L'incontro
tra civiltà europea e cinese realizzatosi attraverso
l'esperienza storica e l'opera del gesuita Matteo
Ricci (Macerata 1552- Pechino1610), per la prima volta
viene analizzato e proposto a studiosi e grande pubblico
attraverso la mostra "Padre Matteo Ricci. L'Europa
alla corte dei Ming", all'Auditorium San Paolo (Palazzo
Ricci, Pinacoteca Comunale) di Macerata fino a domenica
5 ottobre. A seguito riportiamo alcuni brani dell'intervento
di Filippo Mignini contenuto nel catalogo della mostra
(Edizioni Gabriele Mazzotta).
Contatti diretti o mediati tra l'Occidente e il millenario
impero cinese, per via di commerci o di migrazioni
e conquiste attraverso i deserti e le oasi dell'Asia
centrale, ebbero luogo nel corso dei secoli antichi
fino all'età di Roma e all'impero dei Mongoli.
La continuità di tali relazioni, documentata
dagli archeologi, ha indotto uno dei più grandi
orientalisti del secolo scorso, il maceratese Giuseppe
Tucci, a coniare la nozione e il termine di Eurasia,
per indicare l'unità storica e culturale di
un solo continente che si estende dalle coste atlantiche
dell'Europa alle pacifiche della Cina e del Giappone.
(...)
Una fondamentale fase dei contatti tra Europa e Cina
ebbe inizio pochi anni dopo la costituzione dell'ordine
dei gesuiti. Tentativi furono compiuti sin dall'inizio,
fino a quello estremo di Francesco Saverio, morto
su un'isoletta di fronte a Canton, mentre si apprestava
a farsi trasportare sul suolo cinese (dicembre 1552).
Egli aveva già aperto le missioni gesuite dell'India
e del Giappone. Altri tentativi furono ripetuti negli
anni successivi, ma senza successo.
La svolta si ebbe con l'arrivo a Macao nel 1578 del
padre Alessandro Valignano, visitatore delle missioni
gesuitiche d'Oriente. Raccolse in quella città,
dove i portoghesi avevano da poco ottenuto il diritto
di stabile residenza, le informazioni più accurate
sulla cultura, lingua, tradizioni, religioni, sistema
politico e amministrativo della Cina. Comprese che
era necessario adottare una nuova strategia di comunicazione
con questo paese dalla civiltà millenaria,
chiuso e diffidente come nessun altro verso gli stranieri.
Valignano elaborò quello che più tardi
sarebbe stato chiamato metodo della "inculturazione",
ossia dell'assimilazione dello straniero alla cultura
del paese, per potere, dall'interno, acquisito il
credito necessario, trasmettere insegnamenti e dottrine.
Nel 1579 Valignano chiamò a Macao Michele Ruggeri
per dare avvio alla nuova missione. Questi era giunto
a Goa nel settembre dell'anno precedente insieme ad
altri quattordici gesuiti di diverse nazionalità.
Tra gli altri, anche Matteo Ricci, non ancora sacerdote.
Ruggeri cominciò a studiare lingua e letteratura
con maestri cinesi che non conoscevano il portoghese
e che lo ammaestravano disegnando le cose di cui doveva
apprendere il nome, quindi dipingendo il relativo
ideogramma e insegnandone la pronuncia.
Il gesuita, che prima di entrare nella Compagnia era
stato avvocato, si applicava con grande diligenza;
ma lo scoglio dei quattro toni con i quali uno stesso
suono poteva essere pronunciato, acquisendo significati
totalmente diversi, si presentava difficilmente superabile.
Già l'anno dopo cominciò a chiedere
al superiore l'aiuto dell'amico Matteo Ricci, più
giovane, dotato di memoria prodigiosa e versato nelle
scienze matematiche e astronomiche, molto apprezzate
dai cinesi. I superiori preferirono lasciar attendere
Ruggeri: Ricci doveva terminare in modo puntuale lo
studio della teologia in India, tra Goa e Cochin,
dove fu ordinato sacerdote nel 1581. Il sette agosto
dell'anno successivo giunse a Macao per affiancare
Ruggeri nella missione di Cina.
