234 - 23.08.03


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Ma i giovani inglesi sono aperti all'Europa

Gwendoline Riley con Paola Casella

Gwendoline Riley è l'ex cameriera di un oscuro bar di Manchester, ha 23 anni, un aspetto very British - pelle diafana, nasino all'insù, occhi azzurri sfuggenti - e il cinismo romantico di J. D. Salinger.  Carmel McKisco, l'eroina del primo romanzo scritto dalla Riley, è la cameriera di un oscuro bar di Manchester, ha 21 anni e la personalità di Holden Caufield, il protagonista del Giovane Holden di Salinger.

Il primo romanzo di Gwendoline Riley, Carmel appunto, autobiografico "più nei sentimenti che nei fatti", come dice l'autrice, è stato un successo in Inghilterra e negli Stati Uniti, ha ricevuto il prestigioso premio Betty Trask destinato a un autore under 35 (l'anno scorso l'aveva conquistato Zadie Smith con Denti bianchi) ed è stato tradotto in 14 lingue.  Ora esce anche in Italia per Fazi, con la foto di Gwendoline-Carmel in copertina, in una versione efebica alla Thora Birch, l'attrice che interpretava la figlia ribelle in American Beauty.

Il legame fra Gwendoline Riley e l'America è forte.  Ad esempio, l'autrice ha scelto New York per scrivere il suo secondo romanzo, la storia "molto dark" dell'amicizia fra due bambine che diventano grandi insieme, e ci è rimasta per un anno intero.  "Io e i miei amici, anche a Manchester, ci divertiamo a parlare in psuedo-americano, fingendo accenti di Manhattan o Los Angeles. E' divertente, se lo fai con un minimo di autoironia".  Ma l'influenza dell'America sul resto del mondo le fa paura: "Sono pessimista per il futuro dell'Europa", dice, abbandonando la sua verve satirica per incupirsi davvero."Credo che, se non staremo attenti, l'America continuerà ad invaderci".

Che cosa ci può salvare?

La cultura.  E' sempre stata l'ancora di salvezza contro certe egemonie totalizzanti. E il senso di provenienza: nel mio romanzo, la protagonista è sempre cosciente di essere nata e cresciuta in un posto preciso.  Se c'è un futuro per l'Europa, secondo me, sta nel rimanere ben saldi alla propria nazionalità e alla propria cultura, non nel globalizzarsi, che poi vuol dire appiattirsi sui modelli americani. Il luogo da dove vieni conta, persino quando è un luogo della mente. 

Ma l'Inghilterra si sente parte dell'Europa?

(Ride)  A giudicare dai tabloid inglesi, direi senz'altro di no.  I tabloid vanno a nozze nel fare leva sulla xenofobia tipica della nostra isola e descrivono l'euro e le istituzioni comunitarie europee come una specie di iattura.  Per fortuna i giovani non la pensano come loro.

E come la pensano, i giovani inglesi, a proposito dell'Europa unita?

Non ho svolto uno studio sociologico al riguardo, ma posso parlare per me e per i miei amici: siamo abituati a viaggiare in Europa, a fare amicizia con i nostri coetanei "continentali", a considerarli parte della stessa umanità. Ci accomunano la letteratura, la musica, il cinema. L'idea di appartenere alla stessa cultura fa già parte della nostra mentalità, posto che ognuno si sente fortemente cittadino del proprio Paese. In questo senso, l'Europa unita per noi non è una prospettiva fumosa, ma una realtà concreta.

Anche Carmel, la protagonista del suo romanzo, ha gusti letterari europei.

Sì, le piacciono Dostojewski e Thomas Mann, anche perché Morte a Venezia diventa per lei una metafora della sua esistenza stagnante in una città, Manchester, che guarda caso è attraversata dai canali. Personalmente, ho una passione per i romanzieri russi, ma leggo anche molti americani, da Salinger a Scott Fitzgerald.

Che cosa c'è in comune fra i ragazzi di Manchester e quelli del resto d'Europa?

La nostra malattia generazionale è l'individualismo, la difficoltà a creare ponti di comunicazione gli uni verso gli altri.  Per contro, desideriamo partecipare alla vita pubblica, non siamo apatici come si crede e quindi, anche a livello europeo, ci chiediamo quando e dove far sentire la nostra voce.

Si è detto che il film Titanic ha avuto un grande successo fra i tuoi coetanei perché ha legittimato il vostro sentirvi abbandonati a voi stessi, privi di una guida valida da parte degli adulti.

In effetti io e i miei amici ci siamo sempre sentiti orfani. Allargherei il discorso dicendo che l'intera popolazione occidentale oggi è in qualche modo orfana, perché non può più affidarsi a una religione o a un'ideologia.   Credo che ciò che accomuna la mia generazione, forse a differenza di quelle precedenti, sia la ricerca profonda di verità, e l'esigenza di rimanere onesti con noi stessi. Una ricerca che passa attraverso il rimboccarsi le maniche, senza aspettare che siano gli adulti a scegliere per noi.

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