Supponiamo che cada il muro di Berlino
e qualcuno non se ne accorga: è questa, parafrasando
il titolo di un film anni Sessanta, la paradossale
premessa di Goodbye, Lenin!, l'ultimo film
del regista tedesco Wolfgang Becker, che narra le
vicende di una madre di famiglia della DDR caduta
in coma proprio alla viglia del crollo del muro e
tornata alla vita qualche mese dopo. Poiché la donna
è un'accanita sostenitrice del Partito - per motivi
che hanno a che fare più con la propria biografia
privata che con un vero fervore ideologico, come scopriremo
- il figlio, che l'adora, continua a tenerle nascosto
il "terribile evento", dal punto di vista di una socialista
inveterata.
Il ragazzo arriva a ricreare nella camera da letto
della madre l'habitat della Germania Est (il titolo
originale del film è "La DDR in 7O metri quadri")
e a registrare e mandare in onda "a circuito chiuso"
finti programmi televisivi dove si nega tutto ciù
che avviene al di fuori di quella stanza: l'arrivo
del consumismo e l'invasione di MacDonald e Coca Cola,
l'esodo dei tedeschi dell'Est verso l'Ovest, il tramonto
dei miti del comunismo sovietico - l'immagine simbolo
del film è una statua di Lenin che sorvola Berlino
alla volta della rottamazione (e chi, vedendo il film,
non ha fatto un parallello immediato con le effigi
di Saddam recentemente abbattute?).
Goodbye, Lenin! è una commedia amara, o se
preferite un dramma comico, sempre in bilico fra umorismo
e tragedia. Un po' come La vita è bella, con
il quale il film di Becker ha in comune la trovata
geniale (quella di nascondere la realtà a un proprio
caro come estremo atto d'amore, e per amore riscrivere
un evento chiave della storia) sviluppata attraverso
una sceneggiatura complessa e ricca di colpi di scena,
giocata sull'incalzare degli eventi, come in ogni
storia en travestie che si rispettino, con
la differenza che a temere di essere smascherato non
è un impostore (vedi, nel cinema recente, Prova
a prendermi, L'avversario e Confessioni
di una mente pericolosa), ma la realtà circostante.
In Germania, Goodbye, Lenin! ha sbancato il
botteghino: 5 milioni di spettatori, quasi 40 milioni
di euro di incasso e nove Lola, il corrispettivo tedesco
degli Oscar. Ma anche nel resto d'Europa sta andando
molto bene, complice il calcio di avvio del Festival
di Berlino, che gli ha conferito il premio AGICOA
come Miglior film europeo. E l'America non è stata
a guardare: Goodbye, Lenin! è stato acquistato
dalla Sony Classics, che aveva già distribuito negli
Stati Uniti quel Lola corre del regista tedesco
Tom Tykwer che per primo aveva fatto parlare il mondo
di una rinascita del cinema teutonico.
Tykwer e Becker sono partner, insieme a Dani Levy,
altro regista emergente sulla scena tedesca, della
casa di produzione X-Filme, che ha già all'attivo
una serie di successi di critica e di pubblico. I
registi della X-Film si occupano direttamente della
promozione e della vendita all'estero dei propri "prodotti",
con un pragmatismo che farebbe inorridire certi nostri
(spesso sedicenti) artisti del grande schermo. I risultati
si vedono: è dagli anni Settanta, dalla nascita del
cosiddetto Nuovo cinema tedesco - quello di Fassbinder,
Wenders e Herzog, per intenderci - che non si vedevano
le sale tedesche così piene per un film made in Germany.
Ma Goodbye, Lenin! ha ricevuto il plauso della
critica soprattutto per avere saputo guardare in modo
originale e divertente - nel senso vero di entertainment
- alla storia recente del proprio paese.
Come è nata l'idea di Goodbye, Lenin!?
Volevo mescolare storia privata e storia nazionale,
sforzandomi di riflettere sul nostro passato, ma anche
di rendere la vicenda del film comprensibile a chi
non ha mai messo piede in Germania. Io sono nato in
Westfalia e la mia conoscenza della DDR era abbastanza
limitata prima di cominciare le ricerche per mettere
a punto la sceneggiatura del film, che nasce da un
mio soggetto, ma che è stata sviluppata insieme a
uno sceneggiatore professionista, Bernd Lichtenberg.
Ci sono mille agganci all'attualità e alla storia
nazionale, mille dettagli riconoscibili per gli spettatori
tedeschi, ma in fin dei conti si tratta sempre di
una storia d'amore, quella fra un figlio e sua madre,
e questo fa sì che chiunque possa immedesimarsi nei
due protagonisti.
Il personaggio della madre sembra simboleggiare
una certa nostalgia per la vecchia DDR.
Diciamo che la madre fa da cartina di tornasole per
tutto quanto c'era di buono, ma anche di meno buono,
nella Germania dell'Est: da una parte l'altruismo,
l'impegno, la coscienza sociale; dall'altra la mancanza
di alternative, la chiusura mentale, il fanatismo,
le restrizioni sui diritti civili. Non parlerei di
nostalgia, ma di uno sguardo attento e affettuoso
su come eravamo, noi tedeschi, prima della riunificazione.
Per me è stato molto interessante osservare le reazioni
del pubblico: i tedeschi di provenienza orientale
ridono in momenti diversi rispetto ai tedeschi dell'Ovest.