Ricci era nato a Macerata, città dello stato
della Chiesa, sede di Università e dell'Amministratore
apostolico delle Marche, il 6 ottobre 1552, appena
due mesi prima della morte di Francesco Saverio. Figlio
dello speziale Giovanni Battista e della nobildonna
Giovanna Angelella, apparteneva a una delle famiglie
nobili della città. Fu educato dapprima in
casa, dal sacerdote Nicolò Bencivegni, senese,
che poco dopo entrerà nella Compagnia di Gesù.
A partire dal 1561, anno nel quale i gesuiti fondarono
un collegio in città, venne affidato alla loro
scuola, compiendovi gli studi di umanità. A
sedici anni fu inviato dal padre a Roma per studiare
Legge alla Sapienza. Giovanni Battista voleva avviare
il primogenito alla carriera amministrativa presso
la Corte pontificia, dove servivano anche altri membri
della famiglia.
Disattendendo il progetto paterno, il 15 agosto 1571
Matteo bussava al noviziato dei gesuiti in Roma per
entrare nella Compagnia. Prometteva assoluta obbedienza
e "indifferenza" agli ordini che gli sarebbero stati
impartiti. Dopo aver perfezionato il corso di umanità
a Firenze, entrò nel Collegio Romano, il celebre
studio dei gesuiti, dove frequentò principalmente
i corsi di retorica e filosofia. Qui si formò
a quella cultura europea che più tardi introdurrà
nel regno di Cina.
Con il termine retorica si intendeva quel complesso
di insegnamenti teorici ed esercizi pratici che mirava
alla formazione del perfetto oratore e scrittore,
specialmente sacro. Le autorità riconosciute
e gli autori più frequentati erano il greco
Aristotele, con la Retorica e la Poetica, e i latini
Cicerone e Quintiliano. Specialmente di Cicerone,
assunto a modello di prosa latina e di oratoria, venivano
studiate e apprese a memoria quasi tutte le opere.
Certamente Ricci aveva studiato il trattato sull'amicizia
(De Amicitia), che più tardi farà riecheggiare
nel proprio omonimo trattato cinese, l'opera sui doveri
(De officiis) e sulla natura degli dei (De natura
deorum), oltre alle orazioni. Studiò e apprese
Virgilio e Orazio, come anche i classici greci, Omero,
Esiodo, Platone, lo storico Tucidide e l'oratore Demostene.
Per la lingua greca e per il suo valore formativo
ebbe un amore particolare, al punto da avviarne l'insegnamento,
contro il parere di tutti, anche nel collegio di Goa,
prima di cadere vittima della malaria.
Nel corso di filosofia, che durava non meno di tre
anni, l'autorità principale era Aristotele,
interpretato e commentato da Tommaso d'Aquino. Si
studiavano a fondo logica e dialettica, fisica, il
trattato sull'anima, metafisica ed etica. Ma si studiava
anche l'etica degli Stoici, in particolare attraverso
il Manuale di Epitteto e le opere di Seneca. Nel corso
di filosofia era incluso anche lo studio della matematica,
aritmetica e geometria, la cui autorità principale
era Euclide. Nell'ambito delle scienze matematiche
venivano incluse anche astronomia, geografia, cartografia,
scienze della misurazione del tempo e dello spazio,
trattati sugli orologi e astrolabi.
Tali
discipline venivano insegnate in modo approfondito
agli studenti più versati in matematica, come
Ricci, quale strumento e supporto della evangelizzazione.
Matteo ebbe la fortuna di avere come maestro uno dei
più celebri matematici del tempo, il tedesco
Cristoforo Clavio, editore e commentatore di Euclide
e della celebre Sfera del Sacrobosco, riformatore
del calendario gregoriano, corrispondente e amico
dei maggiori matematici del tempo, tra i quali Galileo.
