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Quel "composto chimico" necessario, ma cosÒ instabile
Perry Anderson


All'interno del gruppo di pensatori che hanno tentato di conciliare il liberalismo col socialismo, Bobbio differisce dai suoi principali predecessori in vari punti importanti. Uno di essi ² semplicemente il suo campo di ricerca specifico. Bobbio ² un filosofo di vasta formazione, che si ² misurato con la fenomenologia di Husserl e di Scheler prima della guerra, con l'esistenzialismo di Heidegger e Jaspers durante la guerra e con il positivismo di Carnap e Ayer dopo la guerra. Le sue personali preferenze epistemologiche sono state sempre sperimentali e scientifiche andando chiaramente contro quell'inclinazione che egli qualifica come "ideologia italiana", congenitamente speculativa e di orientamento idealistico.

In questo senso, egli ricorda Mill, Russell o Dewey. Diversamente da loro, tuttavia, Bobbio non ² un filosofo di grande statura per originalitö; ancor meno ² un economista, come lo furono invece Mill o Hobson. Ma se egli non ha prodotto nessuno studio significativo in logica o epistemologia, etica o economia, la sua dimestichezza con le principali tradizioni del pensiero politico occidentale - da Platone a Aristotele sino a Tommaso d'Aquino o Althusius, da Pufendorf e Grozio a Spinoza e Locke, da Rousseau o Madison a Burke Hegel, da Constant e De Tocqueville a Weber e Kelsen - ² per÷ pið grande, non solo dal punto di vista della conoscenza storica, ma per la penetrazione e la profonditö.

Il liberalismo in Europa e in Italia

Un'altra differenza rispetto ai suoi predecessori principali ² costituita dalle coordinate politiche di Bobbio, in certa misura pið complesse rispetto alle loro. Infatti Bobbio si situa all'incrocio fra tre grandi correnti di pensiero reciprocamente in conflitto. Per la sua formazione di fondo e per convinzione Bobbio ² un liberale. Ma il liberalismo italiano ² sempre stato un fenomeno a parte, all'interno del quadro europeo. In Inghilterra, la madrepatria del liberalismo ottocentesco, esso ebbe il suo massimo compimento nello Stato minimo e nel liberismo dell'epoca di Gladstone; ma successivamente la sua vocazione storica fu, per cosÒ dire, consumata e gli rimaneva poco da fare se non superare questa fase per poi entrare nel suo breve epilogo sociale sotto la direziono di Asquith e Lloyd George, e per scomparire, infine, come forza politica. In Francia, d'altra parte, il liberalismo come dottrina fu un'espressione della Restaurazione, che teorizzava le virtð di una monarchia censitaria.

Egemone nel regime orl³anista, mimetizzato durante il Secondo Impero, era, quindi, troppo compromesso per poter sopravvivere all'avvento della Terza Repubblica basata sul suffragio maschile puro. In Germania, il liberalismo fu tristemente famoso dopo la sua capitolazione di fronte al conservatorismo prussiano di Bismarck; esso abbandon÷ i principi parlamentari per aderire al successo militare contro l'Austria nel 1866; e and÷ incontro, dopo la sua abdicazione politica, al disastro economico quando il liberismo fu successivamente scartato dal Reich guglielmino. In Italia, tuttavia, a differenza di quanto accadeva in Germania, l'unificazione nazionale fu conseguita non a spese del liberalismo, ma anzi proprio sotto le sue insegne.

Inoltre il liberalismo che emerse vittorioso dal Risorgimento ebbe una doppia legittimazione: fu sia l'ideologia costituzionale dei moderati piemontesi che fissarono la struttura della loro egemonia sotto la monarchia, sia la definizione secolare di uno Stato italiano creato in contrasto con la volontö della Chiesa romana. Questo successo singolare fu tale da rendere per lungo tempo superfluo l'adempimento di una "normale agenda liberale" in Italia. Il nome del liberalismo fu cosÒ completamente identificato con la costruzione della nazione e con la causa dello Stato laico tanto che i suoi statisti e i suoi intellettuali subirono solo una leggera pressione verso il miglioramento dell'onestö elettorale o per l'avanzamento di un'ulteriore libertö politica.

