232 - 19/07/03


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Un'Europa più comprensiva che arrogante
Predrag Matvejevic' con Paola Casella

I suoi scritti - Epistolario dell'altra Europa; I signori della guerra e soprattutto Breviario Mediterraneo, un caso editoriale tradotto in 23 lingue - raccontano quella fetta del continente europeo spesso relegata suo malgrado alla serie B, anche in ambito comunitario. Predrag Matvejevic', cittadino italiano nato in Bosnia da madre croata e padre russo, docente di letteratura slava all'Università La Sapienza e consulente di Romano Prodi per il Mediterraneo, è quasi una incarnazione dell'identità europea nella sua accezione più poliedrica. "Me l'hanno detto anche durante la premiazione", osserva lui, a metà fra il divertito e il perplesso, riferendosi al primo Premio Strega Europeo (vedi articoli collegati) che è stato assegnato il 2 luglio scorso al suo ultimo saggio, L'altra Venezia, appena uscito per Garzanti (ma già arrivato alla seconda edizione).

Che effetto le ha fatto ricevere questo premio, alla sua prima, e forse unica, edizione?

A dire la verità ero sorpreso, per varie ragioni: la prima è che gli scrittori che hanno un atteggiamento di dissenso sono più abituati ad essere criticati ed emarginati, quando non addirittura trattati da traditori e spie straniere, che premiati. La seconda è che apprezzavo veramente gli altri scrittori in concorso, ero onorato di trovarmi fra di loro, e non credevo di poterli superare. Infine non immaginavo che un libro difficile come L'altra Venezia, al quale ho lavorato per quasi due anni - nonostante sia di sole 130 pagine - potesse interessare la giuria. Tantopiù che ho trattato di un soggetto come la città di Venezia che molti italiani, per non parlare poi dei veneziani, considerano prioprietà privata. Come può uno slavo, uno straniero, dire a un veneziano cos'è la Venezia intima, fuori dagli stereotipi, fuori dal kitch che a Venezia esiste ed è quasi prevalente?

Forse la giuria ha voluto premiare proprio l'opportunità, da parte di qualunque cittadino europeo, di raccontare un luogo di un altro paese d'Europa.

Forse è così, forse a poco a poco, pur con grande difficoltà, questo atteggiamento comincia a farsi strada. Forse, come dicevamo, hanno premiato la mia identità composita: avevo una madre croata della Bosnia - ci tengo molto a questa mia componente - e un padre russo emigrato nel 1920 che mi parlava in russo e in francese. Sono diventato cittadino italiano perché qualche anno fa amici come Claudio Magris e Raffaele La Capria hanno chiesto al Presidente della Repubblica di darmi la cittadinanza. E anche da italiano mi comporto come un cittadino critico, senza sacrificare la capacità di dissentire che ho sviluppato all'Est. Infine ho insegnato tanti anni alla Sorbona e ho scritto alcuni dei miei libri in francese.

Chi più europeo di lei...

Sì, ma un europeo infelice, perché credo che l'Europa potrebbe essere molto migliore di quella che è. E non parlo solo in termini di allargamento. Anzi, io non parlo mai di "allargamento dell'Europa" ma di "riunificazione": se l'Europa si annettesse una parte dell'Africa o dell'Asia si allargherebbe, ma quando si tratta di includere nell'Unione paesi che già fanno parte del Continente europeo il termine "allargamento" non è corretto.

Come vorrebbe l'Europa del futuro?

L'ho dettagliato nell'articolo che pubblicate su questo numero, lo riassumo così: un'Europa meno egoista, più aperta al Terzo mondo, più in mano ai cittadini che agli stati, più consapevole di se stessa. Più culturale che commerciale, più cosmopolita che comunitaria, più accogliente che orgogliosa. Più disposta al dialogo e alla tolleranza, più comprensiva che arrogante. Per quanto mi riguarda, visto che ho vissuto in prima persona l'esperienza dell'Est, mi auguro un'Europa più "socialista dal volto umano", come diceva Sacharov, e meno "capitalista senza volto".

Qual è il suo contributo alla creazione di una nuova Europa?

Sono molto lieto di poter aiutare, grazie alle mie conoscenze sul Mediterraneo, il Gruppo dei saggi che Romano Prodi ha creato all'interno della Commissione europea, allo scopo di stilare la proposta, da sottoporre ai capi degli stati dell'Unione europea entro la fine dell'anno, di "piegare" un po' la politica europea verso il sud del continente. Così com'è, l'Unione è troppo "nordocentrica". L'Europa non si può fare senza la sua culla, che è il Mediterraneo. Del Gruppo dei saggi fanno parte per l'Italia anche Umberto Eco e Tullia Zevi, nome di spicco della cultura ebraica che ci aiuta a comunicare più facilmente con quei Paesi arabi in difficoltà nel trovare un dialogo con Israele. Siamo personalità molto autonome, e ho trovato Prodi particolarmente interessante: un uomo onesto - per questo mi fanno molto arrabbiare certe maldicenze sul suo conto.

Che cosa può unire le culture dei vari paesi europei?