Ricci ricevette da Clavio la formazione più
avanzata del tempo nella geometria euclidea e nell'astronomia
aristotelico-tolemaica. La formazione veniva completata
con lo studio di altre discipline "minori", ma importanti
nell'opera di apostolato, come la musica, la pittura,
l'architettura e il teatro.
Quando Ricci partì da Roma nel maggio del 1577
diretto in Portogallo, dove avrebbe preso il mare
per l'India nella primavera dell'anno successivo,
portava con sé una compiuta formazione umanistica
e scientifica. A questa si aggiungeva la formazione
spirituale e religiosa ottenuta dai maestri del Collegio
Romano, che verrà perfezionata in India con
uno studio "molto formale" della teologia. Egli si
presentava dunque alle porte della Cina come un eccellente
rappresentante della civilità europea nel suo
complesso, classica e cristiana.
Quale fu l'atteggiamento del giovane Ricci nei confronti
dei popoli con i quali entrò in contatto, l'India
e la Cina, vista quest'ultima dall'osservatorio di
Macao? Il primo carattere che il lettore delle sue
Lettere può facilmente percepire fu la simpatia
umana e cristiana di Ricci nei confronti delle diversità
culturali e la sua critica del fenomeno della colonizzazione.
In India, pur essendo uno dei più giovani padri
del collegio di Goa, non temette di denunciare al
generale Acquaviva una decisione presa quell'anno,
che discriminava l'educazione dei giovani indiani
accolti nella Compagnia, rispetto a quella degli Europei.
Questa decisione era stata ispirata, secondo Ricci,
dalla intenzione di tenere gli indiani in stato di
subordinazione rispetto agli europei bianchi, per
impedire che insuperbissero e perché fossero
disponibili a servire in "parrocchie basse". Ricci
considera questa decisione non soltanto contraria
ai costumi della Compagnia, che nella sua prassi educativa
non aveva mai operato tali distinzioni, ma anche agli
interessi della popolazione indiana e a quelli della
fede cristiana e della pace.
Su questo punto torna anche a Macao, denunciando allo
stesso Acquaviva la grave opposizione dei padri del
Collegio all'impresa progettata dal Valignano e il
loro rifiuto dei giovani maestri cinesi, che avrebbero
volentieri "rimandato a zappare". Ricci annota che
questi padri non sono di "molta qualità" e,
benché virtuosi, non sanno portare amore "alle
cose della christianità". Prima ancora di entrare
in Cina, svolge una diagnosi precisa di uno dei problemi
della missione, ossia l'attribuzione della responsabilità
di questa non a chi era destinato a svolgerla, ma
al superiore del Collegio di Macao. Dovranno passare
quasi quindici anni, prima che il problema venga risolto
assegnando allo stesso Ricci l'incarico di superiore
della missione di Cina.
Quattro tentativi di entrata, compiuti dal solo Ruggeri
al seguito dei mercanti portoghesi che si recavano
due volte l'anno alla fiera di Canton, erano falliti.
Anche un quinto tentativo di Ruggeri, insieme al confratello
Francesco Pasio diretto al Giappone, dopo un favorevole
inizio e un soggiorno di qualche mese a Zhaoqing,
sede del viceré del Guandong, non ebbe successo.
Finalmente, nel settembre del 1583, il governatore
Wang Pan accoglieva la richiesta dei religiosi stranieri
Michele Ruggeri e Matteo Ricci di poter costruire
una casa con chiesa nella stessa città.
Era un primo passo, decisivo, con il quale si metteva
piede all'interno della Cina. Valignano aveva ordinato
ai due padri di puntare a Pechino, per tentare la
conversione dell'imperatore o almeno ottenere un permesso
di libera predicazione del cristianesimo. Viaggiando
per fiume, avrebbero potuto raggiungere la capitale
del nord in cinque mesi. Ma come vincere la diffidenza
dei cinesi e ottenere un permesso di viaggio e di
soggiorno? Questa era la sfida. Ricci impiegherà
diciotto anni per vincerla.