Questo fu il Paese dove il regime oligarchico e intrigante di Giovanni Giolitti, con la sua grossa componente di violenza repressiva e di corruzione cooptativa, si definÒ liberale fino alla Grande, guerra; il Paese dove il maggior teorico del liberalismo economico, Vilfredo Pareto, invocava il terrore bianco per annientare il movimento operaio e spazzare via la democrazia parlamentare; dove il grande filosofo Benedetto Croce, paladino del liberalismo etico, esaltava i massacri della prima guerra mondiale e approvava l'ascesa al potere di Mussolini. Tuttavia furono, tra l'altro, deformazioni come queste a permettere, paradossalmente, la sopravvivenza e a conservare la credibilitö del liberalismo italiano per gran parte del Novecento. In nessun Paese il destino del liberalismo fu cosÒ polimorfo e contraddittorio. Infatti proprio perch³ i suoi ideali classici furono, ad un tempo, magnificati e sbeffeggiati, il liberalismo in Italia riuscÒ a mantenere la sua potenza normativa radicale, che invece aveva perso altrove; e sarebbe stato capace di mescolarsi nei modelli pið inaspettati e pið infiammabili, in opposizione all'ordine stabilito.

Bobbio stesso ² una testimonianza dell'ambiguitö di questa ereditö. Egli parla di figure come Giolitti e Pareto con rispetto e ammirazione; nei confronti di Croce, a volte, ha avuto un atteggiamento vicino alla venerazione. L'impronta dello storicismo crociano, in particolare, ² molto forte, per certi aspetti, nella sua riflessione. Nondimeno egli sottolinea anche l'indifferenza teleologico-fÒlosofica di Croce nei confronti di tutti i valori istituzionali del liberalismo politico che a lui invece sono cari, la quasi totale estraneitö di Croce rispetto all'agenda pratica di una moderna democrazia che, a suo giudizio invece, esige la fondazione atemporale di diritti naturali, un concetto che ² un anatema per Croce. La forma tipica di liberalismo propria di Bobbio ², quindi, essenzialmente una dottrina delle garanzie costituzionali per la libertö individuale e per i diritti civili secondo la tradizione empirica di Mill ed egli la associa in particolare con l'Inghilterra.

Le figure, per lui, pið grandi in Italia sono quei pensatori che potrebbero essere ritenuti vicini a questa tradizione; vale a dire figure meno celebrate come quelle di Carlo Cattaneo, difensore di Milano contro gli austriaci nel 1848, di Luigi Einaudi e Gaetano Salvemini, che nel 1924 non si pieg÷ al fascismo. De Ruggiero e Gobetti.

Piero Gobetti

Ora, ² evidente che una tale visione, in se stessa, per quanto possa essere espressa eloquentemente, cosÒ come lo ² da Bobbio, ha una scarsa originalitö nel panorama complessivo del Novecento. Tutto l'interesse del pensiero di Bobbio, per÷, deriva dallo scontro del liberalismo politico classico, mediato attraverso la particolare esperienza italiana, con altre due tradizioni teoriche. La prima ² rappresentata dal socialismo; e anche qui il contesto italiano ² determinante. Bobbio, quando approd÷ all'impegno nella sinistra alla fine degli anni Trenta, entr÷ in un campo intellettuale e politico che era giö - per cosÒ dire - a impollinazione incrociata e con caratteristiche uniche. E nelle condizioni caleidoscopiche della societö italiana dopo la prima guerra mondiale, in cui tanti elementi sociali e ideologici furono mischiati in forme insolite, il liberalismo non appassÒ ma assunse colori nuovi e impressionanti.

Fu in quegli anni, per esempio, che uscÒ in Italia l'unico studio completo ed erudito su tutto il liberalismo europeo del secolo precedente, la Storia del liberalismo europeo di Guido De Ruggiero, un'opera non solo di sintesi storico-comparativa ma anche di impegno politico dichiarato, portata a termine nel momento in cui il fascismo si consolidava al potere. De Ruggiero, uno storicista che aveva un grande rispetto per il contributo tedesco, di Kant e di Hegel, alla formazione dell'idea europea di Rechtsstaat (stato di diritto), era personalmente un uomo politicamente collocato al centro. Eppure nella monografia sul liberalismo De Ruggiero scriveva che "se ricordiamo con quanta grettezza e durezza spietata i liberali della prima metö dell'800 abbiano considerato l'assillante problema sociale dei loro tempi, appare innegabile che il socialismo, con tutte le manchevolezze della sua ideologia, abbia costituito un immenso progresso sull'individualismo preesistente, e giustifÒcabile, da un punto di vista storico, che abbia cercato di sommergerlo sotto la sua ondata sociale".

Fra la generazione pið giovane, collocata pið a sinistra, pulsava la forza gravitazionale di un movimento operaio insorgente - e talora quella della stessa Rivoluzione russa - una forza che produsse una sorprendente varietö di tentativi diversi di conciliare valori proletari e valori liberali saldandoli in una nuova forza politica. Il primo e pið famoso di essi fu il programma per una "Rivoluzione liberale" di Piero Gobetti, che pubblic÷ Mill in italiano. Egli sostenne il libero mercato, ma ammir÷ nondimeno Lenin e collabor÷ all'Ordine nuovo di Gramsci prima di dare vita alla sua rivista, Rivoluzione liberale (1922). Quello di Gobetti fu un liberalismo che invitava gli operai a conquistare il potere dal basso e a divenire i nuovi governanti della societö, come la sola classe sociale in grado di trasformarla. Pensando a se stesso come a un rivoluzionario, nel senso pieno della parola, Gobetti, con il suo liberalismo, snobbava il socialismo italiano perch³ troppo riformista ed esprimeva piena simpatia al comunismo russo.

