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Hobsbawm e “Il Tempo descritto da una vita”

Emanuela Evangelisti

Eric John Hobsbawm, Anni interessanti. Autobiografia di uno storico, Rizzoli, pagg. 507, Euro 20,00c

A distanza di poco più di un anno dall’uscita del suo ultimo lavoro in Italia, Anni interessanti. Autobiografia di uno storico, lo scorso 7 ottobre Eric John Hobsbawm ha salutato ufficialmente, presso la libreria Foyles di Charing Cross Road a Londra, la pubblicazione in paperback dello stesso. Anni interessanti è un’autobiografia dal sapore storiografico in cui l’autore, oltre che protagonista, è anche spettatore di eventi che hanno segnato in maniera indelebile la storia e la coscienza dell’umanità. L’unione di questi due aspetti, che Hobsbawm chiama “consapevolezza di sé”, – “cioè la capacità di vedere le cose sia dal proprio punto di vista sia da quello altrui” – è, secondo lo studioso, "una parte importante del lavoro dello storico".

Se la storia è lo studio degli avvenimenti visti dall’esterno e le memorie comportano invece un punto di vista interiore, quelle di Hobsbawm possono ben essere definite “memorie storiche” ed essere lette come “un’introduzione al secolo più straordinario della storia del mondo attraverso il percorso di un essere umano la cui vita non sarebbe potuta accadere in alcuna altra epoca”, come recita la prefazione del libro.

Di fronte a un pubblico eterogeneo e numeroso, più e meno giovane, lo Hobsbawm ha esposto i tratti essenziali del suo lavoro, osservando come nella sua autobiografia abbia deliberatamente trascurato alcuni aspetti della propria vita privata per descrivere piuttosto un quadro storico delimitato dall’esperienza personale, diretta o desunta dalla professione, della modernità. Con parole sue, “It’s the time illustrated by the life rather than the life illustrated by the time”.

Così l’autobiografia non segue un ordine lineare, cronologico o narrativo, ma procede piuttosto per sezioni. "Ho ottantasei anni", dice Hobsbawm. "Ciò significa che ho vissuto più a lungo di almeno il novantanove per cento degli esseri umani oggi viventi. A dirvi la verità, io stesso avverto talvolta un senso d’irrealtà quando mi volto indietro a guardare gli eventi della mia vita. Eppure, se voi siete troppo giovani per conoscere poco più di una frazione del terribile secolo a cui l’umanità è appena sopravvissuta, allora può esservi utile vedere come è stato attraverso il ricordo di una persona come me. Il mio lavoro vuole dare alla gente spunti di riflessione sul presente. Vi chiedo dunque di prendere ciò che ho scritto come verità e autocritica a un tempo.

"L’età, certamente, presenta un altro vantaggio: dà un senso di obbiettività. Non viviamo in un mondo incantato. Siamo passati attraverso terribili ma fondamentali cambiamenti. Nel corso della mia vita ho visto scomparire il vecchio impero coloniale d’Europa, che sembrava più che stabile quando ero un bambino. Ho visto la nascita e la caduta delle ultime ambizioni europee di conquista mondiale: Hitler, il Comunismo, le conseguenze internazionali della Rivoluzione d’ottobre. Ci sono persone, nella Washington del presidente Bush, che credono che nulla sia all’altezza dell’Impero della guerra permanente degli USA. Persone della mia età ed esperienza storica sanno invece che gli imperi, quasi certamente, non sopravvivono."

Dopo aver sottolineato l’importanza di quella che John Dewey chiamerebbe “infanzia prolungata”, cioè la capacità di continuare a imparare dall’esperienza, Hobsbawm ha evidenziato la sua ben nota vocazione marxista, focalizzando sull’importanza che il comunismo ha rappresentato per la sua generazione. "Per coloro che non hanno vissuto quella che io ho chiamato The Age of Catastrophe è molto difficile capire perché la rivoluzione d’Ottobre ha avuto tanta importanza per la mia epoca. Essa ha rappresentato un momento d’imprescindibile valore in un periodo storico che richiedeva un cambiamento definitivo. Le condizioni oggi sono completamente diverse e i giovani non hanno e non possono avere coscienza di ciò che è stato."

Hobsbawm racconta un aneddoto: "A una cena, tre o quattro gentiluomini d’affari, dopo aver mangiato con gusto e attenzione, e aver bevuto con un po’ meno attenzione, guardandosi l’un l’altro con implicita approvazione si sono detti: “Cantiamo!”, e questi tre milionari si sono ritrovati a cantare insieme, spontaneamente, la canzone della loro gioventù: l’Internazionale. C’è un gap profondo tra la nostra generazione e quella di oggi. Anche con i miei stessi figli non è stato facile condividere la mia esperienza. Il compito dello storico è proprio quello di raccontare il passato e trarne un senso per le nuove generazioni".