Fu chiesto ai due religiosi di radersi barba e capelli
e vestire l'abito dei bonzi buddisti, tra i quali
potevano essere accolti anche stranieri. Mutarono
il loro nome in cinese. Ricci si chiamò Li
Madou; qualche anno dopo, ricevette anche il nome
che meglio lo rappresentava e con il quale verrà
comunemente chiamato: Xitai, "maestro del grande Occidente".
I due bonzi occidentali, aiutati dagli interpreti
cinesi e da persone di servizio, iniziarono con solerzia
la costruzione della casa all'europea, su due piani,
cosa inusuale per i cinesi. La casa, che comprendeva
al piano terra una sala centrale adibita anche a cappella,
suscitò l'interesse e l'ammirazione di tutti,
l'invidia e il sospetto di molti.
Fu fatta oggetto di sassaiole e di assalti. La curiosità
sfrenata e opprimente, la paura e il sospetto, i sorrisi,
gli scherni, il disprezzo, gli insulti che li accompagnavano
al loro passare fecero un giorno esclamare a Ricci
di sentirsi "spazzatura del mondo". Se poca era la
considerazione di cui godevano in generale i religiosi
buddisti, ancora minore era quella dei due bonzi stranieri.
I cinesi guardavano con meraviglia il naso leggermente
aquilino e gli occhi azzurri di Li Madou, gli tiravano
i peli delle braccia e delle gambe, ma cominciavano
insieme a meravigliarsi della velocità e sicurezza
con la quale lo straniero apprendeva la loro lingua
e cominciava a leggere i loro testi.
Un giorno Wang Pan visitò la casa e si fermò
dinanzi a una piccola carta geografica europea, che
i padri avevano appeso nella sala. Grande fu lo stupore
nel vedere la sua Cina non coincidere con la maggior
parte del mondo, ma posta ai margini di questo e attorniata
da molte altre terre di gran lunga più estese.
Chiese a Ricci di tradurla in cinese. Matteo si mise
all'opera e in pochi mesi poté consegnare a
Wang Pan la prima carta geografica universale in lingua
cinese e un orologio meccanico che suonava le ore
costruito per lui.
Mentre Li Madou svolgeva quel rotolo di circa un metro
di lato, il governatore sentì che una nuova
pagina si apriva nella storia della Cina. Protesse
i padri come poté, emanò degli editti
per difenderli, cominciò a suscitare intorno
a loro l'interesse dei mandarini e permise che Ruggeri,
con il giovane De Almeida venuto da Macao, tentasse
di aprire una nuova residenza a Shaoxing, sua città
natale posta a due mesi di cammino verso nord. Il
tentativo non fu coronato da successo, come non lo
fu quello compiuto poco dopo dallo stesso Ruggeri
nella città di Guilin.
Intanto Ricci e Ruggeri avevano tradotto e stampato
nel 1585 le principali preghiere, i Dieci comandamenti
e il Credo, come anche un primo catechismo in cinese
composto da Ruggeri. Una piccola comunità di
circa sessanta cristiani era già sorta ma le
difficoltà di risalita verso Pechino apparivano
insuperabili. Si decise di tentare la via di un'ambasciata
papale all'imperatore, alla quale Ricci avrebbe potuto
associarsi. Nel 1588 Ruggeri fu rimandato a Roma per
organizzarla. Li Madou, che aveva già attirato
su di sé l'attenzione dei letterati e dei mandarini
per la padronanza della lingua e dei classici cinesi,
per le sue conoscenze matematiche, geografiche e astronomiche,
rimase solo a condurre l'impresa della Cina.
