Il
31 ottobre 1993 moriva Federico Fellini: a dieci anni
dalla sua scomparsa, la città di Roma dedica
al grande regista un ciclo di iniziative in segno
di omaggio sotto il titolo collettivo "La Roma
di Fellini". Si tratta di concerti, proiezioni
di film, installazioni, presentazioni di volumi. E
una mostra, che porta lo stesso nome della rassegna,
ospitata al Complesso del Vittoriano fino al 15 novembre.
Un'ampia raccolta di immagini e testimonianze che
raccontano il regista de La dolce vita in modo inedito
e commovente. "La Roma di Fellini" verrà
riproposta a Parigi all'Hotel de Ville dal febbraio
al maggio 2004: ce ne parla Vincenzo Mollica, che
ne è curatore insieme ad Alessandro Nicosia.
Qual è il significato di questa trasferta
parigina?
"La Roma di Fellini" va a Parigi grazie
a un accordo di scambio tra il sindaco di Roma, Valter
Veltroni, e il sindaco della capitale francese, Bertrand
Delanoe, che fra le varie mostre del calendario autunnale
romano ha scelto proprio questa, senza richiedere
alcuna modifica, perché ha capito che lo spirito
non era quello di mettere in evidenza la romanità
di Federico, ma quello di ricreare lo scenario che
Fellini aveva scelto per le sue immaginazioni, trasformando
una città reale in un luogo che, macinato da
lui, è diventato felliniano. Credo che nessuno
possa più pensare alla Fontana di Trevi senza
Anita Ekberg dentro.
Qual
era il rapporto fra Fellini e la Francia?
Fellini è stato molto amato dai francesi:
non a caso l'ultimo festival di Cannes gli ha dedicato
un'intera retrospettiva - una cosa bellissima, i suoi
film venivano proiettati sul mare, e chi si affacciava
sulla Croisette poteva assistere a La dolce vita,
il Satyricon, Roma. E la Francia era un paese che
Federico amava. Uno dei suoi ricordi più belli
era la Palma d'oro che gli era stata assegnata, sempre
a Cannes, quando era presidente della giuria Georges
Simenon. E quando Fellini ultimò Intervista,
il Festival di Cannes - quell'anno il presidente era
Yves Montand - istituì appositamente un premio
speciale per darlo a lui.
Secondo lei Fellini è comprensibile
in tutto il mondo?
Assolutamente, credo che non ci sia Paese che non
l'abbia amato, dal Giappone alla Russia, dall'America
alla Spagna. Non a caso in tutto il mondo quando si
stila il classico elenco dei cento film più
importanti della storia del cinema qualche film di
Fellini c'è sempre dentro. Come tutti i grandi
geni, Fellini non è circoscrivibile. Non puoi
chiuderlo in un'isola, perché lui era un continente.
Fellini ha mai lavorato all'estero?
Gliel'avevano proposto tante volte, soprattutto gli
americani, ma lui si distaccava malvolentieri da Cinecittà,
in particolare dal teatro 5 di Cinecittà, il
luogo dove ha creato tutte le sue immaginazioni, reinventando
persino Via Veneto, anche se la vera Via Veneto era
a pochi chilometri di distanza. Gli piaceva l'idea
di tirare su ogni volta un piccolo tendone da circo,
fare il suo spettacolo, sbaraccare e andare via. Gli
piacevano le maestranze italiane, voleva lavorare
con le persone con cui si trovava bene, e in Italia
aveva un suo "archivio delle facce".
Ogni tanto prendeva i suoi attori anche dall'estero,
per esempio ha spesso usato attori inglesi, ma partiva
sempre da una faccia. Quando doveva girare Casanova,
ad esempio, fece prima il disegno di come se lo immaginava
e poi andò a cercare una faccia che corrispondesse
al ritratto. Ci provò con Alberto Sordi ma
vide che non funzionava, allora trovò Donald
Sutherland, che già di partenza assomigliava
al suo disegno, e in più si sobbarcava quelle
tre ore di trucco al giorno per trasformarsi nel grande
seduttore.
Come
ha organizzato questa mostra?
Volevo che Fellini ne fosse al centro, totalmente.
Spesso Federico si è nascosto dietro ai suoi
film e ai suoi disegni, adesso volevo che fosse lui
il protagonista, perché a dieci anni di distanza
è lui che ci manca, il suo sguardo sul mondo,
il suo modo di commentare la vita. Volevo che anche
i giovani che non lo conoscono affatto potessero dire:
Ao, guarda com'era questo tipo. Per questo, nei locali
della mostra, abbiamo fatto montare quattro schermi
dove si proiettano i film nei quali Fellini si racconta,
o sono gli altri a raccontarlo. E questi quattro schermi
sono sistemati al centro di una cornice di 300 foto
che lo ritraggono fuori dagli schemi consueti. Abbiamo
scelto foto anche assolutamente ordinarie - lui che
cucina la pasta, per esempio - che lo raffigurano
nella quotidianità, una quotidianità
che non si era mai vista. Come non si erano mai viste
le quattro foto di lui con Pasolini, le dieci con
Anna Magnani.
Che significato ha per lei, che è
stato amico di Fellini, questa esibizione?
E l'occasione di raccontare Federico come l'ho conosciuto.
Siamo stati amici per gli ultimi quindici anni della
sua vita, e spesso mi sento come un cronista che ha
visto passare un transatlantico e la gente gli chiede
continuamente: com'era quel transatlantico? Lui prova
a descriverlo, ma non può mai dare una risposta
che lo includa tutto. "La Roma di Fellini"
è il mio modo di dire: Federico, per me, era
così.
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