Daniele
Capezzone, Uno shock radicale per il 21° secolo,
pag. 224, Euro 20
Che l'attuale Unione Europea lasci a desiderare da
molti punti di vista, malgrado gli sforzi per trasformarla
in un vero soggetto politico, appare indubbio. Non
a caso a metterla sotto accusa è anche un movimento
dalle limpide credenziali federaliste, quello guidato
da Marco Pannella. Il giovane segretario dei radicali
italiani Daniele Capezzone, che dello stesso Pannella
è un po' il figlioccio spirituale, ha appena
pubblicato un libro assai polemico, spietato nel fustigare
difetti e ipocrisie della costruzione
Il volume, intitolato Uno shock radicale per il
21° secolo, una pubblicazione dei Radicali
italiani, prende di mira il protezionismo agricolo
dell'Ue, penalizzante per i consumatori di casa nostra
e disastroso per i paesi poveri; denuncia la compiacenza
di Bruxelles verso regimi dittatoriali d'ogni genere;
evidenzia lo scarso dinamismo delle economie europee,
gravate da troppi vincoli; sottolinea il deficit di
democrazia che caratterizza le istituzioni comunitarie;
attacca l'antiamericanismo e il pacifismo dilaganti
nelle opinioni pubbliche del vecchio continente. Insomma,
sottopone l'Europa a un autentico processo, condotto
da un coerente punto di vista liberale, liberista
e libertario. comunitaria.
Alle critiche, perlopiù ineccepibili, si accompagna
la proposta di un'alternativa molto netta: più
globalizzazione dei mercati, più diritti per
gli individui in ogni campo, lotta intransigente ai
regimi totalitari con le armi nonviolente dell'informazione
e del ricatto economico, promozione di un'Organizzazione
mondiale delle democrazie che punti a diffondere la
libertà politica su tutto il pianeta. Quanto
alle istituzioni europee, Capezzone propugna l'importazione
in blocco del modello Usa, con un presidente eletto
a suffragio universale diretto dai popoli dei paesi
Ue e un Parlamento dotato di poteri incisivi, analogo
per struttura al Congresso di Washington.
Quest’ultimo
auspicio, lontano anni luce dalle prospettive che
vanno prendendo corpo in sede comunitaria, può
apparire stravagante, ma è in linea con l'idea
di fondo del movimento radicale, secondo cui il modello
anglosassone costituisce il meglio che vi sia in circolazione
al mondo e può benissimo essere applicato anche
in contesti culturali molto distanti dagli Stati Uniti
e dalla Gran Bretagna.
Sulla base di tale presupposto, Capezzone approva
la politica estera dell'amministrazione Bush e anzi
si mostra entusiasta per gli intellettuali neoconservatori
che le forniscono un supporto teorico. La campagna
militare contro l'Iraq gli appare un esempio luminoso
di come l'uso della forza possa spianare la via della
libertà a popolazioni troppo a lungo oppresse
da regimi sanguinari e complici del terrorismo. Non
si tratta di esportare la democrazia, precisa il leader
radicale, ma di abbattere gli ostacoli che impediscono
a quelle genti di fruire dei più elementari
diritti umani. Poi saranno i cittadini dei paesi sottratti
alla morsa delle dittature, una volta liberi di scegliere,
a indirizzarsi verso il modello occidentale.
L'astrattezza del ragionamento risalta in modo palese
di fronte alla situazione esistente oggi sul campo
tanto in Iraq quanto in Afghanistan. La caduta dei
talebani e di Saddam Hussein, da accogliere comunque
con soddisfazione visto di quali infami oppressori
si trattava, non basta certo a garantire un futuro
migliore, tanto meno prospettive di libertà,
in paesi dove la nozione stessa dello Stato di diritto
risulta sconosciuta ai più. Per il momento
ha prodotto l'anarchia, faticosamente arginata dalla
massiccia e costosa presenza di truppe straniere.