I fratelli Rosselli

Gobetti morÒ in Francia nel 1926. Due anni prima, il suo settimanale aveva pubblicato un saggio di un giovane socialista critico verso la tradizione del Psi, Carlo Rosselli. Nel periodo del suo confino politico, nel 1928, Rosselli scrisse un libro - Socialismo liberale - prima di evadere e rifugiarsi in Francia dove l'anno seguente fond÷ il movimento che si chiam÷ "Giustizia e Libertö". Il progetto di Rosselli delineava una sintesi che andava nella direzione opposta a quella tracciata da Gobetti. Ammiratore di ci÷ che conosceva dell'esperienza laburista inglese, Rosselli tentava di spurgare il socialismo dalla sua ereditö marxista e dalla sua versione sovietica e recuperava al suo interno le tradizioni della democrazia liberale che egli reputava fossero la sintesi delle conquiste fondamentali della civiltö moderna.

Rosselli e suo fratello Nello furono assassinati da sicari fascisti nel giugno 1937. Quello stesso anno Guido Calogero e Aldo Capitini davano vita a Pisa a un nuovo gruppo che si autodenominava "Liberalsocialismo". La leggera sfumatura di questo nome indicava una posizione intermedia tra quella di Rosselli e quella di Gobetti. Capitini, in particolare, animato contemporaneamente da una concezione pið religiosa e da una maggiore simpatia per l'esperienza sovietica, mirava a un futuro ordine sociale che sarebbe stato sia "post-cristiano" sia "post-comunista", combinando il massimo di libertö legale e culturale con il massimo di socializzazione economica. Calogero era pið vicino a Rosselli, con un linguaggio pið fÒlosofico, e rifiutava lo Stato sovietico intendendolo come uno Stato "totalitario" e argomentando contro qualsiasi ipotesi di socializzazione generale dei mezzi di produzione. Quando le due correnti confluirono nel Partito d'Azione nel 1942, il suo programma di un'economia mista, come mezzo adatto alla riconciliazione di libertö e di giustizia, prevalse e fu assunto come programma formale del partito.

Ma questa ipotesi era contrastata da un'altra corrente interna al partito, che descriveva il suo scopo - tanto vaste furono le possibilitö che si manifestarono in questa epoca e in questo Paese - come liberalcomunismo. I suoi teorici principali, Augusto Monti e Silvio Trentin erano allievi diretti di Gobetti. Giö membro di "Giustizia e Libertö" negli anni Trenta, Trentin aveva scartato l'idea di un'economia a due settori e insistito sulla necessitö di una socializzazione rivoluzionaria dei rapporti di proprietö, mentre, allo stesso tempo, proponeva anche uno Stato federativo decentrato - riprendendo il modello di Proudhon - per salvaguardare la libertö contro il pericolo del dispotismo politico, una volta che il capitalismo fosse stato rovesciato. Per questi pensatori una rivoluzione comunista era data comunque per probabile nell'Italia del dopoguerra e il compito doveva essere quello di elaborare le forme della rivoluzione democratica che si sarebbe verificata in un secondo momento e che ne avrebbe storicamente "aggiustato" le possibili storture.

La rivoluzione liberale, il liberalismo socialista, il socialismo liberale, il comunismo liberale: quale altro contesto nazionale ha mai prodotto una cosÒ vasta serie di ibridi di questo genere? Tutte queste ipotesi furono possibili in Italia perch³ non c'era stato tempo di instaurare n³ una democrazia borghese, n³ una democrazia sociale dopo la prima guerra mondiale n³ di stabilire una solida struttura che tracciasse le coordinate per lo svolgimento della politica sotto il capitalismo. Un decennio di fascismo aveva lasciato il liberalismo in Italia nella condizione eccezionale di essere ancora una forza viva, non consumata, mentre il socialismo si presentava ancora relativamente unito; ci÷ significava che insieme essi affrontavano un nemico contro cui, come ultima risorsa, la resistenza non poteva essere che insurrezionale.

