Malgrado
la presenza di ben cinque film italiani in gara (tre
nel concorso principale, due nella sezione "minore"
Controcorrente) ad un festival che ha sede in Italia,
e malgrado le polemiche di Rai Cinema, che ha minacciato
l'amministratore delegato della Biennale di non mandare
più film Rai al Lido dopo che Buongiorno,
notte di Marco Bellocchio non ha portato a casa
l'ambito (e annunciato) Leone d'oro, l'edizione della
Mostra del cinema di Venezia che si è appena
conclusa non è stata affatto provinciale.
I film che hanno partecipato alle due sezioni del
concorso hanno rappresentato, quasi sempre degnamente,
le numerose culture di provenienza, da paesi asiatici
e mediorientali (molti), africani (pochi), nordamericani
(pochissimi, risultato di una selezione che tiene
Hollywood fuori dalla porta) e soprattutto europei.
Francia e Italia, rispettivamente con quattro e cinque
film in concorso, possono essere sembrati sovrarappresentati,
al loro fianco abbiamo trovato ottimi film tedeschi,
inglesi, russi, lettoni (!), polacchi, danesi, spagnoli,
portoghesi. Una novità, rispetto a un passato
in cui almeno Asia e America erano assai più
presenti.
Merito, forse, del background variegato, ma interamente
europeo, del direttore della Mostra, Moritz De Hadeln,
nato in Inghilterra da padre olandese e madre rumena,
educato in Francia, cittadino svizzero, ex direttore
dei Festival di Locarno e Berlino (Piero Chiambretti,
durante la serata conclusiva del Festival, ha tratto
notevoli spunti comici dall'incerta identità
nazionale del personaggio). Fra i film in concorso
nella sezione principale, c'erano gli italiani Buongiorno,
notte, Segreti di stato di Paolo Benvenuti
e Il miracolo di Edoardo Winspeare; i francesi
Les sentiments, Twentynine palms e Raja,
il serbo Loving glances, il polacco Pornografia,
il portoghese Um film falado di Manoel de
Oliveira, il tedesco Rosenstrasse di Margarethe
Von Trotta, e il russo The return. A questi
si aggiungono i due film dei registi inglesi Christopher
Hampton e Michael Winterbottom, Imagining Argentina
e Code 46, girati però in America
con cast multietnici. Tredici film su venti, cioè
più del 50% dei partecipanti in gara nella
sezione principale: un record assoluto nella storia
del Festival.
La metà esatta del totale (nove su diciotto)
invece i film europei nella sezione Controcorrente:
ai due italiani Il ritorno di Cagliostro
di Ciprì e Maresco e Liberi di Gianluca
Maria Tavarelli si sono aggiunti il danese De
Fem Benspæden di Joegen Leth e Lars Von
Trier, il francese Une place parmi les vivants
(anche se il regista è l'esiliato cileno Raul
Ruiz), il lettone Pitons, il tedesco Schultze
gets the blues, lo spagnolo La quimera
de los heroes, il cipriota Camur, il
curdo-armeno-russo Vodka lemon.
Ciò che è ancora più interessante,
al di là della presenza numerica, è
la tipologia degli argomenti trattati: molte le riflessioni
sulla propria storia nazionale, come le rivisitazioni
dell'omicidio Moro di Buongiorno, notte e
della strage di Portella della Ginestra di Segreti
di stato, ma anche l'Olocausto in Rosenstrasse
o la mancanza di leader in The return, dove
la storia di un padre che torna dai figli dopo una
lunga assenza fa da metafora della situazione russa
post Gorbacev, o le conseguenze del conflitto turco-cipriota
in Camur, o la drammatica situazione dei
profughi curdi in Armenia in Vodka lemon.
Molte le storie profondamente radicate nella specificità
del proprio territorio: la Puglia de Il miracolo
come la provincia tedesca di Schultze gets the
blues, la Sicilia atavica di Ciprì e Maresco
come la Lettonia rurale di Pitons. Ognuno
dei cineasti europei in concorso a Venezia, ad eccezione
dei due inglesi e del portoghese di Manoel de Oliveira,
ormai da tempo altrettanto francese che portoghese,
ha rivendicato chiaramente la propria identità
nazionale e il proprio patrimonio etnico: questa,
sembrerebbe, la via artistica a una globalizzazione
non alienante.
Di
più: il film russo, The return, citava
esplicitamente il Cristo morto del Mantegna
e Twentynine Palms del francese Bruno Dumont
rimandava per atmosfere e scenario a Zabriskie
Point di Michelangelo Antonioni; le scene più
intense di Buongiorno, notte erano accompagnate
dalla musica dei Pink Floyd e Une place
parmi les vivants riproduceva (fra gli altri)
il cinema espressionista tedesco; il regista cipriota
Dervis Zaim dichiarava di essersi ispirato, per il
suo Camur, al neorealismo italiano e Les
sentiments riecheggiava chiaramente La signora
della porta accanto di Truffaut. Aggiungiamo
che il film fuori concorso di Bertolucci, The
dreamers, è un santino alla Nouvelle Vague
francese, e diventa evidente che ciascun cineasta
europeo rivendica per sè un patrimonio culturale
condiviso al quale attingere liberamente in sede creativa.
I premi accordati dal Festival hanno più che
rispettato le premesse: nella sezione principale,
Leone d'oro e Miglior opera prima allo straordinario
film russo The return, Coppa Volpi come miglior
attrice a Katja Riemann, star del teatro tedesco,
per Rosenstrasse, premio alla sceneggiatura
per Buongiorno, notte, premio Mastroianni
alla miglior attrice esordiente per Nayat Bessalem
per Raja (è vero, l'attrice è
marocchina, ma il film è quintessenzialmente
francese). Nella sezione Controcorrente, Miglior film
al curdo Vodka lemon, Premio speciale della
giuria al teutonico Schulze gets the blues,
menzione speciale allo spagnolo La quinera de
los heroes.
Un commento per tutti? Quello di De Hadeln, fierissimo
della propria selezione, ma anche, si direbbe, delle
proprie origini: "Si sta creando un'unità
geografica europea oltre le barriere linguistiche,
e in questa unità il nostro passato comune
diventa cemento e fonte di vitalità".
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