231 - 09/05/03


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Goodbye Lenin, hallo German cinema

Wolfgang Becker con Paola Casella


Supponiamo che cada il muro di Berlino e qualcuno non se ne accorga: è questa, parafrasando il titolo di un film anni Sessanta, la paradossale premessa di Goodbye, Lenin!, l'ultimo film del regista tedesco Wolfgang Becker, che narra le vicende di una madre di famiglia della DDR caduta in coma proprio alla viglia del crollo del muro e tornata alla vita qualche mese dopo. Poiché la donna è un'accanita sostenitrice del Partito - per motivi che hanno a che fare più con la propria biografia privata che con un vero fervore ideologico, come scopriremo - il figlio, che l'adora, continua a tenerle nascosto il "terribile evento", dal punto di vista di una socialista inveterata.

Il ragazzo arriva a ricreare nella camera da letto della madre l'habitat della Germania Est (il titolo originale del film è "La DDR in 7O metri quadri") e a registrare e mandare in onda "a circuito chiuso" finti programmi televisivi dove si nega tutto ciù che avviene al di fuori di quella stanza: l'arrivo del consumismo e l'invasione di MacDonald e Coca Cola, l'esodo dei tedeschi dell'Est verso l'Ovest, il tramonto dei miti del comunismo sovietico - l'immagine simbolo del film è una statua di Lenin che sorvola Berlino alla volta della rottamazione (e chi, vedendo il film, non ha fatto un parallello immediato con le effigi di Saddam recentemente abbattute?).

Goodbye, Lenin! è una commedia amara, o se preferite un dramma comico, sempre in bilico fra umorismo e tragedia. Un po' come La vita è bella, con il quale il film di Becker ha in comune la trovata geniale (quella di nascondere la realtà a un proprio caro come estremo atto d'amore, e per amore riscrivere un evento chiave della storia) sviluppata attraverso una sceneggiatura complessa e ricca di colpi di scena, giocata sull'incalzare degli eventi, come in ogni storia en travestie che si rispettino, con la differenza che a temere di essere smascherato non è un impostore (vedi, nel cinema recente, Prova a prendermi, L'avversario e Confessioni di una mente pericolosa), ma la realtà circostante.

In Germania, Goodbye, Lenin! ha sbancato il botteghino: 5 milioni di spettatori, quasi 40 milioni di euro di incasso e nove Lola, il corrispettivo tedesco degli Oscar. Ma anche nel resto d'Europa sta andando molto bene, complice il calcio di avvio del Festival di Berlino, che gli ha conferito il premio AGICOA come Miglior film europeo. E l'America non è stata a guardare: Goodbye, Lenin! è stato acquistato dalla Sony Classics, che aveva già distribuito negli Stati Uniti quel Lola corre del regista tedesco Tom Tykwer che per primo aveva fatto parlare il mondo di una rinascita del cinema teutonico.

Tykwer e Becker sono partner, insieme a Dani Levy, altro regista emergente sulla scena tedesca, della casa di produzione X-Filme, che ha già all'attivo una serie di successi di critica e di pubblico. I registi della X-Film si occupano direttamente della promozione e della vendita all'estero dei propri "prodotti", con un pragmatismo che farebbe inorridire certi nostri (spesso sedicenti) artisti del grande schermo. I risultati si vedono: è dagli anni Settanta, dalla nascita del cosiddetto Nuovo cinema tedesco - quello di Fassbinder, Wenders e Herzog, per intenderci - che non si vedevano le sale tedesche così piene per un film made in Germany. Ma Goodbye, Lenin! ha ricevuto il plauso della critica soprattutto per avere saputo guardare in modo originale e divertente - nel senso vero di entertainment - alla storia recente del proprio paese.

Come è nata l'idea di Goodbye, Lenin!?

Volevo mescolare storia privata e storia nazionale, sforzandomi di riflettere sul nostro passato, ma anche di rendere la vicenda del film comprensibile a chi non ha mai messo piede in Germania. Io sono nato in Westfalia e la mia conoscenza della DDR era abbastanza limitata prima di cominciare le ricerche per mettere a punto la sceneggiatura del film, che nasce da un mio soggetto, ma che è stata sviluppata insieme a uno sceneggiatore professionista, Bernd Lichtenberg. Ci sono mille agganci all'attualità e alla storia nazionale, mille dettagli riconoscibili per gli spettatori tedeschi, ma in fin dei conti si tratta sempre di una storia d'amore, quella fra un figlio e sua madre, e questo fa sì che chiunque possa immedesimarsi nei due protagonisti.

Il personaggio della madre sembra simboleggiare una certa nostalgia per la vecchia DDR.

Diciamo che la madre fa da cartina di tornasole per tutto quanto c'era di buono, ma anche di meno buono, nella Germania dell'Est: da una parte l'altruismo, l'impegno, la coscienza sociale; dall'altra la mancanza di alternative, la chiusura mentale, il fanatismo, le restrizioni sui diritti civili. Non parlerei di nostalgia, ma di uno sguardo attento e affettuoso su come eravamo, noi tedeschi, prima della riunificazione. Per me è stato molto interessante osservare le reazioni del pubblico: i tedeschi di provenienza orientale ridono in momenti diversi rispetto ai tedeschi dell'Ovest. Così come il pubblico italiano, quello francese o spagnolo, ridono ad alcune battute e non ne colgono altre. Ma la cosa importante è che ridono tutti.

