L’articolo che segue è tratto dal
catalogo della mostra Gaudì e il modernismo
catalano, Electa, pagine 184, illustrazioni 123, prezzo
30 euro in libreria; 25 euro in mostra
È
ormai accettato dalla storiografia che il Modernisme
sia la versione catalana dell’Art nouveau
internazionale, un linguaggio architettonico che,
per la prima volta dal Rinascimento, non interpretava
più l’architettura come una revisione
degli stili precedentemente codificati, e cercava
una nuova fonte d’ispirazione, la natura. L’ispirazione
alla natura era all’origine della creazione
artistica, e si sviluppava attraverso un atteggiamento
nuovo che non partiva dalla mimesi bensì
dalla metafora. La conseguenza di questo cambiamento
di orientamento fu sorprendente, la natura veniva
copiata semplicemente, oppure interpretata mediante
un processo di stilizzazione, oppure venivano studiati
anche i suoi sistemi strutturali. Così, il
nuovo stile influì anche nella progettazione
architettonica attraverso un uso più coerente
della dinamica delle forme e attraverso un uso più
libero di tutti i materiali e delle tecniche costruttive,
da quelli più tradizionali a quelle più
innovative. D’altra parte, l’Art nouveau
si caratterizzò per la volontà
di unificare tutte le arti sotto l’ombrello
dell’architettura, segnando un’età
d’oro per le arti applicate e decorative con
una visione rinnovata sia negli interni, sia negli
esterni degli edifici.
L’Art nouveau europeo ebbe due grandi
tendenze in Europa: la prima, tra Bruxelles e Parigi,
era caratterizzata dall’uso di forme sinuose
e stilizzate, mentre la seconda, con Glasgow e Vienna
come città principali, promuoveva le linee
rette ed il senso razionale dell’esercizio dell’architettura.
Due linguaggi molto diversi, al servizio dello stesso
principio secondo il quale la definizione di uno stile
non era il semplice risultato dell’utilizzo
di un certo linguaggio formale ma dell’applicazione
di certi principi teorici. L’Art nouveau
non è uno “stile” nel senso usato
dall’eclettismo architettonico – il rapporto
modello/copia - bensì una tendenza.
Verso
una modernità “autoctona”
Ora, se ci concentriamo unicamente sul fenomeno del
modernismo catalano, la prima questione che ci dovremmo
porre è se si tratta d’una semplice derivazione
dell’Art nouveau oppure se ha delle
caratteristiche specifiche. La caratteristica principale
dell’Art nouveau era la volontà
di creare uno stile architettonico e internazionale
che rispecchiasse la cultura cosmopolita che dominava
le mentalità fin de siècle.
Il modernismo catalano e l’Art nouveau
hanno in comune, è vero, lo spirito internazionalista,
ma il movimento catalano si muoveva all’interno
d’un complesso paradosso, basato sul mantenimento
delle radici culturali e delle tradizioni contestualmente
alla difesa della modernità. Il cosmopolitismo
diventa in Catalogna un’idea generale di “modernità”,
ma una modernità che vuole proiettare il paese
verso il futuro, dall’assorbimento delle sue
radici più profonde.
Quest’idea di modernità, cosmopolita
e autoctona allo stesso tempo, è la migliore
definizione del modernismo catalano, ed è anche
quella che fornisce un comune denominatore a tutte
le sue diverse manifestazioni. È opportuno
insistere sull’ampiezza di questo movimento
che coinvolse tutte le attività culturali e
tutte le classi sociali e in cui la letteratura e
la lingua ebbero un ruolo fondamentale. L’Esposizione
Universale di Barcellona del 1888 viene considerata
la data in cui la cultura catalana inizia questo processo
che si sviluppa a partire dall’ultimo decennio
dell’Ottocento.
