239 - 01.11.03


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"Fellini era un intero continente"

Vincenzo Mollica con Paola Casella

Il 31 ottobre 1993 moriva Federico Fellini: a dieci anni dalla sua scomparsa, la città di Roma dedica al grande regista un ciclo di iniziative in segno di omaggio sotto il titolo collettivo "La Roma di Fellini". Si tratta di concerti, proiezioni di film, installazioni, presentazioni di volumi. E una mostra, che porta lo stesso nome della rassegna, ospitata al Complesso del Vittoriano fino al 15 novembre. Un'ampia raccolta di immagini e testimonianze che raccontano il regista de La dolce vita in modo inedito e commovente. "La Roma di Fellini" verrà riproposta a Parigi all'Hotel de Ville dal febbraio al maggio 2004: ce ne parla Vincenzo Mollica, che ne è curatore insieme ad Alessandro Nicosia.

Qual è il significato di questa trasferta parigina?

"La Roma di Fellini" va a Parigi grazie a un accordo di scambio tra il sindaco di Roma, Valter Veltroni, e il sindaco della capitale francese, Bertrand Delanoe, che fra le varie mostre del calendario autunnale romano ha scelto proprio questa, senza richiedere alcuna modifica, perché ha capito che lo spirito non era quello di mettere in evidenza la romanità di Federico, ma quello di ricreare lo scenario che Fellini aveva scelto per le sue immaginazioni, trasformando una città reale in un luogo che, macinato da lui, è diventato felliniano. Credo che nessuno possa più pensare alla Fontana di Trevi senza Anita Ekberg dentro.

Qual era il rapporto fra Fellini e la Francia?

Fellini è stato molto amato dai francesi: non a caso l'ultimo festival di Cannes gli ha dedicato un'intera retrospettiva - una cosa bellissima, i suoi film venivano proiettati sul mare, e chi si affacciava sulla Croisette poteva assistere a La dolce vita, il Satyricon, Roma. E la Francia era un paese che Federico amava. Uno dei suoi ricordi più belli era la Palma d'oro che gli era stata assegnata, sempre a Cannes, quando era presidente della giuria Georges Simenon. E quando Fellini ultimò Intervista, il Festival di Cannes - quell'anno il presidente era Yves Montand - istituì appositamente un premio speciale per darlo a lui.

Secondo lei Fellini è comprensibile in tutto il mondo?

Assolutamente, credo che non ci sia Paese che non l'abbia amato, dal Giappone alla Russia, dall'America alla Spagna. Non a caso in tutto il mondo quando si stila il classico elenco dei cento film più importanti della storia del cinema qualche film di Fellini c'è sempre dentro. Come tutti i grandi geni, Fellini non è circoscrivibile. Non puoi chiuderlo in un'isola, perché lui era un continente.

Fellini ha mai lavorato all'estero?

Gliel'avevano proposto tante volte, soprattutto gli americani, ma lui si distaccava malvolentieri da Cinecittà, in particolare dal teatro 5 di Cinecittà, il luogo dove ha creato tutte le sue immaginazioni, reinventando persino Via Veneto, anche se la vera Via Veneto era a pochi chilometri di distanza. Gli piaceva l'idea di tirare su ogni volta un piccolo tendone da circo, fare il suo spettacolo, sbaraccare e andare via. Gli piacevano le maestranze italiane, voleva lavorare con le persone con cui si trovava bene, e in Italia aveva un suo "archivio delle facce".
Ogni tanto prendeva i suoi attori anche dall'estero, per esempio ha spesso usato attori inglesi, ma partiva sempre da una faccia. Quando doveva girare Casanova, ad esempio, fece prima il disegno di come se lo immaginava e poi andò a cercare una faccia che corrispondesse al ritratto. Ci provò con Alberto Sordi ma vide che non funzionava, allora trovò Donald Sutherland, che già di partenza assomigliava al suo disegno, e in più si sobbarcava quelle tre ore di trucco al giorno per trasformarsi nel grande seduttore.

Come ha organizzato questa mostra?

Volevo che Fellini ne fosse al centro, totalmente. Spesso Federico si è nascosto dietro ai suoi film e ai suoi disegni, adesso volevo che fosse lui il protagonista, perché a dieci anni di distanza è lui che ci manca, il suo sguardo sul mondo, il suo modo di commentare la vita. Volevo che anche i giovani che non lo conoscono affatto potessero dire: Ao, guarda com'era questo tipo. Per questo, nei locali della mostra, abbiamo fatto montare quattro schermi dove si proiettano i film nei quali Fellini si racconta, o sono gli altri a raccontarlo. E questi quattro schermi sono sistemati al centro di una cornice di 300 foto che lo ritraggono fuori dagli schemi consueti. Abbiamo scelto foto anche assolutamente ordinarie - lui che cucina la pasta, per esempio - che lo raffigurano nella quotidianità, una quotidianità che non si era mai vista. Come non si erano mai viste le quattro foto di lui con Pasolini, le dieci con Anna Magnani.

Che significato ha per lei, che è stato amico di Fellini, questa esibizione?

E l'occasione di raccontare Federico come l'ho conosciuto. Siamo stati amici per gli ultimi quindici anni della sua vita, e spesso mi sento come un cronista che ha visto passare un transatlantico e la gente gli chiede continuamente: com'era quel transatlantico? Lui prova a descriverlo, ma non può mai dare una risposta che lo includa tutto. "La Roma di Fellini" è il mio modo di dire: Federico, per me, era così.

 

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