Il
primo museo interamente dedicato ai bambini è
il Children's Museum di Brooklyn, che risale al 1899.
Altri ne sono seguiti negli Stati Uniti e molto dopo
anche in Europa, a cominciare da la Cité des
Enfants, nato a Parigi nel 1988, all'interno della
Villette, la
Cité des Sciences et des Industries.
In Italia ci sono La
Città dei Bambini a Genova, L'Officina
dei Piccoli della Città della Scienza a
Napoli, il MUBA
a Milano, e Explora
a Roma.
Proprio sotto l'egida degli ultimi tre si è
tenuta recentemente a Roma la conferenza
internazionale di Hands on Europe, l'associazione
che raggruppa i Children's Museums europei, allo scopo
di "approfondire il ruolo dei musei dei bambini
nel panorama culturale e pedagogico dei singoli Paesi".
Ma
che cos'è un museo dei bambini? Quali finalità
si pone? E soprattutto, che importanza ha, per i musei
europei, collegarsi in un network? L'abbiamo chiesto
a Leigh Anne Stradesky, direttrice dell'Eureka!
di Halifax in Inghilterra, il museo per bambini più
importante d'Europa e uno dei pionieri - è
nato nel 1992, ha un'estensione di 4500 metri quadri
e accoglie annualmente oltre 300 mila visitatori.
"Negli ultimi dieci anni il numero dei musei
dei bambini è aumentato vertiginosamente",
esordisce la Stradesky. "Si tratta in assoluto
del settore in maggiore espansione, proprio in un
momento in cui molti musei tradizionali, in Europa
come negli Stati Uniti, stanno attraversando un periodo
di crisi e sono costretti a ridimensionarsi. Dunque
capita spesso che chi vuole aprire un nuovo children's
museum abbia bisogno di istruzioni, e si rivolga a
Hand on Europe o alle istituzioni più longeve,
come Eureka!, per chiedere consigli"
Qual è la linea guida principale che
fornite ai singoli musei?
Sembra banale dirlo, ma al centro dei musei per bambini
devono rimanere sempre i piccoli visitatori, e l'idea
guida dev'essere quella di aiutarli a capire il mondo
in cui vivono e il loro posto in quel mondo. Cerchiamo
di insegnare loro a sviluppare una serie di valori
e ad acquisire il piacere dell'apprendimento: del
resto il diritto alla conoscenza figura nella carta
dei diritti del bambino sancita dall'ONU. Ed è
necessario che la conoscenza sia veicolata attraverso
strutture adeguate alle esigenze dei bambini e al
loro potenziale creativo.
All'interno
di questa filosofia generale si sviluppano declinazioni
diverse: ci sono musei dei bambini più concentrati
sull'arte e altri più attenti alla scienza,
ad esempio. E quello della definizione non è
un problema solo di forma: a seconda della classificazione
- museo d'arte, science center, centro educativo -
vengono erogati i fondi da enti governativi diversi
- preposti alle cultura, alla ricera scientifica,
all'istruzione - da parte delle singole nazioni.
Esistono scambi di mostre fra i vari musei
europei?
Sì, ma purtroppo si tratta ancora di scambi
limitati all'iniziativa individuale e ai rapporti
interpersonali fra i direttori dei singoli musei:
l'Explora di Roma, ad esempio, ha sviluppato un rapporto
di interscambio con il museo dei bambini di Parigi.
Questi scambi dovrebbero diventare meno informali,
sia perché è difficile cambiare continuamente
contenuti per mantenere vivo l'interesse dei piccoli
frequentatori se si può fare conto solo sulle
esibizioni prodotte internamente, sia perché
è fondamentale far capire ai bambini di oggi
che fanno parte di un mondo grande e in via di globalizzazione.
Per questo, ad esempio, a Eureka! abbiamo inaugurato
una mostra sui bambini kossovari.
Qual è il rapporto di Hands on Europe
e dei singoli musei con l'Unione europea?
Purtroppo al momento è molto limitato. Per
questo il nostro obbiettivo è quello di coordinarci
in modo più efficiente, e soprattutto di guadagnare
maggiore credibilità come istituzioni culturali,
in modo da poter poi chiedere collettivamente il sostegno
dell'Unione.
Forse parte del problema è che i musei
dei bambini sembrano cambiare continuamente forma
e caratteristiche.
La
capacità di rimanere flessibili e creativi
ci permette di rispondere alle esigenze in continua
evoluzione del nostro pubblico, i bambini. Non vorrei
sacrificare questa specificità alla necessità
di diventare una struttura meglio definita, ma inevitabilmente
più rigida. Il trucco sta nel presentare le
nostre caratteristiche come punti di forza, non di
debolezza, al momento di avanzare richieste di fondi
all'Unione.
Potrebbe aiutare la vostra causa un resoconto
quantitativo dei risultati raggiunti dai musei?
Dal punto di vista quantitativo - ad esempio, quanti
bambini visitano il museo ogni anno, e quante volte
- i risultati ci sono già, e sono ben visibili.
Ma un museo dei bambini ottiene anche risultati non
facilmente quantificabili, e stiamo sperimentando
una serie di tecniche per valutare, ad esempio, il
cambiamento nel livello di apprendimento prima e dopo
la frequentazione del museo.
Per noi che ci lavoriamo, è evidente che una
visita al museo dei bambini ha un impatto forte sui
piccoli, ma dimostrarlo è più difficile.
Purtroppo per molti musei, alle prese con problemi
pratici impellenti, questa non è una priorità,
quindi la documentazione in nostro possesso è
ancora scarsa ed episodica.
Qual è l'obbiettivo ultimo di Hands
on Europe?
Quello di promuovere nei bambini un pensiero libero
dagli stereotipi e di prepararli ad una società
che richiede sempre maggiori capacità creative.
E quello di aiutare i musei dei bambini a formare
i cittadini dell'Europa che verrà.
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