I
suoi scritti - Epistolario dell'altra Europa;
I signori della guerra e soprattutto Breviario
Mediterraneo, un caso editoriale tradotto in 23
lingue - raccontano quella fetta del continente europeo
spesso relegata suo malgrado alla serie B, anche in
ambito comunitario. Predrag Matvejevic', cittadino
italiano nato in Bosnia da madre croata e padre russo,
docente di letteratura slava all'Università
La Sapienza e consulente di Romano Prodi per il Mediterraneo,
è quasi una incarnazione dell'identità
europea nella sua accezione più poliedrica.
"Me l'hanno detto anche durante la premiazione", osserva
lui, a metà fra il divertito e il perplesso,
riferendosi al primo Premio Strega Europeo (vedi articoli
collegati) che è stato assegnato il 2 luglio
scorso al suo ultimo saggio, L'altra Venezia,
appena uscito per Garzanti (ma già arrivato
alla seconda edizione).
Che effetto le ha fatto ricevere questo premio,
alla sua prima, e forse unica, edizione?
A dire la verità ero sorpreso, per varie ragioni:
la prima è che gli scrittori che hanno un atteggiamento
di dissenso sono più abituati ad essere criticati
ed emarginati, quando non addirittura trattati da
traditori e spie straniere, che premiati. La seconda
è che apprezzavo veramente gli altri scrittori
in concorso, ero onorato di trovarmi fra di loro,
e non credevo di poterli superare. Infine non immaginavo
che un libro difficile come L'altra Venezia,
al quale ho lavorato per quasi due anni - nonostante
sia di sole 130 pagine - potesse interessare la giuria.
Tantopiù che ho trattato di un soggetto come
la città di Venezia che molti italiani, per
non parlare poi dei veneziani, considerano prioprietà
privata. Come può uno slavo, uno straniero,
dire a un veneziano cos'è la Venezia intima,
fuori dagli stereotipi, fuori dal kitch che a Venezia
esiste ed è quasi prevalente?
Forse la giuria ha voluto premiare proprio l'opportunità,
da parte di qualunque cittadino europeo, di raccontare
un luogo di un altro paese d'Europa.
Forse è così, forse a poco a poco,
pur con grande difficoltà, questo atteggiamento
comincia a farsi strada. Forse, come dicevamo, hanno
premiato la mia identità composita: avevo una
madre croata della Bosnia - ci tengo molto a questa
mia componente - e un padre russo emigrato nel 1920
che mi parlava in russo e in francese. Sono diventato
cittadino italiano perché qualche anno fa amici
come Claudio Magris e Raffaele La Capria hanno chiesto
al Presidente della Repubblica di darmi la cittadinanza.
E anche da italiano mi comporto come un cittadino
critico, senza sacrificare la capacità di dissentire
che ho sviluppato all'Est. Infine ho insegnato tanti
anni alla Sorbona e ho scritto alcuni dei miei libri
in francese.
Chi più europeo di lei...
Sì, ma un europeo infelice, perché credo
che l'Europa potrebbe essere molto migliore di quella
che è. E non parlo solo in termini di allargamento.
Anzi, io non parlo mai di "allargamento dell'Europa"
ma di "riunificazione": se l'Europa si annettesse
una parte dell'Africa o dell'Asia si allargherebbe,
ma quando si tratta di includere nell'Unione paesi
che già fanno parte del Continente europeo
il termine "allargamento" non è corretto.
Come vorrebbe l'Europa del futuro?
L'ho dettagliato nell'articolo che pubblicate su questo
numero, lo riassumo così: un'Europa meno egoista,
più aperta al Terzo mondo, più in mano
ai cittadini che agli stati, più consapevole
di se stessa. Più culturale che commerciale,
più cosmopolita che comunitaria, più
accogliente che orgogliosa. Più disposta al
dialogo e alla tolleranza, più comprensiva
che arrogante. Per quanto mi riguarda, visto che ho
vissuto in prima persona l'esperienza dell'Est, mi
auguro un'Europa più "socialista dal volto
umano", come diceva Sacharov, e meno "capitalista
senza volto".
Qual è il suo contributo alla creazione
di una nuova Europa?
Sono molto lieto di poter aiutare, grazie alle mie
conoscenze sul Mediterraneo, il Gruppo dei saggi che
Romano Prodi ha creato all'interno della Commissione
europea, allo scopo di stilare la proposta, da sottoporre
ai capi degli stati dell'Unione europea entro la fine
dell'anno, di "piegare" un po' la politica europea
verso il sud del continente. Così com'è,
l'Unione è troppo "nordocentrica". L'Europa
non si può fare senza la sua culla, che è
il Mediterraneo. Del Gruppo dei saggi fanno parte
per l'Italia anche Umberto Eco e Tullia Zevi, nome
di spicco della cultura ebraica che ci aiuta a comunicare
più facilmente con quei Paesi arabi in difficoltà
nel trovare un dialogo con Israele. Siamo personalità
molto autonome, e ho trovato Prodi particolarmente
interessante: un uomo onesto - per questo mi fanno
molto arrabbiare certe maldicenze sul suo conto.
Che cosa può unire le culture dei vari paesi
europei?