In queste condizioni la Resistenza italiana poteva dare luogo ad ogni genere di generoso sincretismo. Bobbio ² un erede di quel momento eccezionale che fu - come egli stesso ha pið volte dimostrato - l'esperienza politica centrale che lo ha formato. Personalmente e moralmente vicino a Capitini, le sue preferenze pratiche erano quelle di Calogero, sebbene nel suo caso esse fossero combinate con un senso lucido della probabile forza del Pci dopo la Liberazione che lo avrebbe guidato - pið o meno inevitabilmente - a un pið profondo confronto con la cultura marxista. Giö liberale, in questi anni Bobbio divenne socialista. Ma, come i suoi predecessori anglosassoni, non solo egli era liberale prima di diventare socialista, ma ² rimasto prioritariamente tale anche dopo la scelta socialista. Quel liberalismo derivava da una profonda fede nello Stato costituzionale, piuttosto che da qualsiasi attaccamento particolare al libero mercato. Era di natura politica e non economica - una differenza che in italiano ² esprimibile, pið precisamente che in altre lingue, secondo la distinzione (fatta nel pið celebre dei modi da Croce) tra liberismo e liberalismo.

Liberalsocialista "per impulso"

Da qui era possibile un passaggio egualitario al socialismo. Per spiegare la sua idea del rapporto tra questi due concetti, Bobbio avrebbe scritto molti anni dopo, in Le ideologie e il potere in crisi: "Personalmente ritengo l'ideale socialista superiore a quello liberale", perch³ il primo include il secondo e non viceversa. "Mentre non si pu÷ definire l'eguaglianza mediante la libertö, vi ² almeno un caso in cui si pu÷ definire la libertö mediante l'eguaglianza", propriamente "quella condizione in cui tutti i membri di una societö si considerano liberi perch³ hanno uguale potere". Il socialismo ² dunque il termine pið inclusivo. L'esperienza storica e politica, la logica di queste convinzioni richiama Mill e Russell, Hobson e Dewey.

Ci÷ che distingue la versione di Bobbio dalla loro ² l'esperienza storica da cui hanno origine. A differenza di questi precedenti, il cammino di Bobbio dal liberalismo al socialismo non rappresentava un episodio intellettuale di relativo isolamento, ma apparteneva a un movimento collettivo che svolse un ruolo rilevante nel periodo della guerra civile e nazionale. Le lotte, le passioni, le memorie che lo sorreggevano erano molto pið consistenti. Ma proprio perch³ esse erano praticamente molto pið dense e corpose, erano anche maggiormente soggette al verdetto del risultato. Per Bobbio c'era una sola vera, nuova ideologia della Resistenza italiana, quella del Partito d'Azione, che egli denomina "il partito dei socialisti liberali". La sua nostalgia per l'occasione di speranza da esso rappresentata ricorre pið volte nei suoi testi. Ma ² sempre accompagnata da un senso di ironia, come abbiamo visto. Il socialismo liberale fu una "formula elitista", le cui "posizioni dottrinarie filosofiche" erano "destinate alla sconfitta di fronte alle grandi forze politiche reali dominate e guidate dalle forti passioni e da ben concreti interessi pið che da sillogismi perfetti", scrive Bobbio in Italia fedele.

Quelle due forze politiche principali a cui Bobbio fa riferimento erano, naturalmente, la Democrazia cristiana e il Partito comunista italiano. Bobbio non ha mai avuto molto da dire sulla Dc. E' stato il Pci che ha dominato il suo orizzonte politico post-bellico, nel dialogo e nella polemica. Questi dibattiti segnano una differenza storica, che distingue in un senso fondamentale la sua coniugazione di liberalismo e socialismo da quella dei suoi predecessori. Questi si erano formati all'interno di un liberalismo confortevolmente radicato, sereno e sicuro di s³, e poi reagivano contro le sue violenze o i suoi fallimenti - repressioni vendicative, guerra imperialista, disoccupazione di massa - cercando, nelle sue pieghe, il socialismo in esso contenuto. Bobbio, al contrario, divenne liberale e socialista attraverso un impulso unico nella lotta contro il fascismo e poi reagÒ contro i crimini del "socialismo reale": il sistema tirannico di Stalin.

L'ereditö del realismo conservatore

Ma c'² anche un altro elemento nella visione particolare di Bobbio che lo differenzia dai suoi predecessori. Uno dei maggiori e pið profondi tratti comuni della visione di Mill, Russell e Dewey era la loro fede nel potere sociale dell'istruzione. In tutti e tre i casi, il ruolo d'importanza centrale attribuito all'istruzione era sostenuto da una particolare concezione dell'intellettuale inteso come potenziale educatore esemplare. Bobbio, al contrario, ha esplicitamente rifiutato di accettare un tale ruolo per gli intellettuali ritenendolo, anzi, il miraggio caratteristico dei pensatori italiani del periodo prebellico, e vedendovi l'errore che unificava tra loro varie figure cosÒ diverse - come Croce, Salvemini, Gentile, Gobetti, Prezzolini e Gramsci stesso - in una comune illusione che il loro scopo fosse quello di "educare la nazione".

