“Ormai
l’impresa è fatta”dice Luigi Bonanate,
presidente del Corso di laurea in Scienze internazionali
e diplomatiche all’Università di Torino
ed esperto di relazioni internazionali. Sciolta la
Convenzione e in attesa della Conferenza Intergovernativa,
abbiamo sotto gli occhi il testo provvisorio della
Costituzione dell’Unione europea. “Un
testo che ha molti aspetti innovativi e per certi
versi sorprendenti. Ora si tratta di lavorarci ancora
su senza inciampare nel rischio di rovinarne le parti
migliori e più originali”.
Finita la Convenzione il dibattito sulla costituzione
si è animato tra parole di soddisfazione, richieste
di ampie correzioni e voci di sconsolata delusione.
Professor Bonanate, che sta succedendo?
Sta succedendo quello che secondo me era
prevedibile, cioè un movimento di riassestamento
post tellurico. Quando lo scorso luglio la Convenzione
ha terminato il lavoro per cui è nata, nessuno
si aspettava che venisse emanato un testo così
articolato e complessivo. La Conferenza di Nizza del
dicembre 2000 si concluse con l’idea di promuovere
delle istanze di dibattito e di discussione a tutti
i livelli della società civile europea, non
si parlò di pubblicare il testo di una costituzione,
ma di ragionarci su. La Convenzione diretta da Giscard
d’Estaing invece ha marciato con molta maggiore
intensità di quanto fosse inteso dal mandato,
e questo ha immediatamente dato un sapore politico
più che giuridico all’impresa.
Cosa intende esattamente quando parla di
“sapore politico”?
Voglio dire che il progetto di costituzione è
finito nelle mani di grandi uomini politici anziché
di giuristi e non ha seguito l’idea di un dibattito
pubblico della società civile. I membri della
Convenzione sono stati scelti tra personalità
politiche che hanno portato all’interno del
progetto istanze politiche ideologiche prima che culturali.
La conseguenza qual è stata?
Innanzitutto di aver prodotto un risultato più
solido e compatto rispetto alle attese iniziali, infatti
è scaturito un testo molto ricco e articolato.
Ovviamente, e qui emerge il lato politico, sui punti
più delicati non si poteva far altro che far
finta di niente, saltando e rimandando lo scioglimento
dei nodi più complessi.
Ci faccia un esempio di questa complessità
rimandata.
Il nodo fra tutti più complesso è quello
che chiama in causa la questione dell’unanimità
o meno nei processi decisionali. E’ un punto
complicato perché ne nasconde molti altri,
primo fra tutti il peso della rappresentatività
degli stati. Tutti problemi che vengono ora alla ribalta
dell’opinione pubblica e che a me sembrano mascherati
con la questione delle radici culturali. In realtà
il dibattito sui valori mi pare un’operazione
puramente ideologica, nel senso più deteriore
del termine. Mi sembra un mascheramento di altri problemi.
Dalla seconda metà del Settecento fino ad oggi,
nessuna delle costituzioni che conosciamo è
mai inciampata sul problema delle radici cristiane,
giudaiche o islamiche di una comunità. Questo
mi sembra davvero l’aspetto più sgradevole
delle discussioni intorno alla costituzione europea.
Quando parlo di assestamento post tellurico, mi riferisco
al fatto che il testo della Convenzione chiama in
causa questioni complesse e molto importanti per il
futuro dell’Unione sulle quali non esiste una
soluzione compiuta. L’intervento di Romano Prodi,
ad esempio, che ha affermato la necessità di
fare ampie modifiche alla Costituzione prima che venga
definitivamente approvata, ha riportato in primo piano
la questione della rappresentatività degli
stati e dell’unanimità o meno del voto.
La Convenzione ha fatto finta di niente su questi
temi rinviando ad altri la decisione. Ma se affidiamo
alla Conferenza intergovernativa la risposta ai problemi
rimasti insoluti si rischia una soluzione esclusivamente
politica e non fondata in termini di diritto costituzionale
o di logica strutturale di un testo complesso.
Non
dovrebbe essere allora la Conferenza intergovernativa,
che è un organismo puramente politico, a formulare
la versione definitiva della Costituzione?
La mia posizione è leggermente più complessa.
Il testo così com’è non è
affatto male, contiene alcuni aspetti che rappresentano
un’effettiva crescita della civiltà giuridica
europea. Esiste però il rischio di rovinarne
i tratti positivi. Questo è il rischio della
politica: quando si presenta in un parlamento un progetto
di legge si sviluppa un dibattito dal quale possono
venir fuori dei compromessi, piccoli scivolamenti
che non sempre migliorano la proposta iniziale; a
volte capita anche che un disegno di legge esca da
un dibattito parlamentare in una versione peggiore
di quando è stato presentato.
Le faccio un esempio attingendo alla disciplina a
me più consona, la politica internazionale.
A mio parere la costituzione così come è
ora rappresenta un testo straordinariamente avanzato.
Se leggiamo le parole e gli articoli che riguardano
la posizione e l’atteggiamento dell’Unione
rispetto al resto del mondo, si propone esclusivamente
- e positivamente - l’ottica di una forza civile
e non militare, che non conta sulla muscolarità
dell’apparato bellico, che non avanza il modello
di un’Europa che si presenta agli occhi del
mondo come una potenza, nel senso tradizionale della
parola, ma di un soggetto che si offre come struttura
di mediazione e dibattito nelle grandi questioni internazionali.
La logica, quindi, non è quella di contrapporsi
a una grande potenza, come ad esempio gli Stati Uniti,
per bilanciarne la capacità di intervento militare.
L’idea che è alla base della Costituzione
è il rifiuto della logica della potenza fondata
sulle armi e sulla forza a favore della creazione
di un soggetto che non ha precedenti nella storia
e che non si propone di diventare una grande potenza.