La democrazia non si improvvisa, è frutto di
evoluzioni tormentate e difficili. In Europa lo sappiamo
bene. Ma gli stessi Usa, per cancellare lo schiavismo,
dovettero passare attraverso una spaventosa guerra
civile. Del resto basta guardare all'ex impero sovietico:
i sistemi liberali hanno attecchito con successo dove
potevano contare su precedenti storici, ma in altre
situazioni hanno prevalso tendenze autoritarie. E
non c'è bisogno di ricordarlo ai radicali,
così fermi e costanti nel condannare le atrocità
russe in Cecenia.
Quanto all'operazione angloamericana in Iraq, è
sempre più difficile sostenere che Saddam rappresentasse
una minaccia immediata. Aveva probabilmente ragione
l'ex ispettore dell'Onu Scott Ritter, quando negava,
sulla base di argomentazioni soprattutto tecniche,
che Bagdad possedesse armi di distruzione di massa
pronte all'uso: il suo libro intervista con William
Rivers Pitt “Guerra all'Iraq" (edito in
Italia da Fazi) andrebbe oggi riletto e meditato.
Ma anche ammesso che il problema fosse invece quello
su cui insiste Capezzone, cioè porre fine ai
crimini di Saddam e costruire un Iraq libero per destabilizzare
gli altri regimi tirannici della regione, il successo
ottenuto resta parziale e le prospettive alquanto
incerte.
In realtà la dottrina Bush della guerra preventiva,
partorita dall'amministrazione americana dopo l'11
settembre, solo in apparenza si muove in una direzione
analoga a quella proposta dai radicali. Essa si basa
infatti sulla supremazia militare di un unico Stato
nazionale, che intende tutelare la propria sicurezza
con ogni mezzo, in modo del tutto unilaterale, sulla
base di una valutazione discrezionale delle possibili
minacce. Una concezione molto distante dall'ipotesi
di un'Organizzazione mondiale delle democrazie, ciascuna
delle quali dovrebbe rinunciare a porzioni della propria
sovranità.
Lungi dal costituire una svolta rispetto all'isolazionismo
originario dell'impostazione politica di Bush, come
sostiene erroneamente Capezzone, la teoria della guerra
preventiva ne è lo sviluppo coerente, mentre
i discorsi sull'esportazione della libertà
rappresentano soprattutto una giustificazione ideologica.
Non a caso Washington si guarda bene dall'accettare
la giurisdizione del tribunale internazionale sui
crimini di guerra, per il quale i radicali si sono
lungamente battuti. E ancora meno Bush potrebbe aderire
alla moratoria mondiale delle esecuzioni capitali,
altra meritoria battaglia di Pannella e dei suoi seguaci.
L'impressione del lettore è che Capezzone,
così severo (spesso a giusto titolo) verso
l'Ue, sia invece fin troppo indulgente verso gli Usa.
Lascia assai perplessi, ad esempio, l'idea del segretario
radicale che l'Europa debba adottare il modello americano,
ritenuto più garantista, anche in materia di
giustizia. Basta ricordare che gli Stati Uniti praticano
la pena di morte, tengono in carcere circa due milioni
di detenuti, hanno una legislazione aspramente repressiva
in tema di droghe: una situazione agli antipodi rispetto
alla cultura dell'antiproibizionismo e della clemenza
(si pensi alla recente iniziativa per il cosiddetto
"indultino") tipica dei radicali.
Forse siamo in presenza di un equivoco simile a quello
che, nel 1994, indusse Pannella a credere che Silvio
Berlusconi, nonostante fosse già allora alleato
con An e Lega, potesse farsi portatore di una grande
rivoluzione liberale. Oggi invece i radicali sembrano
puntare su Bush come paladino dei diritti individuali
a livello mondiale. Nel primo caso la disillusione
è stata amara: basta leggere il duro e condivisibile
attacco rivolto da Capezzone, nel suo libro, al ministro
dell'Economia Giulio Tremonti, un tempo piuttosto
apprezzato in casa radicale. Il tempo ci dirà
se le speranze riposte nell'amministrazione di Washington
conosceranno la stessa sorte.
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