245 - 17.01.04


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Il gusto del ragionare
Dino Cofrancesco


Questo articolo ² apparso su Il Secolo XIX di sabato 10 gennaio 2004

Scompare, con Norberto Bobbio, il pið prestigioso "professionista del lavoro intellettuale" dei nostri anni. Erede di una grande tradizione universitaria, che annoverava nomi come Gioele Solari e Alessandro Levi, seppe trasmettere agli allievi - diretti e indiretti - la passione della conoscenza, il rigore dell'analisi, il gusto della lettura dei classici del pensiero politico e giuridico. Ancora oggi le sue dispense - sui grandi temi della filosofia del diritto o sui filosofi che hanno segnato la modernitö, da Hobbes a Locke, da Kant a Hegel, da Pareto a Gramsci - costituiscono, anche sul piano didattico, testi esemplari, modelli insuperati di lezioni accademiche 'di una volta'. Quelle dispense erano, spesso, i materiali grezzi sui quali venivano confezionati libri destinati a rimanere a lungo passaggi obbligati anche per ricerche ispirate a metodologie e a concezioni del mondo lontane dalla sua. Va detto che pochi docenti ebbero, come lui, il senso del rispetto dovuto agli 'altri' e, soprattutto, dell'onore delle armi che andava reso agli avversari quando avevano ben meritato della repubblica delle lettere. Commissario, quasi mezzo secolo fa, in un concorso universitario, nonostante le pressioni degli amici, non diede il suo voto all'azionista Aldo Garosci (che se ne sarebbe poi lamentato in una lettera amara e sprezzante con Altiero Spinelli) mentre, in seguito, fu prodigo di aiuti al cattolico liberalconservatore Sergio Cotta, autore di un fondamentale saggio su Montesquieu.

Certo l'immagine pubblica di Norberto Bobbio non ² associata al suo straordinario contributo accademico ma alla figura di 'intellettuale militante' custode dei valori alti di un intransigente antifascismo 'gobettiano' - al quale, peraltro, a differenza di uomini come Vittorio Foa o Leo Valiani non diede alcun significativo contributo personale - e promotore di incontri sempre pið ravvicinati tra le varie componenti di una sinistra alla quale si sentÒ sempre legato, col cuore prima ancora che con la mente.

E' questo secondo Bobbio che si ² ritrovato al centro di polemiche spesso astiose e incontinenti, quasi un bersaglio mobile su cui misurare la presa di distanza da una sinistra passatista e rimasta ancorata a vecchie mitologie. E va riconosciuto - sol che si pensi al Dialogo intorno alla repubblica, un pamphlet da dimenticare - che spesso il senatore torinese forniva ai suoi avversari motivi non del tutto pretestuosi di critica. Specie in tarda etö, gli riusciva difficile capire che i suoi giudizi etico-politici - peraltro legittimi e spesso condivisibili - non erano dettati dall'Imperativo categorico ma, come quelli dei suoi avversari, risentivano anch'essi di pregiudizi ideologici e di spirito di militanza. Era questo moralismo azionista a suscitare lo sdegno di chi stava dall'altra parte, uno sdegno che spesso andava oltre il segno e che portava, ad esempio, un qualsiasi Antonio Socci a definire il filosofo un "Bobbio Natale incarognito e moraleggiante".

E' ancora sotto gli occhi la polemica suscitata dalla pubblicazione di una sua vecchia lettera al duce in cui chiedeva l'intervento del capo del governo a difesa del suo 'posto di lavoro'. La denuncia delle debolezze dell'uomo fece dimenticare la cosa pið rilevante: e cio² che Bobbio - a differenza di tanti altri intellettuali antifascisti - durante il regime non scrisse niente, proprio niente, che non avrebbe potuto ripubblicare, senza vergognarsi, nel dopoguerra.

Non ² questa la sede per ricostruire i motivi che portarono un grande professore - non un grande pensatore giacch³, implacabile ordinatore di concetti, Bobbio non ebbe il talento dell'originalitö e della creativitö - a diventare il discusso maÓtre-ö-penser di un ben definito schieramento politico e ideologico.

Forse vi contribuÒ una sostanziale estraneitö all'universo dell'economia liberale e del mercato unita a una fiducia (alquanto giacobina) nella capacitö del momento politico di realizzare la giustizia sociale e di ridistribuire equamente i prodotti del lavoro collettivo. Tale estraneitö non lo rese cieco dinanzi agli orrori del totalitarismo comunista ma gli impedÒ di cogliere il nesso sostanziale - ben presente a Friedrich Hayek - tra abolizione degli istituti borghesi (proprietö e mercato) e la "via verso la servitð".

E nondimeno, anche negli scritti pið "di parte", riemergevano puntualmente le virtð stilistiche e le qualitö intellettuali dell'altro Bobbio. A differenza di Raymond Aron - di cui fu una sorta di pendant italiano - il vecchio maestro di Via Sacchi non ² stato mai controcorrente, non ha sfidato per vent'anni le egemonie culturali del suo paese, n³ s'² mostrato indifferente all'impopolaritö: ci ha insegnato, per÷, qualcosa di cui gli saremo perennemente grati, il gusto del ragionare, dello 'spaccare un capello in quattro', della dissezione degli argomenti pro e contra. In un'Italia, sempre ben provvista di retori e di falsi profeti, non ² certo poco!

 



 

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