Il
regista americano Paxton Winters è al Torino
Film Festival quando esplodono le due autobombe davanti
all'Ambasciata inglese in Turchia. E' sconvolto, come
tutti, e forse più di tutti: Winters infatti
ha scelto di vivere e lavorare ad Istanbul, e ai rapporti
fra turchi, americani e resto del mondo ha dedicato
il suo primo lungometraggio, Crude, in concorso
a Torino e già vincitore del Target Filmmaker
Award come Miglior film di fiction al Festival di
Los Angeles.
Crude racconta la storia di due ragazzi americani
che si uniscono a un amico turco per andare a intervistare
alcuni terroristi nella parte più aspra del
Paese, e finiscono per fingere di essere stati rapiti
dai fondamentalisti islamici (in un paese "musulmano,
non islamico", come ripetono spesso nel film)
per attirare su di loro l'attenzione della comunità
internazionale. Il film entra ed esce dalle macchiette
attualmente più comuni - l'americano becero,
l'islamico fanatico, il turco ambiguo che non sa bene
da che parte stare - e, pur sottoforma di commedia,
fa un ritratto impietoso dell'odierna situazione mondiale
- esplosiva, se mi si perdona l'espressione - senza
risparmiare nessuno, e riservando un occhio particolarmente
critico proprio agli americani.
"Ho
cercato di evitare gli stereotipi e nello stesso tempo
di raccontare come questi condizionino la nostra percezione
delle cose e delle persone", dice Winters, un
ragazzone yankee con i capelli rossi e una vaga somiglianza
con Van Gogh. "Soprattutto mi è sembrato
importante parlare di democrazia e delle responsabilità
che essa comporta."
Come mai ha scelto di vivere a Istanbul?
Ci sono capitato per caso, ma me ne sono innamorato
subito, anche perché è un punto di osservazione
alto, non solo dal punto di vista fisico, ma anche
da quello storico: una città di confine fra
Oriente e Occidente, per molti versi modernizzata
e nello stesso tempo molto legata alla tradizione.
Anche i personaggi che rappresento in Crude
non solo solo i contadini delle campagne che la gente
associa immediatamente alla Turchia ma i borghesi
ricchi della capitale, che hanno assorbito tutti i
miti dell'Occidente e soprattutto dell'America.
Come viene accolto un americano in Turchia?
Come un'ospite, e per i turchi il senso dell'ospitalità
è importantissimo. Ho molti amici là,
alcuni hanno recitato nel film, altri mi hanno aiutato
dietro le quinte. E comunque va detto che la maggior
parte della popolazione turca è di religione
musulmana ma è moderata e tollerante, l'estremismo
è l'eccezione, non la regola, e certamente
non è approvato dalla gente comune.
Secondo lei, la Turchia è pronta ad
entrare in Europa?
E' un paese maturo e molto ricettivo rispetto alle
influenze europee. Certo, porta con sé anche
un passato e una cultura orientali, ma proprio per
questo si presta come paese-ponte fra l'Europa e il
mondo ad Est.
Crude è il suo primo film
ambientato in Turchia?
Come lungometraggio di fiction sì, ma avevo
già girato alcuni corti e un documentario che
si concludeva a Istanbul, Carovan on the silk road,
resoconto della traversata, a piedi e a cavallo di
cammelli, lungo la Via della Seta: quindici mesi e
undicimila chilometri attraverso Cina, Iran, Iraq
e Afghanistan.
Un bel campionario di paesi "caldi"...
L'Iraq in particolare mi ha fatto venire voglia di
tornare, tant'è che questa estate ho girato
un altro documentario a Baghdad, intervistando alcune
famiglie irachene all'indomani della caduta del regime
di Saddam. La situazione mi è parsa molto disagiata,
ma la gente è speranzosa in un futuro migliore,
malgrado le difficoltà.
Come valuta la posizione dell'attuale governo
americano?
L'atteggiamento aggressivo e intransigente di Bush
mi provoca non pochi problemi, come espatriato: sono
fiero di essere americano, ma non di avere per presidente
uno che ragiona in modo draconiano - o con me, o contro
di me. Io sono contro Bush e pro America, e credo
che pensare per luoghi comuni e fare leva sulle paure
della gente sia il modo migliore per peggiorare la
situazione.
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