"Non
esiste solo Ingmar Bergman". Lo dice Joseph Fares,
il regista libanese naturalizzato svedese che, con
le sue prime due commedie - Jalla! Jalla! e Kops,
attualmente sui grandi schermi italiani - è
diventato campine di incassi nel suo pease d'adozione,
e ha ottenuto un buon successo di pubblico e di critica
anche fuori dei confini scandinavi.
Fares parla in occasione della presentazione italiana
di Kops, ma anche nell'ambito della conferenza stampa
dedicata alla rassegna Nuovo cinema svedese
che si è tenuta alla Sala Trevi di Roma a inizio
novembre, e che ha proposto al pubblico italiano il
meglio della più recente produzione cinematografica
proveniente dalla Svezia. Accanto a Fares c'erano
Ase Kleveland, Direttore generale dell'Istituto del
Cinema Svedese, la regista Christina Olofson, che
con il suo film Hanna with an H concorre
all'European Awards, e il regista Mikael Hafstrom,
il cui lungometraggio Evil è il candidato
svedese al premio Oscar come miglior film straniero.
Questo gruppo era in Italia a rappresentare l'altra
faccia della Svezia (quella bergmaniana è già
ben illustrata, all'interno dell'evento collettivo
! - vedi articoli collegati- dalla retrospettiva omonima
dedicata al grande autore e della mostra Prima
che Ingmar diventasse Bergman. "Bergman
ci ha dato il suo punto di vista su ciò che
sono gli svedesi" concorda Ase Kleveland. "Ma
oggi esistono visioni più diversificate, rappresentate
dai registi qui presenti e da Lukas Moodysson, l'autore
di Fucking Amal, Together e Lilja 4-ever
(quest'ultimo proposto al pubblico italiano nell'ambito
della rassegna Nuovo cinema svedese, ndr).
Il cinema svedese ha una storia antica, che data dalla
prima decade del Novecento, e oggi detiene una posizione
molto forte sul mercato interno, soprattutto se paragonato
ad altre nazioni europee che sono invece fagocitate
dal cinema americano.
"In Svezia si producono 25-30 film l'anno, e
con quelli copriamo il 25-39% del mercato. Negli ultimi
quarant'anni il sostegno del governo svedese al cinema
è stato molto forte, sia dal punto di vista
finanziario che da quello culturale. Ed è un
sostegno che va nella direzione sia della produzione
che della distribuzione dentro e fuori la Svezia.
Perché una delle sfide principali per il cinema
europeo è proprio quella della distribuzione.
Per questo l'Istituto studia da vicino le nuove tecnologie:
entro i prossimi cinque anni avremo creato una rete
di distribuzione alternativa che non passerà
dalle sale cinematografiche ma dai monitor dei computer.
.
"Fondamentale
è l'insegnamento. Fin dalle elementari, il
cinema ha lo stesso spazio nei curriculum delle scuole
svedesi della letteratura e del teatro. Gli studenti
studiano storia del cinema e imparano anche a girare
in digitale: il boom di nuovi talenti registici in
Svezia è una diretta conseguenza di questo
approccio pragmatico all'insegnamento. Esistono venti
centri regionali per film e video, e i programmi scolastici
ottengono fondi sia dall'Istituto che dalle amministrazioni
regionali. Gli insegnanti vengono formati ad hoc attraverso
la Scuola superiore di pedagogia. E l'Istituto del
Cinema Svedese ha un sito web, un network ampio, materiale
accessibile.
"Noi crediamo che l'interesse verso l'istruzione
cinematografica nelle scuole non sia solo svedese
ma sia estensibile all'intera Europa", conclude
la Kleveland. "Per questo, grazie al sostegno
dell'Istituto, 660.000 studenti svedesi ogni anno
vedono film europei come parte della loro formazione.
E per questo, come Istituto, stiamo creando un network
europeo che si incontrerà per la prima volta
a febbraio del prossimo anno a Stoccolma proprio per
discutere della necessità di insegnare cinema
in tutte le scuole dell'Unione"..
Anche Christina Olofson è molto attiva sul
fronte comunitario: "Faccio parte della Federazione
dei registi europei (Federation of European Film Directors)
e sono convinta che sia importante fare film in Europa
che non cerchino di competere con l'America. L'industria
cinematografica svedese, come quelle di altre nazioni
europee, è però molto piccola e molto
poco strutturata. Io sono produttrice di me stessa,
e per me trovare finanziamenti, nonostante la buona
volontà del mio governo, è ancora il
problema principale."
"La differenza fra cinema europeo e cinema americano
sta nel fatto che oltreoceano il cinema è prevalentemente
un business, mentre in Europa siamo più interessati
a raccontare storie umane", le fa eco Joseph
Fares.. "Non è che una cosa sia meglio
dell'altra: loro sono bravi a fare i loro film e noi
i nostri, diventa drammatico solo quando cerchiamo
di imitarci a vicenda -o dico io che in Kops
ho girato alcune scene d'azione alla Die hard,
ma l'ho fatto esplicitamente come un omaggio ai film
d'azione americani, e con tutta l'ironia che comporta
ambientare scene da poliziesco USA in un posto tranquillo
come la Svezia.
"L'errore più comune da parte dei cineasti
europei è quello di fare troppo gli artisti
e dimenticarsi che esiste un pubblico. Io cerco di
stare nel mezzo: raccontare storie umane che parlino
agli spettatori. Inoltre, poiché sono nato
e cresciuto in Libano, vedo le cose in modo diverso
rispetto a un europeo, ed è forse è
proprio il mio punto di vista da outsider a rendere
i miei film originali.
A chi gli chiede se, in quanto libanese, ha avuto
problemi ad essere accettato dagli svedesi, Fares
spiega: "Ho avuto problemi soprattutto burocratici
ad ottenere la cittadinanza: me l'hanno data solo
sei mesi fa, nonostante viva in Svezia da 16 anni.
E' stata dura, ma cerco di lasciarmi l'amarezza alle
spalle. Comunque resterò sempre un apolide:
quando sono con gli svedesi mi sento libanese e quando
sono coi libanesi mi sento svedese."
Fares si sente parte della nuova generazione post-Bergman:
"I nostri film non sono bergmaniani, anche solo
perché si rapportano alla società di
oggi invece che a quella degli anni Cinquanta. Molti
miei amici hanno appena finito di girare il loro primo
lungometraggio attraverso punti di vista molto originali.
Sulla base di quello che ho visto, so che nel giro
di un paio d'anni succederano grandi cose nel cinema
svedese."
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