Gwendoline
Riley è l'ex cameriera di un oscuro bar di
Manchester, ha 23 anni, un aspetto very British
- pelle diafana, nasino all'insù, occhi azzurri
sfuggenti - e il cinismo romantico di J. D. Salinger.
Carmel McKisco, l'eroina del primo romanzo scritto
dalla Riley, è la cameriera di un oscuro bar
di Manchester, ha 21 anni e la personalità
di Holden Caufield, il protagonista del Giovane
Holden di Salinger.
Il primo romanzo di Gwendoline Riley, Carmel
appunto, autobiografico "più nei sentimenti
che nei fatti", come dice l'autrice, è
stato un successo in Inghilterra e negli Stati Uniti,
ha ricevuto il prestigioso premio Betty Trask destinato
a un autore under 35 (l'anno scorso l'aveva conquistato
Zadie Smith con Denti bianchi) ed è
stato tradotto in 14 lingue. Ora esce anche
in Italia per Fazi, con la foto di Gwendoline-Carmel
in copertina, in una versione efebica alla Thora Birch,
l'attrice che interpretava la figlia ribelle in American
Beauty.
Il legame fra Gwendoline Riley e l'America è
forte. Ad esempio, l'autrice ha scelto New York
per scrivere il suo secondo romanzo, la storia "molto
dark" dell'amicizia fra due bambine che diventano
grandi insieme, e ci è rimasta per un anno
intero. "Io e i miei amici, anche a Manchester,
ci divertiamo a parlare in psuedo-americano, fingendo
accenti di Manhattan o Los Angeles. E' divertente,
se lo fai con un minimo di autoironia".
Ma l'influenza dell'America sul resto del mondo le
fa paura: "Sono pessimista per il futuro dell'Europa",
dice, abbandonando la sua verve satirica per incupirsi
davvero."Credo che, se non staremo attenti, l'America
continuerà ad invaderci".
Che
cosa ci può salvare?
La cultura. E' sempre stata l'ancora di salvezza
contro certe egemonie totalizzanti. E il senso di
provenienza: nel mio romanzo, la protagonista è
sempre cosciente di essere nata e cresciuta in un
posto preciso. Se c'è un futuro per l'Europa,
secondo me, sta nel rimanere ben saldi alla propria
nazionalità e alla propria cultura, non nel
globalizzarsi, che poi vuol dire appiattirsi sui modelli
americani. Il luogo da dove vieni conta, persino quando
è un luogo della mente.
Ma l'Inghilterra si sente parte dell'Europa?
(Ride) A giudicare dai tabloid inglesi, direi
senz'altro di no. I tabloid vanno a nozze nel
fare leva sulla xenofobia tipica della nostra isola
e descrivono l'euro e le istituzioni comunitarie europee
come una specie di iattura. Per fortuna i giovani
non la pensano come loro.
E come la pensano, i giovani inglesi, a proposito
dell'Europa unita?
Non ho svolto uno studio sociologico al riguardo,
ma posso parlare per me e per i miei amici: siamo
abituati a viaggiare in Europa, a fare amicizia con
i nostri coetanei "continentali", a considerarli
parte della stessa umanità. Ci accomunano la
letteratura, la musica, il cinema. L'idea di appartenere
alla stessa cultura fa già parte della nostra
mentalità, posto che ognuno si sente fortemente
cittadino del proprio Paese. In questo senso, l'Europa
unita per noi non è una prospettiva fumosa,
ma una realtà concreta.
Anche Carmel, la protagonista del suo romanzo,
ha gusti letterari europei.
Sì, le piacciono Dostojewski e Thomas Mann,
anche perché Morte a Venezia diventa
per lei una metafora della sua esistenza stagnante
in una città, Manchester, che guarda caso è
attraversata dai canali. Personalmente, ho una passione
per i romanzieri russi, ma leggo anche molti americani,
da Salinger a Scott Fitzgerald.
Che cosa c'è in comune fra i ragazzi
di Manchester e quelli del resto d'Europa?
La nostra malattia generazionale è l'individualismo,
la difficoltà a creare ponti di comunicazione
gli uni verso gli altri. Per contro, desideriamo
partecipare alla vita pubblica, non siamo apatici
come si crede e quindi, anche a livello europeo, ci
chiediamo quando e dove far sentire la nostra voce.
Si è detto che il film Titanic
ha avuto un grande successo fra i tuoi coetanei perché
ha legittimato il vostro sentirvi abbandonati a voi
stessi, privi di una guida valida da parte degli adulti.
In effetti io e i miei amici ci siamo sempre sentiti
orfani. Allargherei il discorso dicendo che l'intera
popolazione occidentale oggi è in qualche modo
orfana, perché non può più affidarsi
a una religione o a un'ideologia. Credo
che ciò che accomuna la mia generazione, forse
a differenza di quelle precedenti, sia la ricerca
profonda di verità, e l'esigenza di rimanere
onesti con noi stessi. Una ricerca che passa attraverso
il rimboccarsi le maniche, senza aspettare che siano
gli adulti a scegliere per noi.
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