La sua distanza scettica verso le proposte di "riforma intellettuale e morale" o verso speranze troppo ingenue nella Bildung (la formazione), ², per converso, accompagnata da un profondo rispetto per quella tradizione del "realismo politico", particolarmente connessa nella storia con il ruolo del potere e della violenza. Questa tradizione ha avuto una influenza profonda su Bobbio. Essa, egli osserva, ha assunto pressoch³ sempre un carattere conservatore. In Europa, i suoi supremi esponenti filosofici furono Hobbes, teorico par excellence dell'assolutismo, per il quale la legge senza la spada non era che un pezzo di carta; e Hegel, per il quale la sovranitö veniva messa alla prova non tanto sul piano del rafforzamento della pace interna, quanto su quello della prosecuzione della guerra esterna, elemento regolatore perpetuo della vita delle nazioni.

In Italia questo realismo assunse la forma non di una razionalizzazione speculativa, ma di una ricerca concreta: una esplorazione dei meccanismi di dominio, da Machiavelli fino a Mosca e Pareto. Bobbio ² stato un commentatore fedele e un estimatore dei teorici politici dell'elitismo del suo Paese, a cui deve alcuni degli elementi sociologici significativi della sua visione. Ma c'² un senso nel quale la sua appropriazione dell'ereditö realista lo ha condotto lontano da essa, o meglio deviato dalla tradizione specificamente italiana. Perch³ questa tradizione si ² tradotta in una cultura ossessiva della politica pura; cio² di una politica concepita come dominio soggettivo assoluto del potere per s³, alla maniera di Machiavelli.

Ci÷ che ² mancato in questa tradizione, per converso, ² un reale senso dello Stato, in quanto complesso oggettivo e impersonale delle istituzioni. I motivi di questa lacuna sono alquanto evidenti: la lunga assenza, o la debolezza a lungo persistente, di uno Stato nazionale italiano. L'originalitö di Bobbio, nella sua propria recezione della tradizione italiana, sta nella prospettiva che si orienta lontano dalla politica in quanto tale - in quanto meccanismo intricato attraverso il quale si prende o si perde il potere - che tanto affascin÷ Machiavelli, Mosca o perfino Gramsci, verso quei problemi di filosofia politica dello Stato molto pið al centro delle preoccupazioni di Madison, Hegel o De Tocqueville.

Ci sono due punti fermi della riflessione sullo Stato che ne conseguono. Il primo ² costituito dalla sua ferma insistenza che ogni stato riposi, come ultima risorsa, sulla forza. Fu condivisa, egli nota, da Marx e da Lenin. Ma essi combinarono questa pessimistica visione dello Stato con una concezione ottimistica della natura umana, il che consentiva di intravedere nel lungo periodo l'eliminazione della prima attraverso l'emancipazione della seconda; mentre per quanto riguarda le principali correnti della tradizione realista, l'incorreggibilitö delle passioni richiedeva la coercizione permanente del potere organizzato per reprimerle. Bobbio, senza pronunciarsi direttamente sulla questione, rileva (in Saggi sulla scienza politica in Italia) che in generale "tutti gli studi politici hanno tratto alimento pið dalle osservazioni, talora spietate, dei conservatori, che non dalle costruzioni tanto rigorose quanto fragili, dei riformatori".

Il secondo punto infatti lo convince ad accentuare pið una tradizione conservatrice che una marxista. Esso prende in considerazione il potenziale irriducibilmente violento delle relazioni interstatuali, che prescinde dal carattere interno del regime, come elemento costitutivo della natura della sovranitö politica in quanto tale. Proprio in quanto la logica della guerra ² cosÒ indipendente dalle relazioni di classe interne, essa ² trascurata nella sua pericolositö dal marxismo. La storia e la teoria del conflitto militare sono per Bobbio - almeno quanto per Hegel o Treitschke - necessariamente parte integrante di qualsiasi riflessione realistica sullo Stato. Paradossalmente ² proprio questo senso della centralitö della guerra per il destino della politica che ha fatto di Bobbio - quasi eccezionalmente nel suo Paese - un fermo oppositore alla corsa al nucleare militare tanto da fargli richiamare la formula hobbesiana con riferimento alla pace internazionale.

Per la socialdemocrazia?