Ruggeri non riuscì nel proposito: non soltanto
per la morte di Sisto V e per quella dei tre successori
nell'arco di un anno, ma forse, soprattutto, perché
Roma non aveva percepito distintamente l'importanza
della missione cinese. Ricci, intanto, sempre più
immerso nella conoscenza di "questo altro mondo",
si era persuaso che quella impresa fosse la più
importante, nella storia del cristianesimo, dal tempo
degli apostoli.
L'arrivo di un nuovo viceré a Zhaoqing nel
1589 produsse una mutazione drammatica e imprevista
nella prima residenza missionaria di Cina e, qualche
anno dopo, la sua chiusura. Il nuovo mandarino desiderava
costruirsi un tempio a memoria del proprio mandato
in quella città e pensò di destinare
a tale uso l'esotica casa dei bonzi stranieri. Pretese
di liquidare Ricci con un decimo della cifra investita
nella casa e quindi di rimandarlo a Macao. Il padre
si oppose, non accettando il denaro: preferiva essere
cacciato, palese vittima di una ingiustizia, piuttosto
che rendersi complice di essa. Infine accettò
la cifra in cambio dell'autorizzazione ad aprire una
nuova residenza a Shaozhou, a nord della stessa provincia.
Qui
Ricci giunse con De Almeida nella seconda metà
di agosto del 1589. Costruì una nuova casa
con chiesa, che edificò in stile cinese, ammaestrato
dalla precedente esperienza. Iniziò a istruire
il confratello nella lingua e nelle lettere della
Cina e a ricostituire una nuova comunità. Tuttavia,
dopo due anni, l'insalubre clima di Shaozhou, città
affetta da un'endemica forma di malaria, gli rapì
il confratello. Dopo qualche mese gli fu mandato in
aiuto il giovane e più robusto Francesco De
Petris. Ricci iniziò a istruire il nuovo compagno
italiano nella lingua cinese e a leggergli i Quattro
libri, uno dei principali classici confuciani, che
stava traducendo in latino a beneficio dei nuovi venuti.
Nel 1593 la malaria rapì anche De Petris.
Ricci rimase solo ancora per mesi. L'eco di queste
lunghe solitudini, talvolta di anni, affiora nelle
Lettere: "Stiamo tanto lontani che bisogna che passino
sei anni et alle volte sette per tener risposta delle
lettere che scriviamo a Europa, nel qual tempo si
mutano non solo gli offitii et altre cose, ma anco
ci mutiamo di una vita ad altra; e molte volte ricordandomi
quante lettere assai lunghe ho scritte a morti di
costà, mi toglie la forza e l'animo di scrivere".
In tal deserto Xitai trovava consolazione nella crescente
amicizia dei letterati e mandarini cinesi, tra i quali
emergeva, toccante e decisiva per gli esiti della
missione, quella del "fedele e vecchio amico" Qu Taisu.
Fin dall'arrivo di Xitai a Shaozhou, questi si era
messo alla sua scuola, studiando matematica, astronomia
e geografia, ma interessandosi anche alla religione
di quel singolare straniero.
La svolta nell'esperienza missionaria di Ricci si
ebbe tra il 1594 e il 1595, quando decise di mutare,
anche su consiglio degli amici cinesi, il saio del
bonzo nella seta del letterato. Si fece crescere la
barba e i capelli, iniziò a farsi trasportare
in lettiga, preceduto da due servitori e adeguandosi
in tutto allo stile e alle norme di comportamento
della classe dirigente cinese, alla quale ormai indirizzava
esclusivamente la propria attenzione. Era quello l'unico
veicolo che potesse consentirgli di giungere all'imperatore
della Cina. Da quel momento la sua vita non fu che
un ricevere e ricambiar visite, un entrare e uscire
dalle case dei mandarini, fino a quando non ebbe libero
accesso nella stessa corte del re: "noi entriamo nel
palazzo tutte le volte che vogliamo, ma sempre procuriamo
entrarvi con qualche occasioneÉ".
Ricci aveva anche compreso in quegli anni un'altra
verità fondamentale riguardo ai processi comunicativi
della Cina: l'importanza prioritaria dei libri. Scoprì
che "più si fa in Cina con libri che con parole".