In realtà le culture sono spesso più vicine degli stati. La presa di coscienza della nostra europeità è talvolta ritardata dal fatto, ad esempio, che i programmi scolastici sono troppo incentrati sulla cultura nazionale. Non è così dappertutto: nelle scuole medie dell'ex Jugoslavia, dove sono nato io, abbiamo studiato quattro o cinque scrittori italiani - la grande triade Dante-Boccaccio-Petrarca, Manzoni. Nella scuola media italiana invece non si parla affatto dei giganti della letteratura europea, come Dostojewski o Tolstoj, e questa è una cosa da cambiare. Capisco bene il detto di Massimo D'Azeglio "Abbiamo fatto l'Italia adesso bisogna fare gli italiani", ma mi pare un atteggiamento durato troppo a lungo, ormai non c'è più bisogno di creare il nuovo suddito italiano.

Abbiamo fatto l'Europa, adesso bisogna fare gli europei. Secondo lei, come si fa?

Poiché io mi occupo soprattutto del Mediterraneo, dopo lo smacco della conferenza di Barcellona, che proponeva tanti programmi appassionanti, mi ritrovo in qualche modo frustrato da politiche prive di quelle griglie di lettura attraverso le quali si potrebbero leggere meglio le problematiche di questa parte del continente. C'è ancora tanto da fare. Ma per fortuna esistono già vari programmi (che favoriscono un senso di cittadinanza europea, ndr) a livello di Commissione europea: per restare in ambito scolastico, abbiamo stabilito un accordo perché i crediti di un'università europea vengano accettati dalle altre.

Ha fiducia nei giovani?

Da nove anni insegno al'università romana La Sapienza letteratura slava, e gli studenti italiani mi piacciono molto, seguono seriamente i miei corsi con grande passione, pur sapendo che saranno futuri disoccupati. Purtroppo però mostrano anche grandi insufficienze di cultura generale. Ma è la stessa organizzazione universitaria che talvolta lascia a desiderare.

A che cosa attribuisce la mancanza di coinvolgimento dei cittadini europei rispetto alle iniziative comunitarie?

C'è un rifiuto di partecipare, che si esprime con la massima evidenza durante le elezioni: la democrazia elettorale viene messa in questione dagli elettori stessi. Io credo che l'idea del secolo sarà una forma di autogestione, nella quale colui che vota avrà più di potere decisionale. Una democrazia partecipativa che potrebbe ovviare ai difetti della democrazia attuale.

Che ne pensa delle teorie sulla democrazia deliberativa?

Speriamo che sia l'Europa, dove la democrazia è nata e che può vantare grandi tradizioni, come l'idea del foro al quale possono partecipare i cittadini, a proporre nuove soluzioni. A condizione che non rimanga eurocentrica, ma sappia aprirsi davvero al resto del mondo.

Qual è, secondo lei, il minimo comun denominatore di una possibile identità europea?

E' difficile accordarsi su ciò che costituirebbe un minimo comun denominatore. Ci troviamo dinanzi al problema della particolarità: fino a che punto si può difendere l'identità se il denominatore comune è insufficiente? Spesso sbagliamo vedendo l'identità come una singolarità: l'identità è plurale in sé. Gli antichi romani avevano un bellissimo proverbio in tre parole: idem nec unum, identico ma non unico. L'identità non è una unicità, perché contiene in sé una serie di contenuti complessi. Ogni volta che l'identità si riduce a una delle sue componenti, c'è il pericolo di vederla sminuita.

E quanto all'inglese come lingua comune dell'Unione europea?

Sono assolutamente contrario: è una minaccia di imperialismo linguistico, che come tutti gli imperialismi è inaccettabile. Non si può esprimere la pluralità con una singolarità, e la lingua inglese sarebbe una singolarità. A volte sono addirittura offeso quando vedo in una grande manifestazione dell'Unione europea che la lingua italiana non è presente. La lingua di Dante deve avere il suo posto accanto a quella di Tolstoj e di Shakespeare.

Chi è Predrag Matvejevic':

Pedrag Matvejevic' è nato a Mostar nel 1932: padre russo. é stato docente di letteratura francese all'Università di Zagabria e di letterature comparate alla Sorbona di Parigi (Nouvelle Sorbonne-Paris III); dal 1994 lavora in Italia, dove è docente di slavistica all'Università di Roma La Sapienza. é presidente del Comitato Internazionale della Fondazione Laboratorio Mediterraneo. Nel gennaio del 2000 Pedrag ha ricevuto un incarico dall'Alto Commisariato dell'Onu per i territori della ex-Jugoslavia. Fa parte del Gruppo dei saggi presso la Commissione Europea.

Bibliografia:

Breviario Mediterraneo (ed. it. 1988, ripubblicato in edizione rivista ed ampliata nel 1991 da Garzanti col titolo Mediterraneo - Un nuovo breviario), Epistolario dell'altra Europa (Garzanti, 1992), Sarajevo (Motta, 1995), Ex Jugoslavia. Diario di una guerra (Magma, 1995), Mondo Ex - Confessioni (Garzanti, 1996),Tra asilo ed esilio (Roma, 1998), Il Mediterraneo e l'Europa - lezioni al College de France (Garzanti, 1998), I signori della guerra (Garzanti, 1999), Isolario mediterraneo (Motta, 2000), L'altra Venezia (Garzanti 2003).

Il link:

Predrag Matvejevic's official homepage http://www.giardini.sm/matvejevic/
Raccolta di testi e interviste in italiano, inglese e francese, a cura dello stesso Matvejevic e di Roberto Paci Dalo'


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