Bobbio sottopone il suo ideale preferito - la democrazia liberale - a due tipi di critica opposti e antagonisti. Il primo ² conservatore: in nome di un realismo sociologico che ² debitore a Pareto e a Weber, ed evidenzia quei fattori che tendono spietatamente a togliere allo Stato rappresentativo vitalitö e valore, rendendolo sempre pið una deludente ombra di se stesso. Il secondo tipo ² socialista: in nome di una concezione dell'emancipazione umana (e non solo politica), derivata da Marx, esso indica tutte le aree del potere autocratico nelle societö capitalistiche che lo Stato rappresentativo lascia completamente inviolate, privandosi cosÒ delle uniche basi sociali che lo trasformerebbero in una vera sovranitö popolare. Bobbio assomma le due diverse concezioni, senza saperle sintetizzare. In realtö, esse sono inconciliabili. Se le cose stanno cosÒ, potremmo supporre che lo stesso Bobbio non sarebbe in grado di mantenere un equilibrio fra le due, la tentazione di un realismo conservatore e le sollecitazioni di un radicalismo di stampo socialista.

Per comprendere l'esito del suo ragionamento, qui occorre rivolgergli la stessa domanda che egli pone a titolo di uno dei suoi saggi principali. Quale socialismo, in fÒn dei conti, propugna Norberto Bobbio? A prima vista, la risposta ci sembra abbastanza chiara: una moderata socialdemocrazia. E lo stesso Bobbio, praticamente, a proporre tale definizione. Un tema ricorrente nei suoi scritti ² stato il contrasto tra i vantaggi che l'Europa del Nord ha tratto da un governo socialdemocratico effettivamente riformatore contro le sventure in cui ² incorsa l'Italia a causa delle divisioni di un movimento operaio incapace di sfidare l'arroganza e la corruzione dell'egemonia democristiana.

Negli anni Cinquanta Bobbio invocava l'esperienza positiva dell'amministrazione Attlee in Gran Bretagna, indirettamente contro il Pci. Negli anni Sessanta, dipinse il periodo formativo della politica italiana dopo la prima guerra mondiale come un periodo di tragico estremismo in cui le forze opposte, ma tra loro correlate, della destra e della sinistra sovversive sopraffecero i migliori impulsi del conservatorismo e del riformismo moderati, con conseguenze disastrose per la democrazia italiana. Negli anni Settanta critic÷ il Pci per la proposta della "terza via" tra stalinismo e socialdemocrazia definendola come vuota retorica ad uso strategico che serviva solo a nascondere la necessitö di una scelta chiara tra metodi dittatoriali o metodi democratici di riforma sociale, che solo esauriva la gamma delle scelte possibili.

L'avvicinamento di Bobbio alla socialdemocrazia concerne espressamente, comunque, i metodi pið che gli scopi. Bobbio non sottoscrive il progetto sociale che la socialdemocrazia ha finora diretto, e perseguito in Occidente, e non esclude la possibilitö di un terzo, o anche un quarto o un quinto modello di societö alternativo, preferibile ai due modelli esistenti e in questo diverso da una terza via che proceda verso uno di questi. La questione centrale ² che ogni passo verso il socialismo in Paesi con istituzioni liberali deve mantenerle e avanzare attraverso di esse. Il realismo storico di Bobbio lo trattiene dal negare che siano state altre vie per il superamento del capitalismo in altri periodi e altri luoghi. La democrazia non ² un valore astorico.

"Il metodo democratico ² un bene prezioso ma non e per tutti i tempi e per tutti i luoghi".
In particolare ci potrebbero essere situazioni di emergenza, o casi di sommosse rivoluzionarie, "di passaggio violento da un ordinamento all'altro, in cui il metodo democratico non serve e le stesse regole del gioco, se ci sono, vanno a farsi benedire". Dove la sua applicazione ² impossibile, Bobbio non si illude che lo stesso ordinamento liberale sia nato in modo liberale. Si forgi÷ in una dura e sanguinosa lotta contro gli anciens regimes, condotta da una "minoranza di intellettuali e di rivoluzionari", ed ebbe il suo episodio fondante nel "pullulare di sette religiose e di movimenti politici" durante la Rivoluzione inglese.

Vie verso il socialismo

Ma una volta che si ² stabilito un ordinamento politico democratico, Bobbio esclude tassativamente la sua trasformazione attraverso qualsiasi copione analogo. Il passato della democrazia liberale viene esaminato con storicismo compassato, il suo presente con assolutismo categorico. L'influenza di Croce, famoso per il sangfroid della sua storia della libertö, consolidata perfino dai crimini perpetrati contro di essa, ispira la prima posizione; il ricorso alla teoria dei diritti naturali, aborrita da Croce, sottende la seconda. Giocando tacitamente su questi due registri, l'idealismo italo-germanico e l'empirismo anglo-francese, Bobbio si manifesta senza dubbio incoerente. E in questo egli non rompe con la tradizione di un generico liberalismo, che, in effetti, richiede una qualche mescolanza di questo tipo.