Così come il pubblico italiano, quello francese o
spagnolo, ridono ad alcune battute e non ne colgono
altre. Ma la cosa importante è che ridono tutti.
Per lei e per i suoi partner nella X-Filme si è
parlato di Nuovissimo cinema tedesco, a indicare che
rappresentate un passo avanti rispetto al cinema dei
maestri anni Settanta.
Ho 48 anni e sono già al quarto film, quindi fatico
a riconoscermi nell'etichetta di "nuovissimo". (Ride)
Prima di diventare un cineasta ero un appassionato
cinéphile: mi sono visto tutto Schlndorff
e Fassbinder, i film di Margarethe Von Trotta e Werner
Herzog, Wim Wenders e Reinhard Hauff. Sicuramente
ne ho subito l'influenza, ma a loro volta questi autori
erano stati influenzati dagli americani ed europei
che li avevano preceduti. Chi fa cinema oggi è inevitabilmente
il prodotto di tutto ciù che ha visto in passato,
ed è difficile stabilire con esattezza chi abbia lasciato
le tracce più consistenti. Per fare un esempio: in
Goodbye, Lenin! cito Francois Truffaut, Stanley
Kubrick e Jean-Pierre Jeunet, il regista del Favoloso
mondo di Amelie, al quale ho "rubato" anche Yann
Tiersen, il compositore della colonna sonora.
Qual è il segreto del successo internazionale della
X-Filme?
Quando, nove anni fa, Tom Tykwer, Dani Levy, il produttore
Stefan Arndt ed io abbiamo fondato la X-Filme, ci
siamo imposti come primo criterio l'esportabilità
dei nostri film in tutto il mondo, a condizione perù
di non allontanarci artisticamente dalle nostre radici.
L'idea era quella di raccontare storie locali e renderle
universali, superando il pregiudizio che il film tedeschi
non siano comprensibili per il resto del mondo. Uno
dei principali miti da sfatare era quello che i tedeschi
non abbiano senso dell'umorismo. Con Goodbye, Lenin!
ho voluto raccontare una storia importante ma anche
ricca di spunti comici, che consentisse al pubblico,
tedesco e internazionale, di ridere di argomenti prima
considerati tabù, un po' come aveva fatto Agneska
Holland con il suo Europa, Europa!. Il risultato
è che il film è stato venduto in 32 paesi, Stati Uniti
compresi.
Sono convinto che un film sia una conversazione fra
il regista e il pubblico, lo penso anche come spettatore,
e quindi da regista mi sforzo di parlare in modo comprensibile
a quante più persone possibili. Questo non vuol dire
semplificare eccessivamente la storia o i dialoghi
- tant'è vero che Goodbye, Lenin! richiede
una grande attenzione da parte dello spettatore per
non perdersi i numerosi passaggi della trama - e nemmeno
che i miei film debbano essere abbassati al minimo
comune denominatore. Ma devono rimanere accessibili.
Il che, tra l'altro, rientra nella tradizione del
Nuovo cinema tedesco: molti film di Fassbinder, ad
esempio, erano pensati per il grande pubblico. Ed
è giusto così: non si puù creare una cultura cinematografica
nazionale girando solo film "artistici" che alienano
il pubblico annoiandolo a morte.
Esiste, secondo lei, un'identità culturale europea?
Non mi sono mai posto il problema. Quando uno scrive
e poi dirige un film, non sa esattamente ciù che sta
facendo, tantomeno a quale filone culturale egli appartenga.
Io cerco solo di raccontare storie avvincenti e far
divertire la gente, in modo che non si accorga di
essere rimasta intrappolata in una sala cinematografica
per due ore. Se un mio film contribuisce a formare
un'identità europea, sono contento, ma lo considero
un effetto collaterale.
Ciù che so è che nessun cineasta puù nascondere la
propria identità, e dunque anche la propria cultura
nazionale emerge inevitabilmente in ogni suo film.
Credo che questo sia fondamentale per rendere noi
registi europei competitivi sia sul mercato Europeo,
che nei confronti degli americani. Il nostro più grave
errore, nel passato recente, è stato quello di scimmiottare
il cinema di Hollywood: i film americani li fanno
meglio in America, noi dobbiamo continuare a raccontare
le nostre storie secondo i nostri canoni.
Chi è Wolfgang Becker:
Nato a Hemer nel 1954, Wolfgang Becker si è diplomato
alla Deutsche Film- und Fernsehakademie (DFFB), l'accademia
nazionale del cinema tedesco a Berlino, dopo aver
conseguito una laurea in Storia tedesca e Studi americani.
Ha iniziato a lavorare nel cinema come operatore,
e il suo progetto di laurea, il lungometraggio Schmetterlinge,
ha vinto il Festival di Locarno nel 1988. Seguono
Kinderspiele (1992), Das Leben ist eine Baustelle
(1997) e Goodbye, Lenin! (2003), gli ultimi due in
concorso al Festival di Berlino.
I link:
Sito ufficiale del film Goodbye, Lenin!:
http://www.good-bye-lenin.de/index2.php
Il principale sito sul cinema tedesco
http://www.german-cinema.de
Il sito del Goethe-Institut Inter Nationes
http://www.goethe.de/
The DEFA Film Library Cinema of East Germany, (la
cineteca che raccoglie e commenta i film della Germania
Est)
http://www.umass.edu/defa/CourseMaterials/emdesyllabus.htm
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