Decise dunque di prendere un buon maestro per imparare
a comporre opere in cinese che potessero attrarre
l'attenzione dei letterati. D'ora in poi, tutto il
tempo che rimarrà libero dalle esigenze di
relazioni sociali, intercalato alla costruzione di
strumenti scientifici e tecnici da regalare ai propri
interlocutori - orologi solari e meccanici, astrolabi,
sfere armillari, globi terrestri e celesti, con i
quali accompagnava altri doni provenienti dall'Europa,
prismi di Venezia (cristalli triangolari che rifrangevano
la luce nei colori dell'iride molto apprezzati dai
cinesi), pitture a olio, ignote fino a quel momento
in Cina, stoffe, bottiglie di vetro decorate - era
dedicato alla composizione di libri.
La prima opera cinese di Ricci vide la luce nel 1595
a Nanchang, dove tentava di aprire una terza residenza,
dopo essere stato bruscamente cacciato da Nanchino.
Si trattava di un Discorso sull'amicizia, nel quale
veniva presentato il pensiero dei principali autori
dell'Occidente intorno a quel tema. Due anni dopo,
al seguito del ministro dei riti, che voleva condurlo
con sé nella capitale per avviare la riforma
del calendario cinese, Ricci giunse per la prima volta
a Pechino. Vi rimase soltanto due mesi, in un clima
di tensione e pesante sospetto nei confronti di possibili
spie straniere, a causa dell'invasione giapponese
della Corea e della mobilitazione dell'esercito cinese
ai confini nord-orientali. Ricci preferì tornare
sui suoi passi, puntando sulla città di Suzhou,
dove sperava di trovare l'amico Qu Taisu che molte
volte lo aveva invitato ad aprirvi una casa. Dopo
un drammatico viaggio a cavallo di circa venti giorni
nella neve e lungo i canali ghiacciati, fu accolto,
stremato da un doppio attacco di dissenteria, dal
fedele amico in una stanza del monastero buddista
di Daniang.
Terminata la guerra col Giappone per la morte del
generale Hideyoshi, gli si aprirono in modo imprevisto
le porte di Nanchino. Qui Ricci entrò nel febbraio
del 1599 insieme a Qu Taisu e vi rimase fino al giugno
dell'anno successivo aprendovi la quarta residenza.
Vi consolidò la sua fama di scienziato, tenendo
lezioni di matematica, logica e filosofia, pubblicando
la seconda edizione della carta geografica universale,
accrescendo enormemente il proprio credito nella classe
dominante cinese.
Ormai i tempi erano maturi per tentare l'ingresso
definitivo nella capitale. Con un corredo di buoni
doni venuti da Macao, in compagnia del confratello
Diego Pantoja, discreto musicista che stava apprendendo
la lingua cinese, e di un certo numero di fratelli
e servi cinesi, nel giugno del 1600 Ricci si avviava
verso Pechino per presentare i suoi doni all'imperatore
Wanli. Fu arrestato lungo il cammino dal potente e
avido eunuco Ma Tang, che volle intromettersi nella
presentazione dei doni. Dopo sei mesi di drammatica
attesa trascorsi in buona parte nella gelida fortezza
di Tianjin, giunse il decreto che chiamava lo straniero
Matteo Ricci a Pechino.
Il 24 gennaio del 1601, dopo 18 anni di fatiche inenarrabili
e di amore straordinario per la nuova patria di adozione,
la porta della città proibita, che non si era
aperta agli ambasciatori delle più grandi potenze
del mondo, una per tutti la Spagna, si apriva dinanzi
al mite, pacifico e tenace Li Madou. Si aprivano non
soltanto ai suoi quadri ad olio, che impressionavano
la corte per l'inusitata vivezza, non solo agli orologi
meccanici che suonavano da soli le ore, al clavicordo
mai udito, ai libri dalle splendide e inopinate rilegature,
ai prismi, alle stoffe, alle monete e ai cristalli
d'Europa; si aprivano alla lealtà dello straniero
divenuto cinese, alla sua dottrina e alla sua virtù.