La difficoltö per lui sorge al passaggio successivo. Infatti, tutti i Paesi in cui prevale la democrazia liberale sono capitalistici. In questa cornice, come pu÷ essere raggiunto il socialismo? L'onestö e la luciditö di Bobbio non gli permettono di eludere e trascurare il problema. Egli non fornisce una risposta chiara e netta. Sono molto in evidenza qui, le esitazioni del suo pensiero, ma, alla fine, la conclusione verso cui egli tende ² inequivocabile. In realtö, egli esamina le uniche due strategie coerenti che gli rimangono disponibili per raggiungere un socialismo valido. Le descrive come riforme strutturali dall'alto e incremento della partecipazione democratica dal basso.

Qual ² poi il suo verdetto? Egli manifesta un letale scetticismo verso entrambi. Scrivendo sulle riforme strutturali, egli si chiede: "Ammettiamo pure che la trasformazione totale possa essere il risultato di una serie di riforme parziali: sino a che punto il sistema ² disposto ad accettarle? Se coloro che sono minacciati nei loro interessi reagiscono con la violenza, che cosa si pu÷ fare se non rispondere con la violenza?". In altri termini, i meccanismi fondamentali di accumulazione e di riproduzione capitalistica potrebbero essere intrinsecamente resistenti ad un cambiamento costituzionale e imporre una scelta che renda marginale la nozione stessa di riforma strutturale: o si rispettano le strutture, o si infrangono le riforme.

Bobbio non ha mai dimostrato grande interesse per la strategia delle riforme strutturali che risale ai dibattiti in Belgio e in Francia negli anni Trenta. Ma ha spesso insistito, come abbiamo visto, sulla prospettiva di una progressiva democratizzazione della societö civile. Quindi potevamo aspettarci che si esprimesse in termini pið entusiastici sulla potenzialitö di questa strategia. Invece la sua conclusione ² altrettanto pessimista. "Mi sembra pið che lecito il sospetto che il progressivo allargamento della base democratica trovi uno sbarramento insuperabile - insuperabile dico nell'ambito del sistema - di fronte ai cancelli della fabbrica". La possibilitö di un riformismo radicale ² esclusa dalle caratteristiche stesse dell'ordinamento economico da cui ne scaturisce l'esigenza. Tali dubbi, stringenti nella loro logica, tendono in effetti a togliere terreno alla via parlamentare-democratica al socialismo alla quale Bobbio formalmente aderisce.

Per di pið, vengono raddoppiati da dubbi ancor pið radicali a proposito del destino della democrazia sotto il socialismo quando fosse raggiunta una societö senza classi. Abbiamo visto che il liberalismo di Bobbio non ² di tipo economico: egli non ha mai dimostrato una particolare predilezione per il mercato. Ma per lo stesso motivo non ha mai dimostrato nemmeno un grande interesse per le alternative al mercato. Il capitalismo, come sistema di produzione, e non come una serie di ingiustizie nella distribuzione, ² in qualche modo poco pið che uno sfondo di riferimento blandamente riprovevole per Bobbio. Esso viene nell'insieme da lui rifiutato, ma mai analizzato.

Conseguentemente, quando egli ragiona sul socialismo, il cambiamento nella proprietö dei mezzi di produzione non costituisce, ai suoi occhi, alcun valore positivo in s³. Anzi, la socializzazione oltre i limiti dell'economia mista tende solo ad evocare lo spettro di uno Stato onnipotente, che si impadronirebbe della vita economica nonch³ di quella politica; senz'altro una vecchia paura liberale.
Il risultato ² che alla fine Bobbio arriva alla previsione che in un regime socialista non solo esisterebbero gli stessi ostacoli per la democrazia che in un regime capitalistico, ma che i pericoli sarebbero in veritö maggiori: "Sono convinto che la democrazia in una societö socialista sia ancora pið diffÒcile". Una conclusione, a dir poco, paradossale per un socialista democratico.

Pið liberale che socialista?

Ma queste due riflessioni, la probabile impercorribilitö di una via democratica al socialismo, e i maggiori rischi per la democrazia attraverso il socialismo, mettono involontariamente in rilievo la scelta storica e ultima di Bobbio. Tra liberalismo e socialismo egli in pratica opta per il primo. A volte, giustifica la sua preferenza sostenendo che essa ² in realtö pið radicale. In un certo senso, scrive, la democrazia ² un'idea "molto pið sovversiva del socialismo stesso". Tuttavia, l'appello di Bobbio alla democrazia in quanto pið sovversiva del socialismo ² pið tattico che sistematico. Il suo pensiero vero ² da ricercarsi altrove. La sua vera convinzione ² esattamente opposta. "L'accettazione del regime democratico presuppone l'accettazione di un'ideologia moderata", egli dichiara. Infatti "decisioni a maggioranza in un sistema politico basato sul suffragio universale permettono cambiamenti nel sistema, ma non danno luogo a un cambiamento del sistema". Il permanere dell'ordinamento sociale capitalistico diventa, in altre parole, la premessa di un'effettiva partecipazione allo Stato rappresentativo.

