L'autrice é straordinario di Diritto dell'Unione
europea nella facoltà di Giurisprudenza dell'Università
di Bologna e direttore del CIRDCE (Centro interdipartimentale
ricerche sul Diritto comunitario europeo) della stessa
Università.
Dove
sta andando l' Europa? Si muove, questo é certo,
e si ha l'impressione che stia accelerando, che abbia
acquisito un ritmo diverso, ma non é affatto
chiara la direzione di questo moto. Il che genera,
é inutile nasconderlo, un'ansia sottile. Siamo
consapevoli di assistere ad una svolta di un processo
storico, di cui intravediamo un pezzo, una curva,
anche se non ancora la fisionomia finale, come lillipuziani
davanti ad un gigantesco animale di cui sentiamo il
grande respiro ma che é troppo enorme per essere
da noi immediatamente riconoscibile.
Ci eravamo abituati ad una certa idea di Europa a
crescita lenta e progressiva, che avanzava come un
fiume placido e gonfio, allargandosi sempre più,
senza vortici, senza scosse. L'Europa é diventata
sempre più, negli ultimi quarant'anni, la nostra
seconda casa, o meglio il grande condominio cosmopolita
in cui le nostre villette nazionali si rivalutavano,
acquistavano respiro, sembravano meno anguste. Le
regole condominiali disciplinavano i giardinetti,
ci obbligavano a tagliare le erbacce e a dipingere
le facciate. I rapporti di buon vicinato diventavano
consuetudine rassicurante man mano che ci abituavamo
a conoscere e riconoscere le caratteristiche degli
altri condomini e a sopportarne bonariamente (a volte
anche non senza ammirazione) le diversità.
La chiave dell'integrazione europea é nel rispetto
delle differenze, nella consapevolezza che non tutto
si deve e si può armonizzare. Nella sensazione
di ricchezza del dialogo e di molteplicità
dei modelli.
La crescita verso l'ordinamento comune é stata,
progressiva e a tratti anche lenta (ma inesorabile),
basata su piccole baruffe, ma sostanziali intese su
grandi cose, in una sorta di rassicurante ordinaria
amministrazione. Nel frattempo il mito dello Stato
nazionale si andava appannando sempre più,
in alcune situazioni sembrava troppo stretto e in
altre troppo largo. L'esercizio in comune di quote
sempre più ampie di sovranità compensava
la crescente incapacità degli Stati sovrani
a far fronte, da soli, alle sfide della globalizzazione.
L'impressione é che in questo momento il processo
evolutivo si stia impennando bruscamente in un salto
qualitativo che porti ad una trasformazione, ancora
non chiara, dell'ordinamento comunitario. Le cause
del disorientamento sono note: l'allargamento a 25,
la frattura ideologica nei confronti della visione
americana delle relazioni internazionali e, oggi,
anche l'inseguimento troppo affannoso, troppo confuso
e troppo contestato, di una Costituzione europea.
Vediamole una ad una.
Sino
ad ora tutti gli allargamenti, che ci hanno portato
dai sei a quindici membri e che hanno ampliato enormemente
gli orizzonti geografici e culturali sono stati metabolizzati
piuttosto rapidamente e senza traumi apparenti. Sul
piano ideale, l'allargamento era fonte di orgoglio,
era l'esportazione di un modello culturale. Sul piano
pratico, l'allargamento era l'applicazione di un nuovo
metodo delle relazioni internazionali e della loro
organizzazione. Il metodo comunitario, appunto, che,
grazie alla predisposizione di istituzioni comuni
forti ed indipendenti dagli Stati, consentiva di superare
la sfera internazionale creandone una sovranazionale.
Certo rimaneva il senso di incompiuto, di perfettibile,
e, sotto il profilo della cittadinanza dell'Unione,
anche di insufficiente. Il presente allargamento per
le sue proporzioni ha determinato una specie di shock,
di disorientamento spaziale e culturale, in cui per
la prima volta l'Europa non percepisce l'espansione
del proprio modello, ma tende a richiudersi in sé
timorosa, come contro una sorta di invasione. Fra
le conseguenze dell'allargamento c'é anche
il moltiplicarsi delle geometrie variabili, la perdita
o l'irrilevanza di alleanze tradizionali e la ridiscussione
dei rapporti di forza, che rende relative posizioni
prima assolute.
Se lo shock da allargamento sembra però destinato
a riassorbirsi in tempi non lunghi, lo stesso forse
non può dirsi per la spaccatura intraeuropea
nei confronti degli Stati Uniti, perché é
probabilmente interesse di questi ultimi continuare
a mantenerla viva,secondo la logica del divide
et impera. Ed é una frattura dolorosissima
perché pone in discussione non solo interessi
strategici ed economici, ma anche modelli e valori,
proprio in un momento in cui l'Unione é impegnata
in uno sforzo fondativo di integrazione costituzionale,
che presupporrebbe appunto la condivisione di questi.
Ma proprio il processo costituzionale in atto, se
non sarà gestito in maniera adeguata, rischia
di costituire un ulteriore fattore di disorientamento
La revisione e forse la rifondazione dell'UE é
indubbiamente necessaria. Se tuttavia da un lato si
tende a rifiutare modelli passati, noti e rassicuranti,
di cui si afferma però l'attuale inadeguatezza
rispetto alle dimensioni e alle ambizioni dell'Unione,
dall'altro non sembra emergere un consenso sulle caratteristiche
che il futuro modello dovrebbe avere per rispondere
alla sfida delle nuove dimensioni e ambizioni. In
questo momento l'Europa fa fatica a riconoscersi in
un futuro non chiaro, in un progetto che appare non
tanto un disegno coerente quanto piuttosto la risultante
in parte casuale di forze opposte che spingono nell'una
o nell'altra direzione.
Il dibattito sulla Costituzione é stato di
per sé un fattore molto positivo per la formazione
dell'identità europea. La conoscenza delle
questioni politico-istituzionali dell'Unione é
uscita dai dibattiti degli specialisti e ha conquistato
ampi spazi nell'informazione e nel confronto politico
all'interno degli Stati membri. Se tuttavia tale dibattito
non porterà a risultati condivisi e chiari,
l'Unione ne uscirà sconfitta e i suoi cittadini
non comprenderanno e si sentiranno spaesati e allontanati
rispetto ad una nuova entità che, continuando
a non assomigliare a nient'altro, ora rischia però
di non assomigliare neppure a sé stessa.
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