Il modernismo è un modo di essere e di sentire
della popolazione di Barcellona, e anche, conseguentemente,
di tutta la Catalogna. L’eco della nuova moda
architettonica si sentì in città di
secondo ordine, come Reus, Girona o Terrassa; ma anche
in piccole cittadine come Sitges, Argentona o La Garriga,
il movimento mantiene il suo messaggio di cosmopolitismo
e modernità. Il modernismo si diffonde ovunque,
sia nei luogo di ritrovo dell’alta borghesia,
come l’Hotel España oppure nella
bellissima sala di concerti del Palau de la Música
Catalana di Domènech i Montaner; sia negli
spazi di lavoro, come il Vapor Aymerich, Amat
i Jover a Terrassa di Lluís Muncunill,
la Fàbrica Casarramona di Josep Puig
i Cadafalch a Barcellona oppure le cooperative agricole
di César Martinell. Nel nuovo stile vengono
costruiti anche due complessi ospedalieri di Domènech
i Montaner, l’Hospital de la Santa Creu
i de Sant Pau a Barcellona e l'Institut Pere
Mata di Reus; ma là dove la nuova
moda trionfa senza riserve è nelle abitazioni,
dagli appartamenti borghesi dell’Eixample
di Barcellona, alle case di villeggiatura di La Garriga
e Argentona, fino al complesso della colònia
Güell dove Gaudí construì
la chiesa.
1888-1900.
Il primo modernismo catalano
Questa prima fase dell’architettura modernista
catalana è legata al contesto culturale e politico
che la generò, vale a dire al processo di modernizzazione
della cultura catalana che ha luogo dopo l’Esposizione
Universale del 1888 e che si protrae consolidandosi
durante gli anni Novanta. Nella rivista L’Avenç
(che vuol dire “progresso”) si fanno I
primi sforzi per normalizzare la lingua, nel panorama
letterario si stagliano figure della categoria di
Joan Maragall, mentre in ambito artistico si introducono
le nuove correnti impressioniste. Per l’Esposizione
Universale di Barcellona del 1888, Lluís Domènech
i Montaner (1849-1023), progetta un padiglione per
il Cafè-restaurant, noto anche come
Castell dels Tres Dragons, ora trasformato
in Museo di Zoologia, nella forma di un castello
medievale. È il primo passo per definire un’architettura
che, nonostante sia indiscutibilmente eclettica, desiderava
essere diversa.
La particolarità dello spirito del modernismo
catalano risiede, come si diceva poc’anzi, nel
paradosso tra il gusto cosmopolita e la volontà
esplicita di non rinunciare alle proprie radici. Questo
fatto determina profondamente la maniera di fare architettura,
ed è all’origine della persistenza di
una mentalità romantica ancora per molti anni
– in particolare nel persistente gusto per l’epoca
medievale - cosicché gli storicismi si mescolano
con quello che gli stessi architetti chiamarono l’architettura
“nuova”. È evidente che per una
società che si era prefissa come meta principale
il recupero della lingua e della cultura, il passato
medievale fosse un riferimento fondamentale. Dopo
l’esposizione del 1888 e prima del 1900, mentre
a Bruxelles, Victor Horta costruiva l’Hôtel
Tassel (1893) o Charles Rennie Mackintosh a Glasgow,
la Glasgow School of Art (1897-1899), gli
architetti catalani facevano ancora un’ultima
e tardiva ricreazione dei modelli storicisti. Si tratta,
in realtà, di una ricreazione del gotico partendo
da una libera interpretazione di quello stile che
farà accettare molti elementi provenienti da
altri linguaggi storici e, addirittura, da altre culture.
D’altra parte, non tutto era una questione di
modelli formali; infatti si lavorò al recupero
delle vecchie tecniche costruttive, come la volta
a foglio e dell’artigianato antico in un
processo parallelo, anche se molto più tardo,
a quello delle Arts and Crafts britanniche.
Allo stesso tempo, però, venivano accettate
senza complessi le nuove tecniche costruttive.