In realtà le culture sono spesso più
vicine degli stati. La presa di coscienza della nostra
europeità è talvolta ritardata dal fatto,
ad esempio, che i programmi scolastici sono troppo
incentrati sulla cultura nazionale. Non è così
dappertutto: nelle scuole medie dell'ex Jugoslavia,
dove sono nato io, abbiamo studiato quattro o cinque
scrittori italiani - la grande triade Dante-Boccaccio-Petrarca,
Manzoni. Nella scuola media italiana invece non si
parla affatto dei giganti della letteratura europea,
come Dostojewski o Tolstoj, e questa è una
cosa da cambiare. Capisco bene il detto di Massimo
D'Azeglio "Abbiamo fatto l'Italia adesso bisogna fare
gli italiani", ma mi pare un atteggiamento durato
troppo a lungo, ormai non c'è più bisogno
di creare il nuovo suddito italiano.
Abbiamo
fatto l'Europa, adesso bisogna fare gli europei. Secondo
lei, come si fa?
Poiché io mi occupo soprattutto del Mediterraneo,
dopo lo smacco della conferenza di Barcellona, che
proponeva tanti programmi appassionanti, mi ritrovo
in qualche modo frustrato da politiche prive di quelle
griglie di lettura attraverso le quali si potrebbero
leggere meglio le problematiche di questa parte del
continente. C'è ancora tanto da fare. Ma per
fortuna esistono già vari programmi (che favoriscono
un senso di cittadinanza europea, ndr) a livello di
Commissione europea: per restare in ambito scolastico,
abbiamo stabilito un accordo perché i crediti
di un'università europea vengano accettati
dalle altre.
Ha fiducia nei giovani?
Da nove anni insegno al'università romana La
Sapienza letteratura slava, e gli studenti italiani
mi piacciono molto, seguono seriamente i miei corsi
con grande passione, pur sapendo che saranno futuri
disoccupati. Purtroppo però mostrano anche
grandi insufficienze di cultura generale. Ma è
la stessa organizzazione universitaria che talvolta
lascia a desiderare.
A che cosa attribuisce la mancanza di coinvolgimento
dei cittadini europei rispetto alle iniziative comunitarie?
C'è un rifiuto di partecipare, che si esprime
con la massima evidenza durante le elezioni: la democrazia
elettorale viene messa in questione dagli elettori
stessi. Io credo che l'idea del secolo sarà
una forma di autogestione, nella quale colui che vota
avrà più di potere decisionale. Una
democrazia partecipativa che potrebbe ovviare ai difetti
della democrazia attuale.
Che ne pensa delle teorie sulla democrazia deliberativa?
Speriamo che sia l'Europa, dove la democrazia è
nata e che può vantare grandi tradizioni, come
l'idea del foro al quale possono partecipare i cittadini,
a proporre nuove soluzioni. A condizione che non rimanga
eurocentrica, ma sappia aprirsi davvero al resto del
mondo.
Qual è, secondo lei, il minimo comun denominatore
di una possibile identità europea?
E' difficile accordarsi su ciò che costituirebbe
un minimo comun denominatore. Ci troviamo dinanzi
al problema della particolarità: fino a che
punto si può difendere l'identità se
il denominatore comune è insufficiente? Spesso
sbagliamo vedendo l'identità come una singolarità:
l'identità è plurale in sé. Gli
antichi romani avevano un bellissimo proverbio in
tre parole: idem nec unum, identico ma non
unico. L'identità non è una unicità,
perché contiene in sé una serie di contenuti
complessi. Ogni volta che l'identità si riduce
a una delle sue componenti, c'è il pericolo
di vederla sminuita.
E quanto all'inglese come lingua comune dell'Unione
europea?
Sono assolutamente contrario: è una minaccia
di imperialismo linguistico, che come tutti gli imperialismi
è inaccettabile. Non si può esprimere
la pluralità con una singolarità, e
la lingua inglese sarebbe una singolarità.
A volte sono addirittura offeso quando vedo in una
grande manifestazione dell'Unione europea che la lingua
italiana non è presente. La lingua di Dante
deve avere il suo posto accanto a quella di Tolstoj
e di Shakespeare.
Chi è Predrag Matvejevic':
Pedrag Matvejevic' è nato a Mostar nel 1932:
padre russo. é stato docente di letteratura francese
all'Università di Zagabria e di letterature
comparate alla Sorbona di Parigi (Nouvelle Sorbonne-Paris
III); dal 1994 lavora in Italia, dove è docente
di slavistica all'Università di Roma La Sapienza.
é presidente del Comitato Internazionale della Fondazione
Laboratorio Mediterraneo. Nel gennaio del 2000 Pedrag
ha ricevuto un incarico dall'Alto Commisariato dell'Onu
per i territori della ex-Jugoslavia. Fa parte del
Gruppo dei saggi presso la Commissione Europea.
Bibliografia:
Breviario Mediterraneo (ed. it. 1988, ripubblicato
in edizione rivista ed ampliata nel 1991 da Garzanti
col titolo Mediterraneo - Un nuovo breviario), Epistolario
dell'altra Europa (Garzanti, 1992), Sarajevo (Motta,
1995), Ex Jugoslavia. Diario di una guerra (Magma,
1995), Mondo Ex - Confessioni (Garzanti, 1996),Tra
asilo ed esilio (Roma, 1998), Il Mediterraneo e l'Europa
- lezioni al College de France (Garzanti, 1998), I
signori della guerra (Garzanti, 1999), Isolario mediterraneo
(Motta, 2000), L'altra Venezia (Garzanti 2003).
Il link:
Predrag Matvejevic's official homepage http://www.giardini.sm/matvejevic/
Raccolta di testi e interviste in italiano, inglese
e francese, a cura dello stesso Matvejevic e di Roberto
Paci Dalo'
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