Per lei e per i suoi partner nella X-Filme si è parlato di Nuovissimo cinema tedesco, a indicare che rappresentate un passo avanti rispetto al cinema dei maestri anni Settanta.

Ho 48 anni e sono già al quarto film, quindi fatico a riconoscermi nell'etichetta di "nuovissimo". (Ride) Prima di diventare un cineasta ero un appassionato cinéphile: mi sono visto tutto Schlndorff e Fassbinder, i film di Margarethe Von Trotta e Werner Herzog, Wim Wenders e Reinhard Hauff. Sicuramente ne ho subito l'influenza, ma a loro volta questi autori erano stati influenzati dagli americani ed europei che li avevano preceduti. Chi fa cinema oggi è inevitabilmente il prodotto di tutto ciù che ha visto in passato, ed è difficile stabilire con esattezza chi abbia lasciato le tracce più consistenti. Per fare un esempio: in Goodbye, Lenin! cito Francois Truffaut, Stanley Kubrick e Jean-Pierre Jeunet, il regista del Favoloso mondo di Amelie, al quale ho "rubato" anche Yann Tiersen, il compositore della colonna sonora.

Qual è il segreto del successo internazionale della X-Filme?

Quando, nove anni fa, Tom Tykwer, Dani Levy, il produttore Stefan Arndt ed io abbiamo fondato la X-Filme, ci siamo imposti come primo criterio l'esportabilità dei nostri film in tutto il mondo, a condizione perù di non allontanarci artisticamente dalle nostre radici. L'idea era quella di raccontare storie locali e renderle universali, superando il pregiudizio che il film tedeschi non siano comprensibili per il resto del mondo. Uno dei principali miti da sfatare era quello che i tedeschi non abbiano senso dell'umorismo. Con Goodbye, Lenin! ho voluto raccontare una storia importante ma anche ricca di spunti comici, che consentisse al pubblico, tedesco e internazionale, di ridere di argomenti prima considerati tabù, un po' come aveva fatto Agneska Holland con il suo Europa, Europa!. Il risultato è che il film è stato venduto in 32 paesi, Stati Uniti compresi.

Sono convinto che un film sia una conversazione fra il regista e il pubblico, lo penso anche come spettatore, e quindi da regista mi sforzo di parlare in modo comprensibile a quante più persone possibili. Questo non vuol dire semplificare eccessivamente la storia o i dialoghi - tant'è vero che Goodbye, Lenin! richiede una grande attenzione da parte dello spettatore per non perdersi i numerosi passaggi della trama - e nemmeno che i miei film debbano essere abbassati al minimo comune denominatore. Ma devono rimanere accessibili. Il che, tra l'altro, rientra nella tradizione del Nuovo cinema tedesco: molti film di Fassbinder, ad esempio, erano pensati per il grande pubblico. Ed è giusto così: non si puù creare una cultura cinematografica nazionale girando solo film "artistici" che alienano il pubblico annoiandolo a morte.

Esiste, secondo lei, un'identità culturale europea?

Non mi sono mai posto il problema. Quando uno scrive e poi dirige un film, non sa esattamente ciù che sta facendo, tantomeno a quale filone culturale egli appartenga. Io cerco solo di raccontare storie avvincenti e far divertire la gente, in modo che non si accorga di essere rimasta intrappolata in una sala cinematografica per due ore. Se un mio film contribuisce a formare un'identità europea, sono contento, ma lo considero un effetto collaterale.

Ciù che so è che nessun cineasta puù nascondere la propria identità, e dunque anche la propria cultura nazionale emerge inevitabilmente in ogni suo film. Credo che questo sia fondamentale per rendere noi registi europei competitivi sia sul mercato Europeo, che nei confronti degli americani. Il nostro più grave errore, nel passato recente, è stato quello di scimmiottare il cinema di Hollywood: i film americani li fanno meglio in America, noi dobbiamo continuare a raccontare le nostre storie secondo i nostri canoni.


Chi è Wolfgang Becker:

Nato a Hemer nel 1954, Wolfgang Becker si è diplomato alla Deutsche Film- und Fernsehakademie (DFFB), l'accademia nazionale del cinema tedesco a Berlino, dopo aver conseguito una laurea in Storia tedesca e Studi americani. Ha iniziato a lavorare nel cinema come operatore, e il suo progetto di laurea, il lungometraggio Schmetterlinge, ha vinto il Festival di Locarno nel 1988. Seguono Kinderspiele (1992), Das Leben ist eine Baustelle (1997) e Goodbye, Lenin! (2003), gli ultimi due in concorso al Festival di Berlino.


I link:

Sito ufficiale del film Goodbye, Lenin!:
http://www.good-bye-lenin.de/index2.php


Il principale sito sul cinema tedesco
http://www.german-cinema.de


Il sito del Goethe-Institut Inter Nationes
http://www.goethe.de/


The DEFA Film Library Cinema of East Germany, (la cineteca che raccoglie e commenta i film della Germania Est)
http://www.umass.edu/defa/CourseMaterials/emdesyllabus.htm


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