Ricci non poté mai incontrare l'imperatore,
che si sottraeva persino ai ministri, in un sistema
di relazioni tra l'interno e l'esterno del palazzo,
totalmente controllato dagli eunuchi.
Contro tutte le leggi vigenti, Wanli decise che quello
straniero doveva vivere all'ombra del suo palazzo,
senza mai più allontanarsi dalla capitale.
Gli conferì il titolo di mandarino e provvide
al suo mantenimento, e a quello di altre quattro persone
della casa, fino alla morte del "maestro dell'Occidente".
Questi era ormai divenuto, nella considerazione dell'imperatore,
una sorta di nume tutelare della corte. Nella prefazione
a un'opera che Ricci pubblicherà nel 1605,
intitolata Venticinque sentenze, uno dei maggiori
collaboratori e sostenitori, il mandarino Xu Guangqi,
scriveva che Ricci era divenuto per la corte un protettore
e qualcosa di analogo a ciò che nell'antichità
si pensava del chiosco sul quale le mitiche fenici
avrebbero costruito il loro nido: un oggetto prezioso
per la continuità e successione dell'impero.
Negli anni di Pechino, Ricci incontrò migliaia
di grandi mandarini, strinse amicizia con molti di
essi e, con il credito di cui godeva nella corte,
protesse le altre residenze della Cina. In collaborazione
con un altro dei suoi grandi amici, Li Zizhao, produsse
una nuova edizione più ampia e aggiornata della
carta geografica di tutto il mondo (1602), alla quale
seguirono un'edizione in otto pannelli (1603), l'edizione
di dodici esemplari su seta ordinati dall'imperatore
(1608) e, infine, una riformulazione di questa in
due quadri , che Wanli fece disporre a destra e a
sinistra del trono (1609).
Xitai era giunto ad abbracciare, con le due ali del
suo mappamondo, il trono di Cina. Pubblicò
le sue opere fondamentali di teologia e filosofia,
sostenuto da un altro grande amico, dal destino drammatico
ed eroico, Feng Yingshin. Tradusse in collaborazione
con Xu Guangqi i primi sei libri della Geometria di
Euclide, con il commento del suo maestro Cristoforo
Clavio. Avviò la riforma del calendario e giunse
persino a comporre Otto canzoni per clavicordo occidentale,
che insieme ad altre sette sue opere verranno in seguito
introdotte nella selezione dei capolavori della letteratura
cinese di tutti i tempi. Consumato dalla fatica, tornando
da una visita, Li Madou si mise a letto sentendo che
non si sarebbe rialzato. Era pronto, avendo già
tutto previsto e disposto per la successione. Con
il sorriso del Budda morente sulle labbra e con il
pensiero rivolto al confratello Pierre Coton, che
aveva riportato al cattolicesimo Enrico IV di Francia
e ne era divenuto confessore, Xitai Ricci si spegneva
l'11 maggio del 1610, alle sette di sera.
Wanli, derogando per la prima volta nella storia della
Cina da una ferrea tradizione, concesse un terreno
per la sepoltura di uno straniero che non vi morisse
in missione diplomatica. La tomba di colui che per
primo stabilì nella sua persona e con la sua
opera intensi e duraturi rapporti tra l'Europa e la
Cina é onorata ancor oggi a Pechino. Che cosa
consentì a Ricci di entrare così profondamente
in sintonia con l'anima cinese, al punto da essere
riconosciuto come un figlio di quella terra e considerato
uno dei grandi di quel Paese nell'altare elevato a
Pechino alla fine del secondo millennio?
La prima ragione sembra essere stata la sua capacità
di riconoscere la Cina come un "altro mondo". L'espressione,
che é dello stesso Ricci, va presa alla lettera.