Il Cafè-Restaurant di Domènech
i Montaner fu solo un primo passo. Altri architetti
continuarono sulla stessa strada, Antoni Mª Gallissà
(1861-1903), Bonaventura (1862-1940) e Joaquim (1854-1938)
Bassegoda, Lluís Muncunill (1868-1931), Joan
Rubió i Bellver (1871-1952) e altri. L’opera
di Josep Puig i Cadafalch (1867-1957) che aveva finito
i suoi studi nel 1891, è forse quella che meglio
rappresenta l’architettura di quelli anni. La
casa Ametller nel Passeig de Gràcia
di Barcellona (1898-1900), o El Cros (1898), nella
cittadina di Argentona, sono caratteristici di questa
corrente.
Lo stesso discorso vale anche per Antoni Gaudí
(1952-1926), che aveva iniziato la sua attività
con stili d’influenza esotica, come nella casa
del carrer de les Carolines (1883-1885) o
nei pavellons Güell (1883), orientandosi
poi verso il nuovo gusto nella casa che costruisce
per il suo mecenate, il conte di Güell (1886-1889)
nel carrer Nou di Barcelona. Nel Palau Güell,
Gaudí indirizza la sua ricerca verso le tecniche
costruttive, prendendo come spunto i stilemi gotici,
cosìcché gli archi che erano stati in
origine concepiti ad ogiva si trasformarono in forme
paraboliche - Gaudí si evolve così oltre
il gotico perché la parabola è allo
stesso tempo elemento di sostegno e elemento sostenuto.
Questo orientamento goticista continua nel collegi
de Santa Teresa del carrer di Ganduxer
di Barcellona (1886), nel Palau Episcopal d’Astorga
(1887-1894) e alla casa Botines di León
(1892). In quelli anni Gaudí, che si considerava
un architetto cristiano quanto A.W.N. Pugin in Gran
Bretagna o Irlanda, già lavorava a quella che
sarebbe diventata la sua opera più emblematica,
il tempio della Sagrada Família dove
i riferimenti ogivali sono evidenti nella cripta e
nell’abside. Gaudí inizia ormai un percorso
solitario, lasciando da parte sia i riferimenti storici
del passato, sia quelli degli stessi architetti contemporanei.
1900. Modernismo e Art nouveau
Il processo appena delineato presenta un’inflessione
nei primi anni del Ventesimo secolo. L’Esposizione
Internazionale di Parigi che fece conoscere l’Art
nouveau a tutto il mondo, esercitò una
grande influenza in Catalogna. Un gruppo importante
di architetti, Enric Sagnier (1858-1931), l’architetto
più prestigioso nella Barcellona dell’epoca,
o Jeroni Granell i Manresa (1867-1931) si lasciarono
influire da quello stile che usavano come parte del
loro eclettismo. Altri, invece, Lluís Domènech
i Montaner, Antoni Gaudí e i loro seguaci ne
fecero un’interpretazione molto particolare,
senza rinunciare al paradosso di cui parlavamo, e
cioè al bisogno di essere moderni dall’interno
della tradizione.
Lluís Domènech i Montaner che fu per
molti anni il direttore della Escola d’Arquitectura
de Barcelona godette dell’ammirazione degli
architetti giovani ed ebbe a suo carico in quelli
anni le opere più rappresentative della società
catalana, il Palau de la Música Catalana (1905-1908)
e l’Hospital de la Santa Creu i Sant Pau (1903-1930)
a cui lavorò fino al suo decesso. Lavorò
anche per alcuni palazzi di abitazione come la casa
Navàs (1901) a Reus e la casa Lleó Morera
(1903) contraddistinte dal design e dalla qualità
dei loro interni. Domènech era un grande conoscitore
delle moderne tecniche costruttive e utilizzò
in maniera molto originale ed innovativa l’acciaio
e la ghisa che lavorava insieme alle tecniche tradizionali.
Il suo fine principale era combinare architettura
e ornamento nel desiderio di legare forma e funzione
dell’edificio. La ricca ed elaborata decorazione
viene applicata su una struttura architettonica di
grande purezza.