Nessuna costituzione al mondo propone oggi uno stato
come pure essenza pacifica e pacificatrice. Questo
è un aspetto estremamente positivo.
Affidare a uno strumento politico il compito
di ritoccare e correggere il lavoro della Convenzione
potrebbe allora rivelarsi un errore, una scelta che
potrebbe peggiorare quello che invece si vuole migliorare.
Lenin vedeva nella situazione politica che lo ha visto
protagonista il pericolo di fare un passo avanti e
due indietro, intendendo che a voler andare troppo
in avanti si rischia di ricadere all’indietro.
La mia ipotesi sull’Unione europea, parafrasando
Lenin, è che faccia due passi avanti e uno
indietro. Cioè l’Ue riesce a volte ad
andare più avanti di quanto i suoi stessi artefici
riescano a immaginare. La Costituzione, come gli accordi
di Maastricht, è stato un grandissimo passo
avanti; adesso ne stiamo facendo uno indietro. A saltare
tropo lontano si rischia di non avere gambe abbastanza
forti per reggere all’impatto dell’atterraggio.
Non mi spaventa affatto che il dibattito sulla costituzione
sia caratterizzato da scosse e difficoltà perché
è altamente improbabile che si possa, e si
voglia, rovinare tutto quanto vi è scritto
di buono e di innovativo. Può esserci qualche
arretramento, qualche alleggerimento dei punti più
suggestivi e più significativi, ma ormai l’impresa
è fatta.
E per quanto riguarda invece i tempi dell’approvazione
definitiva?
Crede che l’Unione avrà una sua costituzione
nel maggio del 2004, data in cui è prevista
la firma del Trattato di Roma?
Da una parte è chiaro che il nostro governo
farà di tutto per mettersi al petto la medaglia
del Trattato di Roma. Per quanto mi riguarda non mi
pare una cosa molto rilevante, non credo che si passi
alla storia per aver ospitato la firma di un trattato.
Al di là di questo però, credo che saranno
rispettati i tempi stabiliti, anche perché
non bisogna dimenticare che il primo maggio del 2004
entreranno a pieno titolo nell’Unione dieci
nuovi Stati membri. Dare in mano in quella data a
tutti e venticinque gli stati una costituzione, questo
sì sarebbe un fatto molto significativo.
Ecco, l’ampliamento dell’Unione.
C’è chi critica la decisione di far partecipare
alla Conferenza intergovernativa anche gli stati che
entreranno a pieno titolo nell’Unione solo il
prossimo maggio.
Questo è un punto di tecnica costituzionalistica
sul quale è oggettivamente difficile avere
posizioni definitive. Ci sono motivi per essere a
favore e motivi per essere contrari. Dare una rappresentanza
a tutti i venticinque membri sembra la condizione
minima di un atteggiamento democratico. D’altra
parte, però, bisogna chiederci se sia importante
e giusto che un paese di piccole dimensioni, come
ad esempio Malta, abbia un voto che conta quanto quello
di uno stato più grande, come ad esempio la
Francia. Non si tratta della mancanza di rispetto
verso uno paese di piccole dimensioni, ma è
la presa d’atto di una circostanza generale.
E’ poi vero che all’interno dell’Unione
il voto del Lussemburgo ha sempre contato quanto il
voto degli altri. Non penso però che questi
siano problemi insolubili, le soluzioni si trovano,
l’ingegneria costituzionale è piena di
capacità e di possibilità. Il problema
è politico: seguire una via o percorrere l’altra?
La situazione politica internazionale ha dato,
nel dibattito europeo, molta importanza al tema dell’esercito.
Quali sono le posizioni espresse dalla Convenzione?
Abbiamo già accennato a come il principio ispiratore
della politica internazionale dell’Ue sia quello
di non costituire una potenza militare. La creazione
di un esercito comune è quindi un argomento
che va letto e interpretato in chiave difensiva. In
altri termini, stando ai principi sanciti dalla Costituzione,
l’Ue non dovrebbe mai poter partecipare a un’impresa
militare come quella realizzata in Iraq. E’
ovvio però che la realizzazione di un esercito
comune, per quanto difensivo, richiede una decisione
unitaria. Non sarebbe quindi più possibile
una spaccatura come quella generata dall’intervento
militare in Iraq tra le posizioni di Gran Bretagna
Spagna e Italia da una parte, e gli altri membri che
erano contrari. Adottare una Costituzione come quella
espressa dal lavoro della Convenzione vuol dire rassegnarsi
a trovare un accordo su questi punti.
Una visione unitaria sul tema della difesa
si trova creando una carica rappresentativa per tutti,
oppure cercando di volta in volta l’accordo
tra gli stati membri?
Intanto sarà definito in maniera più
netta e chiara il ruolo e la funzione di un vero e
proprio Ministro degli esteri dell’Unione Europea,
dal quale dipenderanno tutte le tematiche legate alla
difesa seguendo l’ispirazione di una forza civile
e non militare.
Molte delle questioni legate alla nomina e ai compiti
del Ministro degli esteri dell’Unione non sono
ancora risolte, ma sono temi che fanno parte dei problemi
che si affronteranno e ai quali si cercherà
una soluzione con le discussioni e i dibattiti parlamentari.
Non dobbiamo dimenticare che l’Unione sarà
molto simile, dal punto di vista delle dinamiche politiche,
a un Paese: quante volte all’interno di un paese
si litiga per la politica, quante tensioni viviamo
tra maggioranza e opposizione. Non è questo
che ci deve scandalizzare, si discuterà, si
litigherà. La politica si muove tutti i giorni,
non si ferma con l’approvazione di una Costituzione.
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