Paradossalmente, come nota candidamente lo stesso Bobbio, questo non significa che, se il capitalismo ² inviolabile, lo sia di conseguenza anche la democrazia. La storia ci insegna altrimenti: "Di democrazia non si pu÷ mutare, se per mutamento si intende un salto qualitativo, ma di democrazia si pu÷ morire". Se una via parlamentare al socialismo deve ancora essere scoperta, l'esperienza italiana e tedesca tra le due guerre ci ricorda che c'² una via parlamentare al fascismo. Questa realtö scomoda va affrontata. Per Bobbio essa non diminuisce il valore della democrazia liberale, ma accresce la necessitö di barriere costituzionali per proteggerla.

Questi problemi, in fin dei conti, restano la sua preoccupazione pið costante. Dei due problemi "chi governa?" e "come governa?", Bobbio dichiarava senza esitazioni nel 1975 di non avere dubbi sul fatto che "quello pið importante sia sempre stato il secondo, non il primo". In altre parole, ci÷ che importa non ² quale sia la classe al potere, ma il modo in cui lo gestisce. Qui si manifesta la scelta di Bobbio, al livello pið profondo, per l'aspetto liberale del suo pensiero. Per la stessa ragione, tra le due critiche della democrazia rappresentativa nei suoi scritti, quella conservatrice ha maggior peso rispetto a quella socialista.

Negli scritti pið recenti questa analisi, secondo uno schema consueto, tende perfino a diventare un'apologia perversa. CosÒ, facendo di necessitö virtð, Bobbio pu÷ scrivere: "L'apatia politica non ² affatto un sintomo di crisi di un sistema democratico, ma, come di solito si osserva, un segno della sua perfetta salute". Ci÷ significa una "benevolente indifferenza" per la politica in quanto tale, fondata sul buon senso. Infatti nelle societö democratiche il maggior cambiamento sociale generalmente non ² affatto il risultato di azione politica, bensÒ del progresso delle abilitö tecnologiche e dell'evoluzione di quelle culturali: involontari processi molecolari, piuttosto che interventi legislativi deliberati.

Tale "trasformazione continua", attraverso il flusso di invenzioni e l'adattamento dei mores, riduce di molto il significato del "riformismo" sia pure "tradizionale", la cui importanza la socialdemocrazia ha tipicamente sopravvalutato, malgrado la sua moderazione. In queste condizioni, ² preferibile accettare l'ordine del giorno politico di concorrenza limitata tra ³lites piuttosto che mettere a rischio la stabilitö della struttura costituzionale caricandola di aspettative troppo ambiziose. Bobbio esprime ci÷ con la sua abituale vivacitö scrivendo: "Nulla rischia di uccidere la democrazia, pið che l'eccesso di democrazia". Una bella formula elitista.

Socialismo liberale, una chimera?

Mill descriveva gli schemi socialisti come "chimerici", prima del cambiamento di opinione che diede inizio ai tentativi teorici di unirli ai principi liberali. Bobbio, dopo aver partecipato al tentativo pratico del Partito d'Azione di raggiungere questo tipo di socialismo liberale, ha da allora dichiarato che anche esso ² "chimerico", "al pið una formula ideale". Se andiamo oltre la ragione storica di questo paradosso, iscritto nella esperienza politica personale di Bobbio, troviamo anche una ragione intellettuale. Fin dall'inizio, la sua formazione teorica includeva non solo un filone socialista e uno liberale, ma anche uno conservatore, Bobbio ² sempre rimasto sinceramente, ammirevolmente progressista nelle sue simpatie e intenzioni personali: a tutti gli effetti, e da qualsiasi punto di vista, un pensatore illuminato e di grande nobiltö. Ma i suoi scritti, malgrado le loro intenzioni, sembrano dimostrare che opera in essi un intreccio di affinitö elettive. Infatti nei saggi di Bobbio il socialismo liberale si rivela un composto instabile: i due elementi di liberalismo e socialismo, che sembrano inizialmente attrarsi, finiscono per separarsi, e all'interno dello stesso processo chimico, il liberalismo si orienta verso il conservatorismo.

Perry Anderson insegna al dipartimento di storia della UCLA University (Los Angeles). Questo saggio, originariamente uscito in "New Left Review" (1988), ² stato in pubblicato italiano per i libri dell'Unitö e nel numero 74 di Reset, novembre-dicembre 2002, numero monografico dedicato a Norberto Bobbio.

 



 

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