Il sistema architettonico di Domènech si trova
in perfetta sintonia con i grandi teorici dell’eclettismo
dell’Ottocento, come Karl Gotthard Langhans,
Karl Friedrich Schinkel e, soprattutto, Gottfried
Semper di cui conosceva molto bene l’opera,
la razionalità architettonica, la simbiosi
tra struttura e ornamentazione e messa in valore di
quest’ultima per i suoi valori significativi.
Domènech possedeva un repertorio ornamentale
moderno ma lo usava in modo profondamente eclettico.
Bisogna sottolineare, inoltre, il suo ruolo attivo
nell’organizzazione di gruppi di artigiani ed
industriali che contribuiscono in modo decisivo a
popolarizzare il nuovo stile. Altri architetti come
Manuel Raspall i Mayol (1877-1937) o Eduard M. Balcells
(1877-1965) che si specializzarono nella costruzione
di villini e di case di villeggiatura, si apropriano
anche loro di quel gusto per la richezza ornamentale
tipico di Domènech i Montaner.
Puig i Cadafalch, invece, è l’architetto
più integrato al nuovo linguaggio di “ritorno
all’ordine” che cominciava ad imporsi
dal secondo decennio del ventesimo secolo, e che sfociò
in Catalogna in un fenomeno molto coerente dal punto
di vista sociale, il Noucentisme. Il suo ruolo politico,
nel partito catalanista Lliga Nacionalista, lo portò
a ricoprire cariche pubbliche di grande responsabilità
allontanandolo sempre di più dell’edilizia
di committenza privata.
Gaudí, dal suo canto, continuò la sua
strada, sempre più originale o potremmo anche
dire più ermeneutica, che culminò nella
concezione dell’architettura come oggetto simbolico,
rivelando un’impostazione totalmente insolita
nel quadro dell’architettura occidentale moderna.
Nel progetto per la casa Calvet (1898-1900), situata
nell l’Eixample di Barcellona, Gaudí
manteneva ancora all’esterno riferimenti storicisti,
mentre il disegno degli interni si rivelava audace,
orientato verso forme astratte, profondamente logiche
ed ergonomiche al tempo stesso. Poco dopo, progettava
due opere nel Passeig de Gràcia di Barcellona,
la casa Batlló (1905-1905) e la casa Milà,
la Pedrera (1905-1911) che si distinguono per le ardite
soluzioni tecniche e formali su cui non ci soffermiamo
per mancanza di spazio, ed anche per il significato
simbolico. In effetti dobbiamo vedere nella casa Batlló
il racconto della leggenda di san Giorgio mentre la
casa Milà è l’esaltazione del
dogma dell’Immacolata Concezione: una grande
immagine doveva presiedere l’attico –
rappresentazione dello spazio celeste- dominando il
resto dell’edificio, il quale ricrea gli elementi
tellurici basilari, come la pietra della facciata
con le forme sinuose delle onde, o il mondo vegetale
che appare nel ferro battuto delle finestre e dei
balconi.
Nel Park Güell (1900-1914), seguendo le idee
utopiche del suo mecenate Eusebi Güell, progetta
una città-giardino nello stile di quelle che
aveva promosso in Gran Bretagna Ebezener Howard. In
questo grande complesso raggiunge lo scopo che si
era già proposto nella casa Milà, usare
le forme ed i materiali per mostrare i punti di contatto
e le divergenze tra la natura – intesa in quanto
Creazione – e l’opera d’arte, ”artificio”
o creazione umana.
Tuttavia, per un architetto profondamente cristiano
come Gaudí, era la costruzione di un “tempio”
la massima aspirazione. Nel 1900, fu ancora Eusebi
Güell ad incaricargli il progetto della chiesa
del villaggio industriale che aveva a Santa Coloma
de Cervelló nel Baix Llobregat e che l’architetto
immaginò come modello per la Sagrada Família.
