Raoul
C. van Caenegem, I sistemi giuridici europei,
Il Mulino, 2003, Euro 15,00
La realizzazione di un sistema giuridico unitario
europeo è possibile. È la politica a
dover avere l’ambizione di costruirlo, non umiliando
le singole tradizioni nazionali ma integrandole partendo
dagli aspetti comuni. È questa la speranza
contenuta nel libro di Raoul C. van Caenegem, autore
de I sistemi giuridici europei (Il Mulino).
Una speranza che nasce da una considerazione storica:
spesso i sistemi giuridici sono stati esportati in
paesi che non avevano alcun legame con la cultura
che li aveva originati.
È il caso ad esempio del Giappone dove, alla
fine dell’800, il diritto romano-tedesco si
è imposto avendo ragione delle consuetudini
giuridiche autoctone. La stessa common law,
considerata dagli inglesi la quintessenza dell’Inghilterra,
ha un’origine continentale che risale ai tempi
del regno anglo-normanno di Enrico II e, nel processo
di accumulazione del patrimonio giurisprudenziale,
si è formata in modo molto simile al Corpus
iuris civilis di Giustiniano. E, d’altro
canto, il Code civil napoleonico del 1804,
pur basato sulla tradizione romana, raccoglie moltissimo
del diritto consuetudinario di origine tedesca. Il
codice civile in vigore in Germania dal 1896 è
sicuramente più romano di quello francese,
mentre, a rigore, dovrebbe essere il contrario.
È vero allora, per dirla con Rudolph von Jhering,
che “il diritto è politica sotto altre
sembianze”, e si piega alla volontà politica
dominante; la lotta tra le due tradizioni, quella
basata sulla giurisprudenza, sulle decisioni dei giudici,
non codificata della common law inglese e
quella romanista, dottrinaria e codificata, della
Civil law continentale, ha, quindi, molto
a che fare con il momento politico nel quale avvenne,
appunto, l’abbandono delle consuetudini feudali
e si posero le basi per la creazione di un potere
centralizzato e moderno.
Fino al XII secolo, l’elemento unificante dal
punto di vista giuridico era rappresentato dal diritto
canonico, un insieme di norme che disciplinavano la
vita di tutti giorni basate su una moltitudine di
canoni ecclesiastici e di decretali papali emanati
nel corso di un millennio, studiato e applicato in
tutta la cristianità, senza riguardo per le
frontiere, ma con molta attenzione e rispetto per
le usanze e le sensibilità locali. Mentre nel
continente si scelse la strada del diritto romano,
recuperato attraverso il Corpus giustinianeo
che assumeva i caratteri di un testo sacro, un diritto
razionale che traeva origine dagli studi e dagli insegnamenti
dei giuristi dell’Università di Bologna,
in Inghilterra, Enrico II rimaneva fedele, adottando
la common law, alla tradizione “europea”
di un diritto applicato e non codificato. In questo
senso l’autore nota che “fu il Continente
ad allontanarsi dall’Inghilterra e non il contrario!”.
La storia che dice, quindi, che in epoca feudale e
moderna, fino alla creazione degli stati nazionali,
tutti i cittadini europei vivevano sotto “giurisdizioni”
non nazionali ma secondo consuetudini locali o sotto
l'egida di due sistemi sovranazionali, il diritto
della Chiesa e quello romanistico delle università,
noto come ius commune. La svolta del XII
secolo non segnò infatti l’immediata
realizzazione di sistemi nazionali ma la scelta delle
tradizioni giuridiche alle quali rifarsi.
Se la strada dell’Europa è quella di
uno stato federale che eviti di diventare una burocrazia
lontana e senza volto, allora il suo sistema giuridico
dovrà essere per van Caengem “una media
via fra un cosmopolitismo accademico senza radici
e un nativismo radicato fino in fondo”. La realizzazione
della Costituzione europea è lo straordinario
traguardo che è di fronte ai politici del nuovo
secolo. I risultati sulla via dell’integrazione
e dell’unione, ottenuti in pochi decenni da
popoli che per millenni si sono combattuti ferocemente,
suggeriscono ottimismo.
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