Il
fallimento del referendum svedese sull’adesione
all’euro non è né una tragedia
né una sorpresa. Certo, quel 56,2% di “no”
è un dato rilevante, ma meno di dieci anni
fa la ben più importante adesione all’Unione
era stata approvata dalla Svezia con appena il 52%
dei voti.
Ma perché gli svedesi non hanno voluto abbandonare
la “corona”? Il ministro delle Finanze
di Stoccolma Bosse Ringholm e il premier finlandese
Matti Vanhanen hanno dato la colpa al mancato rispetto
del Patto di stabilità da parte di Germania
e Francia. Il problema certo esiste, e rischia di
minare la credibilità dell’euro soprattutto
agli occhi dei paesi “virtuosi”. Tuttavia
sembra una motivazione troppo tecnica per spiegare
un voto popolare che ha visto una così alta
affluenza alle urne, ben l’81,2%: come ha affermato
il commissario europeo agli Affari monetari ed economici
Pedro Solbes “sarebbe come dire che non si compra
una macchina perché alcuni non sono capaci
di rispettare le regole del codice della strada”.
La vittoria del “no” va piuttosto addebitata
ad un ragionamento in cui si sono mescolati benessere
e nazionalismo. Gli svedesi hanno creduto di perdere
la propria indipendenza in materia economica, ovvero
il proprio generoso sistema di protezione sociale.
I notevoli aumenti dei prezzi che, non appena è
entrato in circolazione l’euro, hanno colpito
i paesi dell’Unione, hanno certamente contribuito
a spaventare gli svedesi, che temono di non poter
mantenere il proprio rispettabile tasso di crescita
in una unione monetaria che vede le maggiori economie
continentali in fase di depressione. Come i britannici,
gli svedesi sono gelosi della propria indipendenza
in materia di politica fiscale, ed è per questo
che contadini e pensionati hanno votato contro le
indicazioni dell’establishment, degli industriali
e dei principali partiti (solo 5 membri del governo
socialdemocratico si erano espressi per il “no”).
“Ha
vinto la paura”, ha commentato a caldo Romano
Prodi, mentre il premier svedese Goran Persson ha
definito il no all'euro “una tragedia per la
Svezia”: “In questo risultato possiamo
vedere un profondo scetticismo verso l’intero
progetto dell’euro tra la gente svedese –
ha aggiunto il premier che tanto aveva puntato su
questo appuntamento – E’ stata una chiara
espressione del volere popolare”. Il ministro
della cultura, Ulrika Messing, ha detto che “la
paura del nuovo è stata maggiore di quello
che ci si attendeva”.
Non c’è stato alcun “effetto Lindh”,
ovvero il voto non è stato influenzato dall’omicidio
di Anna Lindh, il ministro degli Esteri che tanto
si era battuta per la vittoria del sì e che
l’europeista Joschka Fischer ha definito “una
grande europea, un grande ministro degli esteri ed
anche un’ottima amica”. Non è successo
insomma come nel maggio 2002, quando nella vicina
Olanda l’emozione per l’omicidio di Pym
Fortuyn portò, pochi giorni dopo, al trionfo
elettorale della lista che portava il suo nome. Gli
svedesi hanno evidentemente votato con convinzione
(anche se un milione di elettori aveva già
votato per posta, prima dell’omicidio), e questo
rafforza il significato del risultato.
Tuttavia non c’è da fare drammi, perché
“la Svezia – come ha scritto The Economist
– non potrà rimanere fuori per sempre”.
A differenza di Gran Bretagna e Danimarca, infatti,
non chiese la possibilità, al momento della
firma del Trattato di Maastricht, di non adottare
l’euro, e prima o poi dovrà accettarlo.
La Svezia, neutrale nelle ultime due guerre mondiali
e oggi ancora fuori dalla Nato, ha scelto di rimandare
l’addio alla propria moneta.
La cattiva notizia non è qui. La cattiva notizia
è che, mentre si parla tanto di allargamento
ad est (che invece procede bene, almeno a leggere
i risultati dei referendum sull’adesione, l’ultimo
dei quali si è svolto in Estonia lo stesso
14 settembre), pare che oggi ci si debba cominciare
a preoccupare seriamente della scarsa popolarità
che l’euro e l’Ue riscontrano nel Nord
del continente. Norvegia e Islanda sono del tutto
fuori, l’Irlanda non brilla per euro-entusiasmo
(come dimostrò l’iniziale bocciatura
del Trattato di Nizza), Svezia Danimarca e Gran Bretagna
confermano di non volere partecipare all’avventura
dell’euro.
La preoccupazione (o la speranza, a seconda dei punti
di vista) è che questo risultato faccia ritardare
ancora di più il referendum con cui Danimarca
e Gran Bretagna decideranno se aderire o meno all’euro.
Nella Danimarca di Rasmussen è passato ancora
troppo poco tempo dal fallimento del referendum del
settembre 2000. Nel Regno Unito l’attuale impopolarità
di Blair rende oggi un’eventuale consultazione
ancora più improbabile, anche se il ministro
degli esteri Jack Straw ha assicurato che il voto
svedese non condizionerà le scelte del suo
governo. Intanto gli euro-scettici esultano.
Il Daily Telegraph ha commentato soddisfatto e maligno:
“Nelle rare occasioni in cui alla gente comune
dell’Unione Europea viene data l’opportunità
di votare su qualcosa che abbia a che fare con essa,
i cittadini sembrano godere nel rimproverare Bruxelles
e nel dare brucianti schiaffi in faccia ai loro establishment
politici”. The Economist ha preso spunto dal
voto svedese per attaccare di nuovo la bozza Giscard:
“Non ci sono premi per chi indovina cosa pensino
gli svedesi della bozza di Costituzione così
come è oggi”. E lo stesso Daily Telegraph
non si è fatto sfuggire l’occasione:
“La contrarietà svedese potrebbe essere
solo un assaggio del prossimo round di referendum
sulla nuova Costituzione europea”.
Mentre si chiude lentamente il fronte orientale, l’Unione
Europea scopre un preoccupante fronte di contestazione
a settentrione. Il voto svedese sembra quasi richiamare
l’attenzione sulla necessità di una nuova
“campagna”, quella dell’allargamento
a Nord.
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