Eppure, secondo Hobsbawm, c’è una linea sottile che lega le generazioni e che può essere individuata solo assumendo un punto di vista distaccato, la sorta di autoironia che lo storico ha ampiamente dimostrato di avere durante questo incontro. Ha infatti affermato in tutta serietà: "Nella storia del Ventesimo secolo non c’è solo un Marx, il grande Karl. Ce ne sono altri tre: Groucho, Chico e Harpo. Spero di essere stato un Groucho marxista, perché credo sia essenziale riconoscere l’assurdità, il surrealismo e il black humour della realtà e proprio in questo riposi un aspetto che accomuna le generazioni".

In conclusione Hobsbawm ha ribadito l’importanza della critica al capitalismo e ha spiegato perché ha continuato a essere comunista anche dopo il 1956, pur riconoscendo i cambiamenti che le sue idee hanno subito nel corso del tempo. È stata, ha detto, una questione di coerenza con la sua fede in una rivoluzione mondiale, fede che prescindeva dall’esperienza circoscritta dell’Unione Sovietica, che pure aveva avuto il merito di dimostrare la possibilità di attuare una rivoluzione in senso socialista.

Questo aspetto accomuna Hobsbawm ai comunisti extra occidentali, più che a quelli europei, nonostante la sua simpatia per il comunismo italiano. Ed è in paesi come la Gran Bretagna e gli Stati Uniti che invariabilmente gli è stata posta la domanda sul perché sia rimasto nel Partito dopo i processi di destalinizzazione. In altre parti del mondo, come l’America Latina, o il Sud Africa o l’India, precisa lo studioso, “nessuno mi fa questa domanda, così come sarebbe ridicolo farla a Mandela, o a quelli che hanno combattuto con Mandela. Loro non potevano lasciare il Partito in funzione di quello che era successo o non successo nell’Unione Sovietica. Avevano ragioni diverse per rimanere comunisti”.

Per chiudere il suo intervento, Hobsbawm ha osservato che il cambiamento sperato non è avvenuto nel modo previsto dalla sua generazione e che, se esso sarà mai conseguito, non accadrà neanche attraverso l’atteggiamento del governo statunitense che vuole inglobare il resto del mondo.

Alla domanda avanzata da qualcuno tra il pubblico sulla possibilità di realizzare il cambiamento attraverso mezzi democratici, il professore ha risposto osservando che, qualunque sia il modo, esso non può essere dedotto da principi generali, ma applicato in funzione di contesti specifici. "È chiaro che in questo paese l’idea di realizzare il cambiamento attraverso sistemi rivoluzionari non è in atto. D’altra parte, in zone come l’America Latina, i cambiamenti politici sono generalmente avvenuti attraverso mezzi violenti. Non può quindi che dipendere dalle circostanze."

"Credo che il problema fondamentale oggi sia quello di riconoscere come la società sia ampiamente concentrata sui mass media. La situazione più pericolosa è quella che si riscontra in paesi come l’Italia dove l’uomo eletto a capo del governo è allo stesso tempo il proprietario della maggior parte dei canali televisivi ed è in grado di controllare gli altri. Gli italiani si tranquillizzano pensando che la stampa rimane comunque libera, ma il signor Berlusconi sa bene che ciò che conta non è quello che si legge sui giornali – che per di più gli italiani non leggono abbastanza –, ma ciò che si vede in televisione".

I media, secondo Hobsbawm, potrebbero ben favorire l’idea del cambiamento, del miglioramento delle società, del superamento delle barriere culturali e della creazione di un “mondo migliore”. Potrebbero cioè essere degli ottimi mezzi di azione democratica, se non fossero, come sono, strumenti di potere nelle mani di quei pochi che sanno come volgere a proprio vantaggio le dinamiche di omologazione e conformismo insite nei processi di comunicazione di massa.

Una constatazione che, secondo Hobsbawm, non deve peraltro indurci a un’accettazione passiva di ciò che è, ovvero a un adattamento acritico che alimenti inconsapevolmente l’appiattimento sociale, ma, per concludere citando le ultime parole di Anni interessanti, lette dall’autore stesso al termine di questo incontro: "È ancora necessario denunciare e combattere l’ingiustizia sociale. Il mondo non può migliorare da solo. Thank you".

 

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