Anche se venne edificata soltanto la cripta o chiesa
bassa, il progetto di questa grande chiesa è
noto attraverso un sufficiente quantitativo di materiale
grafico. Fedele alla tradizione costruttiva del passato,
Gaudì si proponeva di usare le tecniche empiriche
delle grandi cattedrali gotiche, di portare fino all’estremo
le leggi della gravità e della logica costruttiva,
sfruttando, però, le moderne conoscenze sui
processi di calcolo e di geometria descrittiva o sulle
tecniche di taglio della pietra, la stereotomia. È
un’impostazione che spinge all’estremo
le potenzialità dell’architettura gotica
e che si sviluppa sicuramente in maniera autonoma
rispetto all’architettura del momento. In questo
modo, la chiesa della colònia Güell e
la Sagrada Família, la quale viene ora continuata
secondo i modelli lasciati da Gaudí, sono diventati
un raro ed insolito oggetto architettonico, realizzato
al di fuori di qualunque logica storiografica.
Non possiamo d’altronde trascurare il senso
ideologico della sua architettura. Egli concepisce
la propria opera all’interno del contesto sociale,
culturale del suo tempo a partire d’una coscienza
religiosa appassionata, complessa e dolorosamente
tormentata. La Sagrada Família venne ideata
come simbolo della Chiesa, la cupola centrale rappresenta
Cristo, quella dell’abside la Vergine Maria
e le quattro piccole intorno alla nave centrale i
quattro Evangelisti. Si tratta di un complesso programma
iconografico che è già stato studiato,
in cui addirittura l’arco parabolico è
impiegato a simboleggiare la Santissima Trinità
– il mistero di essere uno e tre allo stesso
tempo – in quanto è il risultato della
confluenza di due linee infinite, il Padre ed il Figlio,
con una terza linea, anch’essa infinita, lo
Spirito Santo.
Nella Sagrada Família Gaudí mostra
le potenzialità costruttive ma anche quelle
simboliche ed espressive che possono confluire in
un edificio.
La forte personalità di Gaudí influenzò
profondamente altri architetti contemporanei. In primo
luogo alcuni che lavorarono direttamente con lui,
Joan Rubió i Bellver, ad esempio, che diventò
uno dei teorici dei sistemi costruttivi gaudiniani;
Josep Mª Jujol (1878-1949) che aveva un grande
gusto per la decorazione ed è l’autore
della panchina in ceramica del Park Güell, Francesc
Berenguer (1866-1914) e Domènech Sugrañes
i Gras (1878-1936) e così anche altri architetti
come Lluís Muncunill (1868-1931), Salvador
Valeri (1873-1954) o Manuel Sayrach (1886-1937) che
nonostante non avessero avuto contatti diretti con
il maestro furono influenzati dalla sua concezione
dell’architettura.
La fine del modernismo, ancora un paradosso
L’ultimo capitolo dell’architettura modernista
catalana è contraddistinto dalle opere di alcuni
architetti che abbandonano le mode francesi Art nouveau,
quando scoprono le forme più regolari e logiche
della Secessione viennese. I modelli secessionisti
venivano divulgati dalle riviste illustrate ed anche
per effetto della celebrazione a Vienna, nel 1908,
del VIII Convegno Internazionale d’Architetti.
Era un’estetica nuova che si presentava come
alternativa all’architettuta del modernismo
e che si collegava con una nuova mentalità
sociale e culturale che si stava sviluppando in Catalogna,
il Noucentisme. Curiosamente gli architetti che meglio
rappresentano questa tendenza, Rafel Masó (1881-1935)
e Josep Ma. Pericas (1881-1965) erano stati molto
influenzati nei loro primi passi nella professione
da Antoni Gaudí con cui dividevano lo spirito
catalanista e profondamente cattolico. Ecco l’ultima
contraddizione del modernismo catalano: nel momento
in cui era uno stile chiaramente fuori moda, Gaudí
continuava il suo lavoro alla Sagrada Família,21
al di fuori dalle tendenze dell’architettura
contemporanea, ma dividendo con i membri più
significativi del Noucentisme un modo di concepire
la cultura catalana.
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