Significa anzitutto che egli riconobbe quel Paese
come un "mondo", a differenza di tutti gli altri popoli
con i quali l'Europa era venuta in contatto. La costituivano
come "mondo" la sua estensione geografica, che abbracciava
tutte le zone climatiche; la sua antichità,
ossia la sua estensione nel tempo; l'autosufficienza
economica, dovuta alle grandi risorse della natura
e a quelle dell'ingegno e dell'arte dei suoi abitanti;
la perfetta organizzazione sociale e politica, superiore
a tutte quelle che la storia aveva fino a quel momento
tramandato; la sua forte identità nazionale.
Caratteri distintivi che rendevano la Cina, agli occhi
di Ricci, "la maggior maraviglia che in questo Oriente
si ritruova di cose naturali e di soprannaturali".
Se la Cina é un "mondo" nello stesso senso
con il quale lo é l'Europa, si deve anche aggiungere
che essa é un mondo totalmente altro, ossia
diverso da quello europeo, contraddistinto dalla civiltà
cristiana. L'alterità della Cina risiede nella
lingua, nei costumi, nell'organizzazione amministrativa
e politica, nel pluralismo e relativismo religioso,
del tutto estraneo ai canoni di una religione unica
perché vera; nella riunione dei poteri religioso
e politico nella persona dell'imperatore, "figlio
del Cielo"; nella totale secolarizzazione, che spinge
a cercare in questo mondo il paradiso.
Ricci era sorpreso nel costatare che i cinesi non
riconoscevano altra nobiltà al di fuori di
quella che si può acquisire con le lettere;
che non amavano le armi e la guerra e per questo erano
sospettosi e dediti alla propria difesa. Mentre per
lo più l'evangelo era portato a regni e popoli
conquistati, la Cina era un impero non assoggettato
ad armi straniere, e talmente autosufficiente, da
concedersi persino di voler ignorare l'esistenza di
potenze straniere planetarie come la Spagna di Filippo
II. Ricci non entra in Cina sulle orme di un esercito;
ma da solo, spinto dalla sete di conoscenza e dal
desiderio di comunicare il tesoro della salvezza.
La
Cina é dunque un "altro" mondo in duplice senso:
é un secondo mondo, l'unico altro mondo oltre
a quello europeo-cristiano; é alternativo e
per certi versi antitetico rispetto a questo. Quando
scriveva che l'obbedienza lo aveva "buttato" nella
"fine della terra", ben sapendo che questa, per la
sua sfericità, non conosce fine, Ricci intendeva
affermare che si trovava piuttosto nel "confine" del
mondo, divenuto in qualche modo egli stesso, con la
sua persona e la sua opera, confine tra due mondi.
In tale posizione egli é stato uno dei grandi
artefici dell'apertura del mondo agli inizi dell'età
moderna.
Quali furono le principali risorse, o gli strumenti,
della sua opera e del suo successo? Anzitutto la sua
profonda e mai vacillante fede religiosa, purificata
e resa sempre più semplice dal confronto con
la diversa ricchezza di altre esperienze religiose.
In secondo luogo le sue virtù umane e cristiane;
quindi lo spirito di amicizia e di amore col quale
si é avvicinato alla diversità dell'altro,
fino ad abbracciarla in tutti gli aspetti esteriori
e interiori che non si opponessero ai principi fondamentali
della sua fede. L'essersi fatto "in tutto un cinese"
fu la via regia della sua opera di confine e di apertura,
resa possibile dalla forza persuasiva e travolgente
del suo umanesimo filosofico e scientifico. Un giorno
ebbe a scrivere: "Questa é una cosa mai udita
nella Cina da che il mondo é mondo, che venisse
a essa forastieri, che gli potessero insegnare in
tutte le scientie con tanto vantaggio". Colui che
si era presentato come umile discepolo e studioso
della millenaria sapienza cinese, finì con
l'esserne riconosciuto come maestro anche per i secoli
a venire.
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