanti italiani a conoscerlo meglio.

 



 

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